Tratto da http://www.lavoropostmercato.org/rivista.php
Argomento: Laboratorio sociale
Scuola, Università e lavoro: idee e proposte per una nuova politica (2^parte)
Come detto il lavoro è uno degli strumenti fondamentali per l’ integrazione della persona disabile; l’accesso alla condizione è l’istruzione, non a caso uno degli obiettivi maggiormente perseguiti da...
Fabrizio Bisconti
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Argomento: Info lavoro
Emergenza educativa: libertà uguale sballo?
La nostra rivista ha, più volte, e da periodo non sospetto, affrontato il tema dell’emergenza educativa attualmente in atto in Italia, ma nel resto dell’Unione Europea non ci si scosta di molto: da...
La Redazione (D.P.)
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Argomento: Rete sociale
SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE E SVILUPPO DELL’E-GOVERNMENT (Seconda parte)
L’e-government: le amministrazioni on line Nell’ambito delle politiche generali dei singoli paesi coinvolti nell’azione, la questione dell’e-government, nel passaggio dalla prima...
Antonio M. Adobbato
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Argomento: Rete sociale
La condizione dei minori in Italia – Pubblicato il 4° rapporto del Gruppo CRC
Anche quest’anno, in occasione dell’anniversario della ratifica della CRC(1), sottoscritta dall’Italia nel maggio del 1991, il Gruppo CRC Italia, composto da 73 organizzazioni ed associazioni, ha pub...
Antonio M. Adobbato
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Argomento: Rete sociale
Agenzia per le Onlus: presentata la relazione 2007
In data 9 luglio 2008 a Roma (Palazzo Chigi) è stata presentata la Relazione Annuale sul lavoro svolto nel corso dell’anno 2007 dall’Agenzia per le Onlus presieduta da Stefano Zamagni Tre le s...
Alba Caiazzo
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Argomento: Formazione
Chiarimenti alle “Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie la Circolare n.49 dell’11 luglio 2008
Pubblicata dall’Agenzia delle Entrate e dal Ministero del Lavoro della salute e dellepolitiche sociali Direzione Centrale Normativa e Contenzioso la Circolare n.49 dell’11 luglio 2008 rubrica...
Giuseppe Formichella
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Argomento: Evoluzione normativa
Lavoratori Extra UE: individuato lo Sportello unico competente. La nuova modulistica.
Novità in tema di Sportello Unico per l’immigrazione: sia a) per l’esatta individuazione dello stesso che b) per la modulistica per l’espletamento delle sue funzioni.a) in data 1° luglio us co...
Rita Schiarea
continua...
Argomento: Etica e lavoro
Turismo: dopo le ricadute del dramma rifiuti in Campania, occorre rilanciare l’immagine del Bel Paese.
Molto è stato scritto sulla situazione dei rifiuti in Campania, e sulle soluzioni possibili, su discariche, termovalorizzatori, proteste...poco, ancora troppo poco, sugli effetti che sta avendo ques...
Diego Piergrossi
continua...
martedì 29 luglio 2008
Società dell'informazione e sviluppo dell'e-government (Prima parte)
Gli approcci teorici allo studio e alla definizione della moderna Information Society possono essere ricondotti sostanzialmente a due grandi direttrici d’indagine:1) studi economici e di geopolitica ;2) studi filosofici, sociologici e antropologici.(1)
Quanto al primo filone di ricerche, occorre subito rilevare l’avvento di una nuova forma di competizione tra sistemi economici, il cui campo di battaglia è il mercato mondiale.
Tutti gli analisti che sono intervenuti sul fenomeno della centralità del terziario avanzato come terreno privilegiato nella competizione globale, hanno individuato nell’innovazione tecnologica il più potente motore di sviluppo dei sistemi economici: gli ultimi decenni del XX secolo sono anche il tempo in cui si avverte il peso crescente delle tecnologie digitali nella ristrutturazione profonda dei processi produttivi e nelle relazioni tra i soggetti economici e tra gli Stati-Nazione, visti sempre più come sistemi-paese o aree economico-politiche estese.
In altri termini, la competizione tra i soggetti economici si gioca sull’accesso alle informazioni e sullo sfruttamento delle risorse immateriali e intellettuali, oltre che sull’impiego e la trasformazione di materie prime. (2)
Sugli stessi fenomeni, con un approccio orientato all’analisi fenomenologica delle trasformazioni in atto, i pensatori e gli scienziati sociali che si sono interessati dell’argomento hanno manifestato posizioni differenti sugli effetti dell’irruzione delle nuove tecnologie sui sistemi di idee, di tradizioni e di culture, soprattutto nel campo della conoscenza e della sua trasmissione, nelle mutazioni antropologiche introdotte nelle moderne società, nell’analisi delle nuove forme di disuguaglianza che vengono provocate, nelle trasformazioni organizzative della produzione e del lavoro. (3)
Un filone particolare di studi concerne anche l’uso delle nuove tecnologie per ottenere una migliore funzionalità dei sistemi amministrativi pubblici; negli ultimi anni, poi, si è registrato un crescente interesse per le potenzialità della tecnologia nel favorire la nascita del cosiddetto e-government, intendendo con questa espressione la possibilità di progettare ed erogare servizi all’utenza usando le connessioni telematiche. Si tratta di un tema di rilevante interesse per l’analisi che qui vogliamo condurre. Le pagine che seguono sono dedicate ad un aspetto ancora più circoscritto di questa tematica: ricostruire una puntuale e sintetica cronologia delle scelte di policy compiute dall’UE e dal nostro paese in merito a quest’argomento, cercando di ricavare i dati di contesto politico-istituzionali – comunitari e nazionali – per collocare nella giusta prospettiva la pratica e la metodologia dell’e-government.
Il Libro Bianco
Dopo l’approvazione del Trattato di Maastricht nel 1992, l’Unione Europea avviò una nuova stagione di politica comunitaria con una serie di scelte culturali e organizzative volte a dare un maggiore impulso ad attività di ricerca e di sviluppo nel nuovo settore dell’Information and Communication Tecnology (ICT), ritenendo la comunicazione e le nuove tecnologie strumenti primari per la competizione geopolitica globale, in particolare nel rapporto/confronto con gli Stati Uniti d’America.
La prima tappa importante di questo percorso è stata certamente la pubblicazione del Libro Bianco di Jacques Delors, allora Presidente della Commissione. In esso, per la prima volta, è stata utilizzata l’espressione “società dell’informazione” e si è teorizzata la centralità dell’innovazione tecnologica nel campo delle telecomunicazioni e nel trattamento e circolazione delle informazioni, attribuendo a tale innovazione un ruolo chiave nel rivitalizzare le mature economie europee nella concorrenza con il vitale colosso statunitense.Per gli estensori del saggio, il passaggio dall’ICT alla società dell’informazione avviene con l’utilizzo sempre più massiccio e qualitativamente pervasivo delle nuove possibilità di produzione, gestione e trasmissione dell’informazione nei processi produttivi, dando vita alla cosiddetta new economy, espressione che sta ad indicare un mutamento strutturale nei processi di un modello produttivo che, giunto al culmine dell'industrializzazione, concentra conoscenze, capitali e forza lavoro nella produzione di servizi immateriali anziché di beni tradizionali. Essa è il frutto di ondate successive di innovazione tecnologica, iniziate negli anni ’60 nel campo dell’hardware, proseguito negli anni successivi con sviluppi sempre più innovativi del software e culminato con l’introduzione della ‘rete’ nella seconda metà degli anni ’90. Nella “nuova economia”, le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione rappresentano input ed output fondamentali del processo produttivo, indipendentemente dal settore cui vengono applicate, influenzando tutte le fasi del ciclo economico: dall’organizzazione aziendale al ciclo di vita del prodotto, dall’accesso a banche dati e servizi a nuove modalità di comunicazione e consumo. La società dell’informazione si sviluppa a partire da questo nuovo scenario produttivo, come generalizzazione degli effetti di una trasformazione che, partendo dal settore economico, innesca e potenzia imponenti trasformazioni sociali e culturali.Il potenziale offerto dall’interscambio rapido ed efficace di dati tra individui e organizzazioni disegna un nuovo modello economico, sociale e culturale; al centro del nuovo sistema produttivo vi è lo scambio di conoscenza, l'attività di raccolta, elaborazione e trasferimento delle informazioni.
La Commissione rifiuta però il rigido determinismo tecnologico insito nel concetto nord-americano, fatto proprio all’allora Vice Presidente degli USA Al Gore, di "autostrade dell'Informazione" e va oltre: si adotta il modello della distribuzione dei servizi di comunicazione, che mette in grado aziende e cittadini di utilizzare le nuove tecnologie e opportunità. Si dispiega, così, un ruolo nuovo delle tecnologie e ciò cambia nel profondo il lavoro e la vita degli individui: per vivere e lavorare nella Società dell'Informazione sono necessarie conoscenze sempre maggiori e aggiornate e la formazione, sinora relegata alla parte iniziale della vita, deve espandersi sul suo intero arco, diventare permanente. (4)
Il rapporto Bangemann e il Libro Verde
Un’altra tappa importante, immediatamente successiva alla pubblicazione del Libro Bianco, è stata la pubblicazione, nel 1994, di uno studio di un gruppo di economisti sulla Società dell’informazione, conosciuto come rapporto Bangemann . In esso erano presenti una serie di considerazioni e di raccomandazioni sulla definizione di un quadro normativo, da cui prendeva avvio il Primo piano di Azione (1996), “Verso la società dell’informazione in Europa” (5), con l’integrazione delle politiche comunitarie corrispondenti al nuovo paradigma produttivo.
Dello stesso anno è anche il Libro Verde (6), che operava un’importante svolta verso le problematiche sociali poste dall’ICT, soprattutto nel campo del lavoro e della formazione, presentandosi come una sintesi significativa del dibattito all’interno dei paesi membri; vi si avanzava l’idea che la frammentazione organizzativa e legislativa sull’argomento dovesse essere superata in direzione della disponibilità e tempestività dell’informazione pubblica per tutti i soggetti interessati, cittadini ed imprese.Alcune importanti questioni, relative al rapporto tra informazione, pubblica amministrazione e nuove tecnologie in materia di servizi pubblici al cittadino e alle imprese, vi erano messe a fuoco per agevolare una maggiore efficienza delle amministrazione pubbliche (il cosiddetto e-government) nella raccolta e diffusione di informazioni.
L’iniziativa eEurope – le politiche comunitarie per l’e-governement.
Il definitivo passaggio organizzativo per pianificare la politica comunitaria e coordinare le azioni dei singoli stati è stata la presentazione, al vertice europeo di Helsinki del dicembre 1999, dell’iniziativa eEurope – An Information Society for All. (7)
Gli obiettivi principali proposti erano sostanzialmente tre: 1) accesso più economico, rapido e sicuro a internet;2) investire nelle risorse umane e nella formazione;3) promuovere l’utilizzo di Internet. Il piano operativo, a sua volta, si basava su tre approcci principali: a) la creazione di un adeguato quadro giuridico;b) fornire sostegno alle nuove infrastrutture e ai nuovi servizi in tutta Europa; c) applicare il metodo aperto del coordinamento e dell’analisi comparativa.Qualche tempo dopo, nel marzo del 2000, il Consiglio europeo straordinario riunito a Lisbona ha fissato le linee strategiche valide per l’intera Unione, con l’intento di diventare “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo”; in questo summit, la Commissione è stata incaricata di predisporre un Piano d’azione, denominato eEurope2002, fatto proprio dall’Unione al vertice di Feira del giugno dello stesso anno.In continuità con questo piano si pone anche l’iniziativa eEurope 2005 (8), che all’obiettivo strategico di creare un’economia dell’informazione, aggiunge, in questo nuovo action plan, l’ambizione di creare un “contesto favorevole agli investimenti privati e alla creazione di nuovi posti di lavoro, accrescere la produttività, modernizzare i servizi pubblici e garantire a tutti i cittadini la possibilità di partecipare alla società dell’informazione globale, [per mezzo di] servizi, applicazioni e contenuti sicuri basati su un’infrastruttura a banda larga ampiamente disponibile”. (9)Per raggiungere questi ambiziosi obiettivi, il piano d'azione eEurope si articola attorno a due categorie di azioni che dovrebbero, secondo la Commissione, rafforzarsi a vicenda. Appartengono alla prima categoria le azioni relative a servizi, applicazioni e contenuti per i servizi pubblici online e l’e-business, mentre la seconda categoria riguarda l'infrastruttura a banda larga e le questioni di sicurezza. Secondo questo piano, entro il 2005 l’Europa dovrà dotarsi di:- moderni servizi pubblici on line- servizi di e-learning - servizi di e-health - un ambiente dinamico di e-business;e, come catalizzatori di tali sviluppi,- ampia disponibilità di accesso a banda larga a prezzi concorrenziali- infrastruttura di protezione dell'informazione.A sua volta, Il piano d'azione è strutturato attorno a quattro linee interdipendenti:innanzi tutto misure di politica generale, volte a riesaminare ed adattare la normativa nazionale ed europea; a rafforzare la concorrenza e l’interoperabilità; a sensibilizzare e a dimostrare l’impegno dei responsabili politici. Per il piano d’azione eEurope 2005 gli obiettivi principali sono i seguenti:collegare le pubbliche amministrazioni, le scuole e i centri di cura alle reti a banda larga;* offrire servizi pubblici interattivi, accessibili a tutti su piattaforme diverse;* fornire servizi sanitari on line;* eliminare gli ostacoli all’installazione delle reti a banda larga;* riesaminare la normativa relativa all’e-business* istituire una task force sulla sicurezza informatica.In secondo luogo, l’attuazione delle misure di politica generale dovrà appoggiarsi sullo sviluppo, l’analisi e la diffusione di esempi di buona prassi (best practices).
(continua)
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Note
1) Questa didascalica distinzione, naturalmente, deve tener conto delle reciproche e continue interrelazioni disciplinari in una metodologia che dovrebbe tendere alla convergenza delle conoscenze e alla interdisciplinarietà. Il riferimento d’obbligo è il saggio di G.BOCCHI e M. CERUTI, (a cura di) La sfida della complessità, Milano, Feltrinelli, 1985. Cfr. in particolare i saggi di E. MORIN e di E. LASZLO.
(2) La letteratura sulla società e sull’economia post-industriale è oramai imponente. Per gli scopi che qui ci interessano, ci limitiamo a richiamare il saggio di D. Bell, The coming of Post industrial society, New York, Basic Book, 1973 e quello di A. Touraine, La società post-industriale, Il Mulino, Bologna, 1970.
(3) Anche su questo punto ci limitiamo a fornire qualche riferimento di massima. Sulla questione della modernità si veda il classico di J.F. Lyotard, La condizione postmoderna.Rapporto sul sapere, Milano, Feltrinelli, 1981; alle sollecitazioni dell’autore francese ha criticamente risposto J. Habermas, soprattutto in Id. Il discorso filosofico della modernità, Laterza, Roma-Bari, 1987; un testo collettaneo interessante sull’argomento è G. Mari (a cura di), Moderno Postmoderno, Feltrinelli, Milano, 1987. Imprescindibile il lavoro di M. Castells, autore della trilogia L’età dell’informazione: economia, società cultura. In italiano si veda La nascita della società in rete. Egea, Milano, 2000. Altri studi significativi sono: Beniger J. R., Le origini della società dell'informazione, Utet, Torino, 1995; Gallino L., Globalizzazione e disuguaglianze, Laterza, Roma-Bari, 2000, Garibaldo F., Bolognani M., La società dell'informazione, Donzelli Editore, Roma, 1996. Un’ importante direttrice di studio riguarda la modifica delle condizioni del lavoro: si vedano i contributi di De Masi D., Il futuro del lavoro.Fatica e ozio nella società post-industriale, Rizzoli, Milano, 1999; Rifkin J., La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l'avvento dell'era post-mercato, Baldini e Castoldi, Milano, 1997; Sassen S., Le città nell’economia globale, Il Mulino, Bologna, (1994); Sennet R., L’uomo flessibile, Feltrinelli, Milano, 2000. Sulle modifiche introdotte dalla tecnologia per l’esercizio della democrazia, si vedano i contributi di Rodotà S., Tecnopolitica, Editori Laterza, Roma-Bari, 1997 e Scheer L. La democrazia virtuale, Costa & Nolan, Genova, 1997. Sulla costituzione di un nuova dimensione antropologica e culturale originata dalle tecnologie digitali, cfr. Levy P., L’intelligenza collettiva.Per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano, 2002.
(4) E’ in questi anni che s’inaugura la nuova stagione della formazione permanente e dell’educazione degli adulti. A partire da questo momento, le politiche della UE si orientano verso un cospicuo utilizzo di risorse per sostenere la continuing education; per un primo inquadramento si veda M. Tomassini, La società della conoscenza. La capacità di apprendimento fa la differenza sia per gli individui che per le organizzazioni, in Forma ed informa, 1996, n°2.
(6) Green Paper, Living and working in the information society: people first, COM (96) 389 def. Bruxelles, 1996
(7) Bruxelles, 14/06/2000.. Questa metodologia d’intervento permarrà in linea di massimo anche nel nuovo action plan del 2005. I risultati della raccolta dei dati e del raggiungimento degli obiettivi, insieme a tutti i documenti correlati, si trovano all’URL http://europe.eu.int/comm/information_society/eeurope/index_en.html
(8) Bruxelles, 28.5.2002 COM 263 definitivo.(9) Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e al Comitato delle Regioni, eEurope2005:una società dell’informazione per tutti, Bruxelles, 28/05/2002.COM (2002) 263, def.
domenica 27 luglio 2008
Il “mercato” del lavoro. Per una concezione non mercantile del lavoro.
L’anno 2008 è il 60° anno dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Numerose e varie sono state e saranno le celebrazioni, fin qui piuttosto rituali. Un così lungo intervallo di tempo consente un qualche consuntivo sui decenni trascorsi, almeno per le promesse che la Carta Costituzionale portava con sé, in termini di democrazia e di difesa dei diritti.
E non v’è dubbio che la “costruzione” dell’Italia repubblicana ha portato, nel corso della vita istituzionale e nel tessuto vivo della democrazia italiana, un segno profondo in termini di giustizia e di libertà civile. Più difficoltoso risulta invece operare un bilancio e un progetto condiviso sul futuro della Costituzione e sulle cosiddette “riforme costituzionali”. Qua e la, nel media mainstream, si sente spesso anche il richiamo alla necessità, letta nella chiave del presente e nella prospettiva delle maggioranze parlamentari di turno, di “ammodernare” le vetuste e polverose istituzioni repubblicane.
Più coerentemente, il costituzionalista G. Zagrebelsky, forte dell’esperienza compiuta nei numerosi incontri con gli adolescenti delle scuole e con gli uditori più disparati, per sottolineare l’importanza e la centralità della Costituzione, ha sempre sottolineato l’ethos piuttosto che la dottrina, la fatica della comprensione intima e dell’applicazione del costume democratico invece della celebrazione retorica e paludata della Carta.(1)
Sulla scia di una lunga e prestigiosa tradizione intellettuale, il Presidente emerito della Corte Costituzionale ha sempre voluto far emergere l’elemento della introiezione del dettato costituzionale, fin nei minimi comportamenti quotidiani e nelle scelte concrete della vita, piuttosto che l’elemento conoscitivo e di astrazione intellettuale, peraltro importante. (2)
E tuttavia, non occorre sfuggire al lavoro ermeneutico intorno alla relazione tra i dibattiti attuali intorno al tema del lavoro e i valori e i principi legislativi della nostra Costituzione.Proprio in riferimento ai vari dibattiti in corso sul mondo del lavoro, in auge da oltre un ventennio, sui diritti intermittenti dei lavoratori precari, sulla giusta retribuzione, sulla rappresentanza sindacale, sulla fine dell’era fordista e l’avvento del postfordismo, sulla ristrutturazione del sistema del Welfare, la Carta ha sempre posto argini molto precisi intorno alla “giusta” retribuzione, ovvero garantire un’esistenza libera e dignitosa ai lavoratori, tanto più di fronte ai tentativi, in verità piuttosto maldestri e subito respinti, di introdurre la libertà d’impresa nel novero dei principi costituzionali. Anche lo stucchevole e ipocrita dibattito sulla difficoltà di molti lavoratori dipendenti di “arrivare alla quarta settimana”, dimentica lo sforzo progettuale, prima ancora che normativo, dei costituenti, il cui intento principale era quello di collegare alla categoria del lavoro quello della dignità e della libertà, al posto di una reductio economicista, improntata al ciclo produzione-consumo. Visto in quest’ultima prospettiva, il reddito da lavoro diventa variabile interna e dipendente del ciclo economico, misurata con il minuzioso sistema di attribuzione ed estrazione di valore economico, inclusa interamente nelle categorie di mercato e di domanda-offerta di beni. Il lavoro diventa interamente merce e come tale sussunto entro una logica di scambio di valore. Tutto ciò che sta al di fuori, confligge culturalmente, prima che politicamente o sindacalmente, con la logica “mercatista”.Eppure, sia detto qui in termini non esaustivi, una lettura anche superficiale degli atti dell’assemblea costituente evidenzia la grande lungimiranza e lo straordinario senso di equilibrio di una visione dei rapporti di lavoro sottratti ad una logica puramente mercantile, appunto mercatista(3), con la proposta di un compromesso “alto” tra iniziativa privata e la salvaguardia della “sicurezza, della libertà e della dignità umana”.
Nei decenni successivi alla creazione della Repubblica, negli anni cioè della formazione della Repubblica e del suo costituirsi come organismo vivo, dopo lo sviluppo tumultuoso e quasi selvaggio del “miracolo economico”, le lotte sindacali e politiche del decennio 1960-70 hanno rinnovato e richiamato il dettato costituzionale, seppure in termini disorganici (4), intorno alla protezione delle classi più deboli. Per arrivare all’oggi, la specificità del sistema economico italiano, quello che viene attualmente definito “quarto capitalismo”, vale a dire un sistema in cui si nota l’assenza di grandi conglomerati industriali e la frammentazione, decentralizzazione e “distrettualizzazione” dei sistemi produttivi, insieme all’attuale processo di globalizzazione e liberalizzazione dei mercati delle merci e dei capitali, hanno introdotto molti elementi di complessità, tali da rendere sempre più difficoltosa e impervia ogni ipotesi di governance dei processi economici globali e nazionali.La nozione di lavoro dipendente si è diversificata e la stessa nozione di “luogo di lavoro” si è dilatata al di fuori di un contesto “definito”, come era la fabbrica fordista. In aggiunta a questi processi di struttura, sono aumentate e innovate le attribuzioni di valore culturale dell’intera società intorno al mondo del lavoro, inteso sempre più in termini ambivalenti e contraddittori.Da un lato si assiste ad un processo di “accrescimento” dell’identità personale per mezzo del lavoro, con il tentativo di attrarre nella sfera del lavoro elementi tipici della dimensione individuale, come il diritto alla riservatezza o il diritto a salvaguardare le più importanti e profonde aspirazioni esistenziali, morali o religiose, insieme al consueto investimento di valore in termini di emancipazione e di mobilità sociale.Dall’altro, tuttavia, gli attuali processi di frammentazione del mercato del lavoro e la proliferazione delle forme contrattuali e dei luoghi di produzione di beni e servizi, hanno reso sempre più faticoso ricondurre ad unità il mondo del lavoro nel suo complesso, con la risultante di una difficoltà sempre crescente di accesso al mondo del lavoro delle giovani generazioni e delle donne e con la mancanza di senso e di futuro dei nuovi lavori, residuali, sottopagati e spesso di qualità enormemente più bassa rispetto alle competenze e alle professionalità potenziali. In questa oscillazione tra pienezza e assenza di senso (5), il lavoro si connota sempre più come il risultato di un negoziato individuale, segreto, vagamente ricattatorio, incluso in logiche feudali di elargizione e di benevolenza, sottoposto ai più ripugnanti processi di costruzione e scambio di potere.
In un sistema in cui l’offerta di beni e servizi sopravanza di gran lunga la capacità della domanda a causa di redditi di pura sopravvivenza o vicini alla soglia della povertà, il lavoro si trova schiacciato in questa morsa di scarsità e di irrilevanza, di richiesta di senso e di identità e di assenza di futuro e di emancipazione. Da quest’interazione tra offerta di lavoro in termini di competizione e flessibilità e tra richieste di senso della funzione sociale del lavoro, laddove il lavoro è pur sempre il cardine fondamentale per la socializzazione e per la promozione della qualità dell’esistenza, viene la richiesta di un nuovo “statuto” del lavoro, solo in parte ricostruito da quella giurisprudenza che interpreta la norma secondo un’ispirazione costituzionale, con lo sforzo di avvicinarsi sempre più all’evoluzione della coscienza collettiva.
Così, con sempre maggiore frequenza, si è preteso e si pretende che il datore di lavoro sia chiamato a prevenire il verificarsi del danno all’integrità fisica o alla personalità del lavoratore, mediante misure adeguate a che il danno (molestie sessuali, mobbing, violazione della privacy) provocato da comportamenti immateriali, non meno che quello causato da infortuni o malattie professionali, vada risarcito ben oltre la mera restituzione monetaria delle perdite materiali: è il caso del risarcimento del danno biologico del lavoratore inteso come perdita di opportunità nella vita di relazione della persona intesa unitariamente.La migliore ispirazione del diritto del lavoro, che filtra anche attraverso le maglie strette del riduzionismo economicista, si orienta sempre più verso una concezione evolutiva dell’individuo e delle relazioni sociali, dato che la Costituzione gli richiede un progetto coerente per una umanità affrancata dal bisogno, come da ogni umiliazione.Si tratta, infine, di un progetto non solo nazionale.
A livello sovranazionale, è aperta la partita se la fine del fordismo debba decretare anche la fine del Welfare.Nell’Europa allargata, dopo la brusca battuta di arresto del referendum francese che ha imposto una decisiva decelerazione dei processi unitari e federativi, è in atto un confronto molto difficoltoso, anche per le differenti tradizioni culturali e normative, per la elaborazione di una strategia politica e giuridica condivisa di regolazione sovranazionale dei diritti. La sfida dell’oggi è quella di riuscire ad elaborare dei sistemi sovranazionali in equilibrio tra istanze di protezione sociale e momenti di progettazione adatti alle nuove condizioni indotte dalla crisi degli Stati-Nazione e dalle loro sempre più deboli capacità regolatrici. (6)
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NOTE
(1) Nel suo pensiero giuridico, l’A. ha sempre insistito sulla necessaria complementarietà degli aspetti formali e sostanziali del diritto, frutto dell’equilibrio tra lex e ius. Vedi ad es. Id. Il diritto mite. Leggi, Diritti, giustizia, Einaudi, Torino, 1992.
(2) Cfr. M: VIROLI, Repubblicanesimo, Laterza, Roma-Bari, 1999; N. BOBBIO-M.VIROLI, Dialogo intorno alla Repubblica, Laterza, Roma-Bari, 2001; G.E.RUSCONI, Patria e Repubblica, Il Mulino, Bologna, 1997.Si veda anche la raccolta di saggi di N. BOBBIO, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 2005. Vedi anche l’intervento di S. ROSSI, La Presidenza Ciampi nel segno del patriottismo costituzionale, in http://www.forumcostituzionale.it/site/paper-del-forum.html .(3)
Vedi L. GALLINO, La flessibilità è riformabile, Laterza, Roma-Bari, 2001 e il più recente: Id. , Il lavoro non è merce. Contro la flessibilità, Laterza, Roma-Bari, 2007.
(4) Il richiamo è quello alle leggi sul lavoro degli anni ’70: Statuto dei Lavoratori, processo del lavoro, tutela degli invalidi, garanzie per la maternità, ecc.
(5) Vedi il bel libro di R. SENNETT, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, Milano, 2002.
(6) Si veda il libro di J.RIFKIN, Il sogno europeo, Mondadori, Milano, 2005. L’A. ha individuato nell’Europa il sistema più avanzato di tutela e salvaguardia dei diritti, dato che essa privilegia “lo sviluppo sostenibile sulla crescita materiale, [dei]diritti umani e diritti della natura piuttosto che il diritto di proprietà”, contrariamente al modello statunitense “ troppo concentrato sul progresso materiale degli individui per poter essere rilevante in un mondo di rischi crescenti, diversità e interdipendenza”. Ivi
E non v’è dubbio che la “costruzione” dell’Italia repubblicana ha portato, nel corso della vita istituzionale e nel tessuto vivo della democrazia italiana, un segno profondo in termini di giustizia e di libertà civile. Più difficoltoso risulta invece operare un bilancio e un progetto condiviso sul futuro della Costituzione e sulle cosiddette “riforme costituzionali”. Qua e la, nel media mainstream, si sente spesso anche il richiamo alla necessità, letta nella chiave del presente e nella prospettiva delle maggioranze parlamentari di turno, di “ammodernare” le vetuste e polverose istituzioni repubblicane.
Più coerentemente, il costituzionalista G. Zagrebelsky, forte dell’esperienza compiuta nei numerosi incontri con gli adolescenti delle scuole e con gli uditori più disparati, per sottolineare l’importanza e la centralità della Costituzione, ha sempre sottolineato l’ethos piuttosto che la dottrina, la fatica della comprensione intima e dell’applicazione del costume democratico invece della celebrazione retorica e paludata della Carta.(1)
Sulla scia di una lunga e prestigiosa tradizione intellettuale, il Presidente emerito della Corte Costituzionale ha sempre voluto far emergere l’elemento della introiezione del dettato costituzionale, fin nei minimi comportamenti quotidiani e nelle scelte concrete della vita, piuttosto che l’elemento conoscitivo e di astrazione intellettuale, peraltro importante. (2)
E tuttavia, non occorre sfuggire al lavoro ermeneutico intorno alla relazione tra i dibattiti attuali intorno al tema del lavoro e i valori e i principi legislativi della nostra Costituzione.Proprio in riferimento ai vari dibattiti in corso sul mondo del lavoro, in auge da oltre un ventennio, sui diritti intermittenti dei lavoratori precari, sulla giusta retribuzione, sulla rappresentanza sindacale, sulla fine dell’era fordista e l’avvento del postfordismo, sulla ristrutturazione del sistema del Welfare, la Carta ha sempre posto argini molto precisi intorno alla “giusta” retribuzione, ovvero garantire un’esistenza libera e dignitosa ai lavoratori, tanto più di fronte ai tentativi, in verità piuttosto maldestri e subito respinti, di introdurre la libertà d’impresa nel novero dei principi costituzionali. Anche lo stucchevole e ipocrita dibattito sulla difficoltà di molti lavoratori dipendenti di “arrivare alla quarta settimana”, dimentica lo sforzo progettuale, prima ancora che normativo, dei costituenti, il cui intento principale era quello di collegare alla categoria del lavoro quello della dignità e della libertà, al posto di una reductio economicista, improntata al ciclo produzione-consumo. Visto in quest’ultima prospettiva, il reddito da lavoro diventa variabile interna e dipendente del ciclo economico, misurata con il minuzioso sistema di attribuzione ed estrazione di valore economico, inclusa interamente nelle categorie di mercato e di domanda-offerta di beni. Il lavoro diventa interamente merce e come tale sussunto entro una logica di scambio di valore. Tutto ciò che sta al di fuori, confligge culturalmente, prima che politicamente o sindacalmente, con la logica “mercatista”.Eppure, sia detto qui in termini non esaustivi, una lettura anche superficiale degli atti dell’assemblea costituente evidenzia la grande lungimiranza e lo straordinario senso di equilibrio di una visione dei rapporti di lavoro sottratti ad una logica puramente mercantile, appunto mercatista(3), con la proposta di un compromesso “alto” tra iniziativa privata e la salvaguardia della “sicurezza, della libertà e della dignità umana”.
Nei decenni successivi alla creazione della Repubblica, negli anni cioè della formazione della Repubblica e del suo costituirsi come organismo vivo, dopo lo sviluppo tumultuoso e quasi selvaggio del “miracolo economico”, le lotte sindacali e politiche del decennio 1960-70 hanno rinnovato e richiamato il dettato costituzionale, seppure in termini disorganici (4), intorno alla protezione delle classi più deboli. Per arrivare all’oggi, la specificità del sistema economico italiano, quello che viene attualmente definito “quarto capitalismo”, vale a dire un sistema in cui si nota l’assenza di grandi conglomerati industriali e la frammentazione, decentralizzazione e “distrettualizzazione” dei sistemi produttivi, insieme all’attuale processo di globalizzazione e liberalizzazione dei mercati delle merci e dei capitali, hanno introdotto molti elementi di complessità, tali da rendere sempre più difficoltosa e impervia ogni ipotesi di governance dei processi economici globali e nazionali.La nozione di lavoro dipendente si è diversificata e la stessa nozione di “luogo di lavoro” si è dilatata al di fuori di un contesto “definito”, come era la fabbrica fordista. In aggiunta a questi processi di struttura, sono aumentate e innovate le attribuzioni di valore culturale dell’intera società intorno al mondo del lavoro, inteso sempre più in termini ambivalenti e contraddittori.Da un lato si assiste ad un processo di “accrescimento” dell’identità personale per mezzo del lavoro, con il tentativo di attrarre nella sfera del lavoro elementi tipici della dimensione individuale, come il diritto alla riservatezza o il diritto a salvaguardare le più importanti e profonde aspirazioni esistenziali, morali o religiose, insieme al consueto investimento di valore in termini di emancipazione e di mobilità sociale.Dall’altro, tuttavia, gli attuali processi di frammentazione del mercato del lavoro e la proliferazione delle forme contrattuali e dei luoghi di produzione di beni e servizi, hanno reso sempre più faticoso ricondurre ad unità il mondo del lavoro nel suo complesso, con la risultante di una difficoltà sempre crescente di accesso al mondo del lavoro delle giovani generazioni e delle donne e con la mancanza di senso e di futuro dei nuovi lavori, residuali, sottopagati e spesso di qualità enormemente più bassa rispetto alle competenze e alle professionalità potenziali. In questa oscillazione tra pienezza e assenza di senso (5), il lavoro si connota sempre più come il risultato di un negoziato individuale, segreto, vagamente ricattatorio, incluso in logiche feudali di elargizione e di benevolenza, sottoposto ai più ripugnanti processi di costruzione e scambio di potere.
In un sistema in cui l’offerta di beni e servizi sopravanza di gran lunga la capacità della domanda a causa di redditi di pura sopravvivenza o vicini alla soglia della povertà, il lavoro si trova schiacciato in questa morsa di scarsità e di irrilevanza, di richiesta di senso e di identità e di assenza di futuro e di emancipazione. Da quest’interazione tra offerta di lavoro in termini di competizione e flessibilità e tra richieste di senso della funzione sociale del lavoro, laddove il lavoro è pur sempre il cardine fondamentale per la socializzazione e per la promozione della qualità dell’esistenza, viene la richiesta di un nuovo “statuto” del lavoro, solo in parte ricostruito da quella giurisprudenza che interpreta la norma secondo un’ispirazione costituzionale, con lo sforzo di avvicinarsi sempre più all’evoluzione della coscienza collettiva.
Così, con sempre maggiore frequenza, si è preteso e si pretende che il datore di lavoro sia chiamato a prevenire il verificarsi del danno all’integrità fisica o alla personalità del lavoratore, mediante misure adeguate a che il danno (molestie sessuali, mobbing, violazione della privacy) provocato da comportamenti immateriali, non meno che quello causato da infortuni o malattie professionali, vada risarcito ben oltre la mera restituzione monetaria delle perdite materiali: è il caso del risarcimento del danno biologico del lavoratore inteso come perdita di opportunità nella vita di relazione della persona intesa unitariamente.La migliore ispirazione del diritto del lavoro, che filtra anche attraverso le maglie strette del riduzionismo economicista, si orienta sempre più verso una concezione evolutiva dell’individuo e delle relazioni sociali, dato che la Costituzione gli richiede un progetto coerente per una umanità affrancata dal bisogno, come da ogni umiliazione.Si tratta, infine, di un progetto non solo nazionale.
A livello sovranazionale, è aperta la partita se la fine del fordismo debba decretare anche la fine del Welfare.Nell’Europa allargata, dopo la brusca battuta di arresto del referendum francese che ha imposto una decisiva decelerazione dei processi unitari e federativi, è in atto un confronto molto difficoltoso, anche per le differenti tradizioni culturali e normative, per la elaborazione di una strategia politica e giuridica condivisa di regolazione sovranazionale dei diritti. La sfida dell’oggi è quella di riuscire ad elaborare dei sistemi sovranazionali in equilibrio tra istanze di protezione sociale e momenti di progettazione adatti alle nuove condizioni indotte dalla crisi degli Stati-Nazione e dalle loro sempre più deboli capacità regolatrici. (6)
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NOTE
(1) Nel suo pensiero giuridico, l’A. ha sempre insistito sulla necessaria complementarietà degli aspetti formali e sostanziali del diritto, frutto dell’equilibrio tra lex e ius. Vedi ad es. Id. Il diritto mite. Leggi, Diritti, giustizia, Einaudi, Torino, 1992.
(2) Cfr. M: VIROLI, Repubblicanesimo, Laterza, Roma-Bari, 1999; N. BOBBIO-M.VIROLI, Dialogo intorno alla Repubblica, Laterza, Roma-Bari, 2001; G.E.RUSCONI, Patria e Repubblica, Il Mulino, Bologna, 1997.Si veda anche la raccolta di saggi di N. BOBBIO, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 2005. Vedi anche l’intervento di S. ROSSI, La Presidenza Ciampi nel segno del patriottismo costituzionale, in http://www.forumcostituzionale.it/site/paper-del-forum.html .(3)
Vedi L. GALLINO, La flessibilità è riformabile, Laterza, Roma-Bari, 2001 e il più recente: Id. , Il lavoro non è merce. Contro la flessibilità, Laterza, Roma-Bari, 2007.
(4) Il richiamo è quello alle leggi sul lavoro degli anni ’70: Statuto dei Lavoratori, processo del lavoro, tutela degli invalidi, garanzie per la maternità, ecc.
(5) Vedi il bel libro di R. SENNETT, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, Milano, 2002.
(6) Si veda il libro di J.RIFKIN, Il sogno europeo, Mondadori, Milano, 2005. L’A. ha individuato nell’Europa il sistema più avanzato di tutela e salvaguardia dei diritti, dato che essa privilegia “lo sviluppo sostenibile sulla crescita materiale, [dei]diritti umani e diritti della natura piuttosto che il diritto di proprietà”, contrariamente al modello statunitense “ troppo concentrato sul progresso materiale degli individui per poter essere rilevante in un mondo di rischi crescenti, diversità e interdipendenza”. Ivi
Forme e modelli di tutela della privacy - Ultima parte
4. Rischio, controllo, sorveglianza
Per cercare di comprendere la portata di questo mutamento storico, oltre che culturale, occorre riandare brevemente al dibattito intorno alla cosiddetta società del rischio, originatosi dalla pubblicazione di un importante studio del sociologo tedesco Ulrich Beck.(47)
L’autore propone di distinguere tra una prima e una seconda modernità, tra due fasi dello sviluppo delle nostre società occidentali, invitandoci ad abbandonare categorie obsolete, non più in grado di spiegarci cosa accade all’ordine mondiale di fronte alle sfide della globalizzazione e delle crisi ecologiche. Mentre la cosiddetta prima modernità, a tutti nota come modello industriale, affermatosi nella società europea a partire dal Settecento dopo varie rivoluzioni politiche e industriali, si connotava per una certa stabilità dei fattori materiali ed intellettuali: una società statale e nazionale, strutture collettive, pieno impiego, rapida industrializzazione, uno sfruttamento della natura non ancora culturalmente evidente, oggi, con la seconda modernità, ci si trova di fronte ad una ‘modernizzazione della modernizzazione’, ad una modernità riflessiva, nella quale sono sottoposte a revisione e problematizzate le contraddizioni della prima modernità.Il ritmo delle modernizzazioni, sostiene Beck, approfondisce la differenza tra i rischi controllabili e il mondo incontrollabile creato da noi stessi. Ad es., in passato, con le decisioni sull’energia atomica e oggi con le scelte sulla ingegneria genetica, si determinano conseguenze imprevedibili, tali da costituire una minaccia per la vita sulla terra.(48)Di qui la centralità assunta dal rischio. Il concetto di rischio, dice l’Autore, è “un concetto moderno. Esso presuppone delle scelte e cerca di rendere prevedibili e controllabili le conseguenze imprevedibili delle scelte compiute in nome del progresso. L'elemento nuovo della società mondiale del rischio sta nel fatto che con le nostre scelte nel nome del progresso diamo luogo a problemi e pericoli globali che contraddicono radicalmente il linguaggio istituzionalizzato del controllo e le promesse di controllo (irresponsabilità organizzata). E' quanto avviene in occasione delle catastrofi portate all'attenzione dell'opinione pubblica mondiale - come Chernobyl o gli attacchi terroristici di New York […]. Proprio in questo risiede l'esplosività politica della società mondiale del rischio. Questa ha il suo centro nella sfera pubblica mass-mediatica, nella politica, nella burocrazia, nell'economia, anche se non necessariamente sul luogo dell'avvenimento. L'esplosività politica non può essere descritta nel linguaggio del rischio, nelle cifre delle vittime morte o ferite, né in formule scientifiche. In esse "esplodono" - se ci si consente questa metafora - le responsabilità, le pretese di razionalità, le legittimazioni in forza dell'aderenza alla realtà; infatti, l'altra faccia del confessato presente di pericolo è il fallimento delle istituzioni che traggono la propria ragion d'essere dall'asserita padronanza del pericolo”(49)
Se dal versante descrittivo ci spostiamo a quello normativo, l’autore suggerisce di elaborare una ‘cultura dell’incertezza’, in grado, secondo lui, di uscire dalla sterile contrapposizione tra sicurezza e rischio; chi decide, infatti, e con quale legittimazione, quando le conseguenze di una decisione toccano i fondamenti della convivenza e della vita stessa?Si tratta di scegliere tra diversi rischi, conclude Beck, anche se si tratta di muoversi all’interno di un paradosso, quello che spesso procede alla distruzione dei valori e dei diritti fondamentali che con le buone intenzioni si vogliono salvaguardare, ivi compresa la questione della privacy.E’ questo il caso della sorveglianza, la nuova categoria che comprende tutte quelle attività dirette alla classificazione, al monitoraggio, al controllo, operando una gestione del rischio che innesca potenti e incontrollabili processi di esclusione ed inclusione sociale.
A questo proposito, D. Lyon, sociologo canadese, si è chiesto se la Società dell’informazione non si stia trasformando in una società della sorveglianza.(50)Ogni società, ovviamente, ha sempre proceduto al controllo sociale della devianza con tecniche più o meno sofisticate, costruendo strumenti e organizzazioni per questo specifico compito. La novità, diciamo così, risiede nell’uso delle ICT, rese idonee alla raccolta e alla conservazione dei dati sia per mezzo delle infrastrutture comunicative come Internet, sia con sistemi di localizzazione e di videosorveglianza sempre più invasivi.La pervasività delle tecnologie utilizzate per il controllo sociale, preventivo e repressivo, debordando dai suoi primitivi confini di controllo poliziesco, si è estesa fino ad includere tutti i comportamenti sociali e tutti gli spazi vitali possibili, inaugurando una nuova era di ‘filosofia della sorveglianza’, espressione poco elegante che sta a significare un nuovo regime di controllo sociale basato sulla raccolta sistematica di informazioni personali, applicato ai luoghi di lavoro, agli scambi economici, ai consumi, ai luoghi pubblici potenzialmente a rischio, ai soliti delinquenti, ecc.Nessuno è escluso: tutti siamo scrutati dalla miriade di occhi elettronici attivi e poi classificati, incasellati nelle asettiche categorie del marketing, il nuovo modello di categorizzazione del corpo sociale che passa da tecnica di rubricazione dei soggetti del mercato a sistema guida del controllo sociale.Lyon giustamente ricorda la celebre lettura che Foucault diede del panopticon benthamiano (51), il più avanzato e moderno modello teorico delle società disciplinari per il filosofo francese; con questo formidabile strumento di controllo, la sorveglianza conduce al conformismo e all’obbedienza, anche al di fuori del primitivo ambito dove era nato, la prigione. E’ parte di quella strategia più ampia che il filosofo francese ha definito disciplina del corpo docile, un modello di controllo sociale in cui sono presenti i criteri di costruzione del potere-sapere, di un dispositivo in grado di elaborare continuamente i codici attraverso i quali ogni società, nel caso di specie la società disciplinare, definisce se stessa mediante il principio dell’esclusione o dell’inclusione, come la ragione definisce se stessa rispetto alla follia, il malato rispetto al sano, il criminale rispetto al buon cittadino.(52)Attualmente, sostiene sempre Lyon, il sistema della sorveglianza è qualitativamente diverso, in quanto il modello della sorveglianza sui consumi e sui consumatori diventa il modello di riferimento per il godimento dei diritti di cittadinanza.Questo nuovo disegno strategico, nell’era digitale, si alimenta delle nuove tecnologie microelettroniche, riorientando continuamente il suo corso sulla base di questo obiettivo, così che “ i database possono costruire ‘soggetti o, piuttosto, oggetti’ le cui identità sono disperse. In quanto tali, essi possono essere ancora sottoposti a dominio, ma secondo nuove modalità. Al panopticon di Bentham subentra il superpanoptismo elettronico. “ (53)Un sociologo americano, Gary T. Marx, ancor prima di Lyon, aveva provato a riflettere sulla sorveglianza, individuando alcune caratteristiche distintive della nuova sorveglianza; essa, per l’autore,v non dipende più dalla distanza, dalla luce e non si ferma di fronte alle barriere fisiche;v non dipende dal tempo, visto che i dati immagazzinati possono essere recuperati e riusabili all’infinito;v non dipende, per il suo funzionamento, dal massiccio uso di forza lavoro ma dagli investimenti in capitale;v si sposta da soggetti specifici a intere categorie di possibili devianti;v ha fra i suoi obiettivi principali la prevenzione delle violazioni;v si avvale dell’autodenuncia: gli individui sono incentivati a dare informazioni su di sé, a volte in cambio di piccoli benefici o per accedere a determinati servizi o per evitare di essere penalizzati;v è tendenzialmente invisibile o comunque a bassa visibilità;v scava sotto la pelle, andando a cercare informazioni all’interno del corpo;v si estende sempre di più, coinvolgendo sempre nuovi soggetti.(54)Sia Lyon che G.T. Marx, in fondo concordano sulla necessità di rifondare una nuova etica della sorveglianza, a partire dalla considerazione che forse il concetto di tutela della privacy non è più adeguato a difendere efficacemente la dignità e la libertà dell’individuo.(55)Scrive infatti Lyon:“Il rischio creato dalla sorveglianza può essere affrontato, secondo alcuni, focalizzando l’attenzione sulla privacy. L’inviolabilità del sé sembrerebbe poter essere difesa ponendo dei limiti legali all’elaborazione indiscriminata dei dati personali (…) [e] non si può negare che la suddetta risposta costituisca una parola d’ordine mobilitante. (…) Allo stesso tempo, però, essa è un mezzo decisamente inadeguato con cui fronteggiare la sorveglianza contemporanea. In primo luogo la privacy risponde, in modo coerente ma paradossale, ai timori personali nei confronti dell’intrusione, dell’invasione e dell’interferenza nella sfera individuale. Avendo fatto sì che ognuno sia separato dai nostri vicini in modo tale da poter essere individuato come atomo sociale , soggetto alla categorizzazione e alla classificazione in quanto astrazione incorporea, le risposte alla privacy riecheggiano esattamente tale individuazione.(…) In ciascun caso, la privacy tende a non credere che la sorveglianza rappresenta un problema sociale”(56)A questo punto forse possiamo chiederci quali siano gli scenari che ci attendono, dopo questa lunga perlustrazione sui concetti di rischio, controllo, sicurezza, sorveglianza. Ritorniamo ancora sul concetto di ambivalenza per comprendere e per giudicare i destini della società di controllo, dato che “non è il caso di avere paura né di sperare, bisogna cercare nuove armi.” (57)Secondo Lyon, l’incessante dataveillance, l’assemblaggio di comportamenti registrati, è dovuto al venir meno delle relazioni dirette, vis a vis; alla scomparsa dei corpi, dunque, corrisponde l’intensificarsi della produzione di informazioni sui corpi trasformati in fonti dirette attraverso la biometria e la genetica. La sorveglianza, sostiene, non è il frutto di un complotto tutto interno al capitalismo ma un “potere produttivo”, un processo conseguente a un’“orchestrazione sociale” in cui tutti siamo chiamati a cooperare.Come ci ha esplicitato Deleuze parlando di società del controllo, in un panorama sociale e produttivo dalla mobilità crescente, popolato di corpi nomadi e individui flessibili (58), il controllo non funziona più attraverso la recinzione degli spazi, attraverso uno schema della sorveglianza reiterato nelle diverse istituzioni – la scuola, la fabbrica, l’ospedale –.come nelle dinamiche disciplinari svelate da Michel Foucault.Le prospettive di ricerca aperte dal filosofo francese possono aiutarci nella ricerca di quelle ‘armi’ concettuali che Deleuze invitava a ricercare. Foucault ha sempre rifuggito l’analisi giuridico-istituzionale del potere, privilegiando invece l’analisi minuziosa dei modi concreti in cui il potere coinvolge il corpo stesso dei soggetti nelle loro forme di vita.Dopo l’analisi geniale delle società disciplinari, in una delle ultime sue opere, egli ha tracciato la via di una nuova ricerca, definita biopolitica, nella quale si mette a tema il rapporto tra corpo e potere. La modernità, sostiene, ingloba la vita naturale nei meccanismi e nei calcoli del potere statuale, trasformando la politica in biopolitica: “per millenni, l’uomo è rimasto quel che era per Aristotele: un animale vivente e, inoltre, capace di esistenza politica; l’uomo moderno è un animale nella cui politica è in questione la sua vita di essere vivente.” (59)Studiando la privacy, abbiamo incontrato la società del controllo e visto che il potere sembra fluire lungo una molteplicità di canali, compresi i corpi degli individui; nessuna torre di guardia centrale sembra dominare il paesaggio sociale.
5. Forme e modelli di tutela della privacy: leggi e istituzioni
In una società sempre più differenziata, mobile, interconnessa, la richiesta di privacy non si manifesta semplicemente come diritto di impedire la raccolta di informazioni senza consenso. Nell’ambito comunicativo, essa si può esprimere anche come esigenza di esplorare forme multiple di identità, per attingere a pieno la libertà di ciascuno, magari attraverso la richiesta di anonimato. Ciò, ovviamente, confligge con l’interesse dei singoli o delle istituzioni di avere chiarezza sulla reale identità dell’interlocutore; in un caso del genere siamo di fronte ad un nuovo conflitto, innescato dalle ICT e con rilevanti conseguenze sociali, oltre che giuridiche. (60) Sono le tecnologie, in un caso emblematico come quello dell’anonimato in rete, oltre a tutti i casi di raccolta e di elaborazione di cui abbiamo parlato in precedenza, a prospettare nuove questioni agli strumenti di garanzia già noti; questa continua rincorsa tra l’innovazione tecnologica e gli strumenti legislativi è l’oggetto delle considerazioni che seguono.
5.1 Le norme a tutela della privacy
Subito dopo la comparsa dell’articolo di Brandeis e Warren, il sistema giuridico americano, derivazione di quello anglosassone, fondato sul common law, cominciò a produrre una serie di sentenze in grado di determinare via via un modello di tutela della privacy. Il soggetto principale di queste scelte divenute poi determinanti, la Corte Suprema statunitense, elaborò sostanzialmente due elementi principali nella tutela della privacy: -l’aspetto passivo, in cui la protezione del singolo si concretizza nella salvaguardia del confine invalicabile tra l’individuo e gli altri, impossibile da oltrepassare senza un esplicito consenso; - l’aspetto attivo, in cui invece, in modo significativo, si salvaguarda la libertà del singolo in modo che egli possa compiere scelte personali, esistenziali, intime in piena autonomia e senza intrusioni, critiche o disapprovazioni della società.(61)Qui si vede operare un potente meccanismo in cui l’individualismo liberale fornisce lo sfondo teorico della libertà personale, che comunque “rimane la richiesta primigenia e radicale quando si parla di diritti”.(62) Nella difesa della privacy, la libertà personale non è difesa solo attraverso il ‘diritto alla solitudine’, secondo la sua prima e più conosciuta formulazione; col tempo diviene un potere di controllo sull’esterno, sulla richiesta di mantenere integri i dati che circolano nelle innumerevoli banche dati che li raccolgono, oltre al diritto di non sapere, al diritto all’oblio che richiama l’intangibilità del corpo della tradizione antica dell’habeas corpus.(63)In linea con questo modo di intendere la tutela della sfera privata, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea(64) (2000), opera una distinzione tra il tradizionale “rispetto della propria vita privata e familiare” (art. 7) e il “diritto alla protezione dei dati personali” (art.8), che si configura così come un diritto nuovo e autonomo. Nel diritto al rispetto della vita privata e familiare si manifesta il momento individualistico della tutela, che si presenta come statica, negativa, cioè tesa a negare intrusioni.La tutela dei dati personali, l’habeas data, che costituisce secondo Rodotà il completamento dell’habeas corpus, si concretizza sulle modalità di circolazione e di trattamento dei dati, fissando anche poteri d’intervento; in questo caso la tutela è dinamica, “insegue” i dati nella loro circolazione. Ecco gli articoli per intero: Articolo 7 Rispetto della vita privata e della vita familiareOgni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni.Articolo 8 Protezione dei dati di carattere personale1. Ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano.2. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni individuo ha il diritto di accedere ai dati raccolti che lo riguardano e di ottenerne la rettifica.3. Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un'autorità indipendente.La Ue, peraltro, era già più volte intervenuta, con calibrate direttive, sulla questione della privacy, spingendo le legislazioni nazionali a intervenire sull’argomento (65), ritenuto strategico anche per la competizione geopolitica con gli Stati Uniti.L’attività dell’unione, però, non si è limitata ad una attività di regolamentazione per uniformare le varie legislazioni nazionali sul trattamento e sulla circolazione dei dati ma ha dovuto negoziare a lungo, con alterne fortune, con la superpotenza d’oltreoceano per ottenere che i propri principi giuridici fossero rispettati. Vediamo due esempi abbastanza significativi.Alla metà degli anni ‘90, infatti, il Parlamento Europeo diede impulso ad una certa quantità di studi sulle tecnologie di controllo, a seguito di indiscrezioni, rapporti riservati e inchieste giornalistiche sul controllo esercitato da alcuni sistemi di sicurezza statunitensi su diverse aree d’interesse strategico, come i segreti industriali e commerciali, notizie riservate d’intelligence contro il terrorismo o trattative riservate per i negoziati GATT.Grande scalpore suscitò la scoperta, dovuta alle dichiarazioni di alcuni alti funzionari della sicurezza inglesi, sull’attività di un sistema di sorveglianza sulle comunicazioni mondiali, denominato ECHELON; fu accertata l'esistenza di apparecchiature di ascolto e sorveglianza diffuse in tutto il pianeta per formare un sistema puntato su tutti i satelliti Intelsat, utilizzati come infrastruttura di trasmissione satellitare per comunicazioni telefoniche, Internet, posta elettronica, fax e telex. Il sistema ECHELON funzionava attraverso l'intercettazione indiscriminata di grandi quantita' di informazioni, da cui venivano estratti elementi interessanti con l'aiuto di sistemi di intelligenza artificiale come Memex, basati sulla ricerca di parole chiave. Con questo sistema, tutte le comunicazioni - interne o esterne agli stati - che viaggiavano attraverso le infrastrutture di comunicazione terrestri o satellitari erano setacciate e vagliate da potenti algoritmi di ricerca che filtravano le informazioni ritenute più importanti. (66)Per venire a tempi più recenti, il confronto tra Ue e Usa ha avuto un altro capitolo significativo all’indomani del sanguinoso attentato a New York dell’11 settembre del 2001; lo shock provocato dall’evento fu tale che immediatamente le autorità statunitensi approntarono una serie di misure di sicurezza che molti commentatori non esitarono a definire liberticide, contrarie allo spirito e alla legge americana. Tra gli altri strumenti escogitati dall’amministrazione americana per controllare i dati, dopo l’approvazione del Patriot Act e la costituzione del Department for homeland security, uno di essi prevedeva che le compagnie aeree dovessero fornire tutti i dati possibili sui passeggeri in volo per gli Stati Uniti, andando anche ben oltre le garanzie minime che le norme comunitarie prevedevano per il trasferimento di dati fuori dell’Ue. L’obiettivo era piuttosto chiaro: estendere il controllo su tutte le persone e, cosa forse ancora più significativa, estendere il modello Usa come l’unico possibile in fatto di trattamento e di sicurezza dei dati. Si intavolò un lungo negoziato, in cui sembrava che il Governo statunitense accettasse le osservazioni e le richieste della Commissione fino a quando, piuttosto sorprendentemente, il Commissario competente per questa materia, Bolkenstein, si disse pronto ad accettare tutte le richieste senza discuterle. L’accordo del 2003, però, fu bloccato dall’intervento allarmato dei Garanti Europei della Privacy e subito dopo da un atto del Parlamento Europeo.Per riandare alla materia del nostro interesse, pur essendo gli Stati Uniti la culla della problematica sulla riservatezza, essi, per la peculiarità del sistema giuridico e per consolidate tradizioni culturali, non hanno mai emanato una normativa simile a quella europea, preferendo affidarsi ad altri principi, più vicini al modello negoziale, quando non direttamente ispirati a logiche commerciali.(67) Basti pensare che il lungo contenzioso commerciale che oppone continuamente gli Usa alla Ue in materia di trattamento dei dati ha prodotto, dopo molti negoziati, un accordo commerciale (68), denominato SAFE HARBOR, per cui sono sostanzialmente le aziende Usa, in contatto per motivi commerciali con l’Unione Europea, che aderiscono spontaneamente alla normativa Ue sullo scambio di dati, invece di osservare un qualche obbligo legislativo.L’Ue, invece, come dicevamo, non solo ha emanato una stringente normativa sulla privacy e sul trattamento dei dati ma ha anche istituito (v. art. 8, comma 3 della Carta dei diritti) un’autorità indipendente (69), Garante europeo della Privacy, composto dai Presidenti delle Autorità garanti nazionali, in grado di monitorare e intervenire su tutte le tematiche connesse alla privacy e al trattamento dei dati, come ad es, sulla videosorveglianza, sul fenomeno dello spamming, sulle comunicazioni politiche, sulla raccolta di dati genetici (70), ecc. Anche le legislazioni nazionali, in fondo, con maggiore o minore aderenza e tempestività, hanno adottato lo stesso modello legislativo-amministrativo.
Giugno 2008
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NOTE
47 Cfr. U.BECK, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Roma, 2000.
48 Ci si chiede se oramai sia del tutto annullata la differenza tra la produzione delle merci e la produzione della vita, con l’avvento della biologia molecolare e delle scienze cognitive, in grado di riprodurre e manipolare artificialmente le facoltà specifiche dell’uomo, il linguaggio o l’intelligenza. Cfr. M.DE CAROLIS, La vita nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Bollati Boringhieri, Torino, 2004.
49 U. BECK, La società mondiale del rischio, La Repubblica, 13 dicembre 2002.
50 Cfr. D. LYON, L’occhio elettronico. Privacy e filosofia della sorveglianza, op. cit. Si veda anche il sito del gruppo di ricerca sulla sorveglianza dell’Università dove lavora il sociologo canadese, la Queen’s University di Kingston, Ontario:http://qsilver.queensu.ca/sociology. .
51 Cfr. M.FOUCAULT, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino, 1976, pp. 213-247. Così Foucault, parlando dei meccanismi di potere che si dispongono intorno al deviante per marchiarlo o per modificarlo: “ Il Panopticon di Bentham è la figura architettonica di questa composizione. Il principio è noto: alla periferia una costruzione ad anello; al centro una torre tagliata da larghe finestre che si aprono verso la faccia interna dell’anello; la costruzione interna è divisa in celle, che occupano ciascuna lo spessore della costruzione; esse hanno due finestre, una verso l’interno, corrispondente alla finestra della torre; l’altra, verso l’esterno, permette alla luce di attraversare la cella da parte a parte. Basta allora mettere un sorvegliante nella torre centrale, ed in ogni cella rinchiudere un pazzo, un ammalato, un condannato, un operaio o uno scolaro. (…) Di qui l’effetto principale del Panopticon: indurre nel detenuto uno stato cosciente di visibilità che assicura il funzionamento automatico del potere. Far sì che la sorveglianza sia permanente nei suoi effetti, anche se è discontinua nella sua azione”, Ivi, p.218-219.Foucault ha collocato la nascita delle società disciplinari tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo. Esse hanno organizzato grandi ambienti di reclusione, dove l'individuo si muoveva da uno spazio chiuso all'altro, ciascuno dotato di proprie leggi. Anzitutto la famiglia e la scuola, che organizzavano la cosiddetta "socializzazione primaria". Poi la caserma, la fabbrica, occasionalmente l'ospedale; senza dimenticare le istituzioni che gestivano la sua riabilitazione e/o esclusione nel caso egli rappresentasse un problema sociale, come il manicomio o la prigione. Ognuno di questi sistemi svolgeva una specifica funzione nella formazione dei membri della società, che consisteva nel garantire individui coerenti con il corpo sociale e il suo modello di funzionamento.
52 Foucault era consapevole, però, dei limiti di questo modello, come avverte Deleuze; oggi, con le riforme annunciate dei vari settori disciplinari, “ si tratta di gestire la loro agonia e di tenere occupata la gente fino all’insediamento delle nuove forze che bussano alla porta. Sono le società di controllo che stanno sostituendo le società disciplinari.” In G. DELEUZE, Poscritto sulle società di controllo, in Pourparler, Quodlibet, Macerata, 2000, p.234.
53 D. LYON, La società sorvegliata, op. cit., p. 151. L’autore argomenta in modo convincente come siano spesso le società di assicurazione a stabilire i criteri guida per il controllo sociale. Altri attori, banche, imprese commerciali, enti pubblici, ecc., giocano comunque un ruolo chiave in questa continua attività di profilazione. In Italia, ad es., poiché per legge è vietato diffondere informazioni sui clienti senza il loro esplicito consenso, ci si è specializzati nella disciplina del geomarketing, una nuova tecnica di analisi dei dati che permette di catalogare i consumatori incrociando i dati sulle caratteristiche socio-economimche delle zone di residenza. Una società leader nel direct marketing è in grado di rubricare il mercato delle famiglie in 46 diversi profili, deducendo le capacità di spesa in base alla zona di residenza. V.su questo punto F. CARLINI, Privacy all’asta, Il Manifesto, 13 agosto 2000.
54 Rielaborazione da G.T.MARX, The iron fist and the velvet glove: Totalitarian Potentials within Democratic Structures, da The Social Fabric: dimensions and issues, James E. Short, Jr . ed, 1986. Reperibile alla URL: http://web.mit.edu/gtmarx. Come dice l’autore, c’è in gioco qualcosa che va oltre la privacy, visto che si tratta di qualcosa che ha delle potenzialità totalitarie; V. Id., Privacy and Technology, in The word and I, September 1990; anche questo saggio è disponibile in rete. Come chiarisce acutamente Deleuze, mentre nelle società disciplinari erano organizzate per individuare l’individuo o la massa, attraverso la firma o un numero di matricola, “nelle società di controllo, viceversa, la cosa essenziale non è più una firma né un numero, ma una cifra: la cifra è un lasciapassare.(…) Il linguaggio numerico del controllo è fatto di cifre che contrassegnano l’accesso all’informazione o il diniego. Non si ha più a che fare con la coppia massa-individuo. Gli individui sono diventati dei “dividuali” e le masse dei campioni, dati, mercati o banche.”. In G. DELEUZE, Poscritto sulle società di controllo, op.cit., p.237. V. su questo punto anche AA.VV., La società del controllo, numero speciale di "DeriveApprodi", n°17, 1999.
55 Cfr. G.T.MARX, An Ethics for the new surveillance, in The Information society, vol. 14, 3, 1998 e D. LYON, La società sorvegliata, op. cit., pp.212-216.
56 D. LYON, La società sorvegliata, op. cit., p. 210. Umberto Eco, in un’intervista comparsa su L’Espresso, dichiarò provocatoriamente che “il problema attuale non è tanto assicurare la privacy a coloro che la sollecitano (percentualmente pochi rispetto al totale della popolazione), bensì di farla considerare un bene prezioso a coloro che vi hanno entusiasticamente rinunciato”. Reperibile sul sito http://www.privacy.it/.
57 G. DELEUZE, Poscritto sulle società di controllo, op.cit., p.235.
58 BENNETT C.J. – REGAN P.M., Surveillance and mobilities, in Surveillance & Society 1(4): pp. 449-455; in rete all’indirizzo http://surveillance-and-scociety.org .
59 M. FOUCAULT, La volontà di sapere, Feltrinelli, Milano 1984, p. 127. E’ forse questo il terreno di ricerca che ci sta davanti.
60 Cfr. D.ROWLAND, Anonimity ,Privacy and Cyberspace, 15th Bileta Conference:”Electronic datasets and access to legal information”, aprile 2000, in http://www.bileta.ac.uk./00papers/rowland.html.
61 Questa distinzione concettuale ricorda molto da vicino la dicotomia studiata e commentata in ambito di filosofia della politica tra ‘libertà da’ e ‘libertà di’ , libertà negativa e libertà positiva; per una efficace ricostruzione concettuale del dibattito tra N. Bobbio e I.Berlin , impossibile in questa sede, v. M. BOVERO (a cura di), Dizionario minimo contro i falsi liberali, Laterza, Roma-Bari, 2004.
62 S.RODOTA’, Libertà personale, in M. BOVERO (a cura di), Dizionario minimo contro i falsi liberali, op. cit., p.34
63 Una delle radici fondamentali della civiltà giuridica moderna è la Magna Charta (1215). In essa viene enunciato per la prima volta il principio di salvaguardia del corpo del suddito dalle violenze del sovrano: “ Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, privato dei suoi diritti, messo fuori legge, esiliato o in alcun modo aggredito e distrutto, e non metteremo mano su di lui, né permetteremo che altri lo faccia, se non in virtù d’un giudizio legale dei suoi pari o secondo la legge del paese.” Si veda anche lo Habeas Corpus Act del 1679, che riguarda la detenzione illegale. La Costituzione italiana (1948), all’art. 13 si esprime in termini pressoché identici: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa alcuna forma di detenzione, di ispezione o di perquisizione personale se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria nei soli casi e modi previsti dalla legge.(…)”.
64 Il Consiglio Europeo, riunitosi a Nizza il 7 dicembre 2000, ha emanato la CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA(2000/C 364/01) IT18.12.2000 - Gazzetta ufficiale delle Comunità europee C 364/1, in http://www.europarl.eu.int/charter/pdf/text_it.pdf. Una dettagliata ricostruzione delle legislazioni europee prima della pubblicazioni della CARTA è stata fatta da M. LOSANO, La privacy nelle legislazioni europeee da G. Buquicchio, Aspetti internazionali della protezione dei dati: il ruolo svolto dal Consiglio d’Europa., , in N. MATTEUCCI (a cura di), Privacy e banche dei dati. Aspetti giuridici e sociali, Il Mulino, Bologna, 1981.
65 Direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati. In Gazzetta ufficiale n. L 281 del 23/11/1995 e Direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche in Gazzetta ufficiale n. L 201 del 31/07/2002. Regolamento (CE) n. 45/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2000, concernente la tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni e degli organismi comunitari, nonché la libera circolazione di tali dati Gazzetta ufficiale 08 del 12/01/2001
66 La sorpresa maggiore fu anche dovuta al fatto che ECHELON faceva parte del sistema congiunto di intelligence angloamericano, ma diversamente dalla maggior parte dei sistemi di spionaggio elettronico sviluppati durante la guerra fredda, ECHELON puntava essenzialmente ad obiettivi non-militari: attivita' governative, di organizzazioni e di imprese in tutti i paesi Ue. Cfr. il cosiddetto Rapporto STOA, reperibile in rete all' indirizzo http://www.europarl.eu.int/dg4/stoa/en/publi/166499/execsum.htm. Lo STOA - Scientific and Technological Options Assessment - è una struttura ufficiale del Parlamento Europeo. Piu' precisamente è un' unita' del Direttorato Generale della Ricerca, con sede a Strasburgo, che ha lo scopo istituzionale di fornire un supporto conoscitivo e orientativo a carattere tecnico-scientifico ai lavori del Parlamento Europeo.
67 Vedi ad es. il sito http://www.epic.org . Negli Usa è un punto di riferimento importante per la tutela della privacy, ma il suo approccio è ispirato ad una logica commerciale. L’acronimo EPIC sta per Electronic privacy Information Center.
68 Il testo dell’accordo è reperibile al sito del Dipartimento del Commercio http://www.export.gov/safeharbor. Nei Principles, si espone con grande chiarezza questa differenza di approccio: “. The European Union's comprehensive privacy legislation, the Directive on Data Protection (the Directive), became effective on October 25, 1998. It requires that transfers of personal data take place only to non-EU countries that provide an "adequate" level of privacy protection. While the United States and the European Union share the goal of enhancing privacy protection for their citizens, the United States takes a different approach to privacy from that taken by the European Union. The United States uses a sectorial approach that relies on a mix of legislation, regulation, and self regulation. Given those differences, many U.S. organizations have expressed uncertainty about the impact of the EU-required "adequacy standard" on personal data transfers from the European Union to the United States. To diminish this uncertainty and provide a more predictable framework for such data transfers, the Department of Commerce is issuing this document and Frequently Asked Questions ("the Principles") under its statutory authority to foster, promote, and develop international commerce.” C.n. In SAFE HARBOR PRIVACY PRINCIPLES, issued by the U.S. Department of Commerce, July 21, 2000.
69 Richiamandosi esplicitamente a istituti giuridici di chiara derivazione anglosassone, sul modello delle authority antitrust o per l’energia.
70 Hanno per esempio vietato la raccolta di dati genetici in ambito assicurativo e lavorativo. V. The working party on the protection of individuals with regard to the processing of personal data, Garanti europei della privacy, Documento comune, 17.3.2004.
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Forme e modelli di tutela della privacy – Seconda parte
3. Sfera pubblica e sfera privata.
Fino a questo punto ci siamo preoccupati di circoscrivere la sfera privata in cui ciascuno si ritira, spesso per difendersi da intrusioni sempre più pervasive. Per chiarire la portata della posta in gioco, vogliamo richiamare - brevemente - uno dei problemi principali della filosofia politica: la separazione tra sfera pubblica e sfera privata.Vi sono collegate almeno due grandi tematiche, storicamente e concettualmente distinte ma convergenti, che trovano una nuova riformulazione: il primo riguarda la cancellazione di questa stessa separazione tra spazio pubblico e spazio privato; il secondo riguarda invece la questione del rapporto tra politica e tecnica, tra l’elemento decisionale e l’elemento tecnico.
3.1 Pubblico Vs. Privato
Quando ci si richiama ai fondamentali del nostro modo d’esistenza, non si può non fare riferimento a quel mondo greco che ha fissato in modo paradigmatico i concetti base della nostra civiltà.(22)Secondo il pensiero greco, la capacità degli uomini di organizzarsi in modo politico è strutturalmente differente – e in netto contrasto – con i rapporti naturali che hanno il loro centro nell’oikia, nella casa e nella famiglia che vi risiede. Il sorgere della polis, la città-stato, come scrive la Arendt,“significò per l’uomo ricevere una sorta di seconda vita, il suo bios politikos. Ora ogni cittadino appartiene a due ordini di esistenza; e c’è una netta distinzione nella sua vita tra ciò che è suo proprio (idion) e ciò che è in comune (koinon). (…) Di tutte le attività necessarie e presenti nelle comunità umane, solo due erano stimate politiche e costitutive di quello che Aristotele chiamò il bios politikos, cioè l’azione (praxis) e il discorso (lexis), da cui trae origine il dominio degli affari umani”(23)Si stabilivano quindi due ordini di esistenza, uno definito naturale, frutto della necessità, separato, nel mondo classico, dalla polis in senso proprio e che restava saldamente confinato, come mera vita riproduttiva, nell’ambito dell’oikos. L’altro, invece, quello della polis, era legato ad uno specifico della politica, il linguaggio, e aveva a che fare con la libertà. La distinzione tra sfera domestica privata e sfera politica pubblica è importante per le conseguenze, oltre che per il tipo di rapporti che si instaurano tra i membri che vi appartengono.La polis, infatti, si distingueva dalla sfera domestica perché si basava sull’uguaglianza di tutti i cittadini, mentre la vita familiare era basata sul totale dominio del capofamiglia (despotes), soggetta alla disuguaglianza di ruoli. Solo quando il capofamiglia lasciava la casa e accedeva alla sfera pubblica era considerato libero.(24)Questa paradigmatica distinzione di ruoli e di qualità di relazioni, tuttavia, sostiene la Arendt, decade con ‘l’avvento della sfera del sociale’, allorchè l’amministrazione domestica, delle sue attività peculiari (economia viene da oikos, casa), dei suoi problemi e dei suoi strumenti specifici fuoriesce “dall’oscura interiorità della casa alla luce della sfera pubblica” [..]; ciò ha “non solo confuso l’antica demarcazione tra il privato e il politico ma ha anche modificato, fino a renderlo irriconoscibile, il significato dei due termini e la loro importanza per la vita dell’individuo e del cittadino.”(25)La posizione arendtiana ci offre la possibilità di fare uno spostamento laterale rispetto alla usuale concezione della privacy, vista come semplice separazione dalla sfera degli affari collettivi. In realtà essa vi appartiene intimamente, poiché il suo luogo di provenienza è lo spazio domestico, il quale, come abbiamo visto, è all’origine delle attività economiche. Così la Arendt:“Nella sensibilità antica, l’aspetto di deprivazione della privacy, indicato nella parola stessa, era considerato predominante; significava letteralmente uno stato di privazione che poteva toccare facoltà più alte e più umane. (…) Noi non pensiamo più alla privazione quando parliamo di vita privata, e questo è in parte dovuto all’enorme arricchimento della vita privata apportato dall’individualismo moderno. Tuttavia appare anche più importante che la moderna esperienza della privacy è almeno tanto opposta al dominio sociale (sconosciuto agli antichi che ne consideravano il contenuto una faccenda privata), quanto lo è alla sfera politica. Il fatto storico decisivo è che la privacy moderna nella sua funzione più rilevante, quella di proteggere l’intimità, fu scoperta come l’opposto non della sfera politica ma di quella sociale, alla quale è di conseguenza più strettamente e autenticamente connessa.”.(26)Nella sfera sociale, che nella modernità ha soppiantato la sfera politica, si ha la comparsa del lavoro e della produttività, sottratte all’oscura dimensione domestica e riproduttiva; essi, col tempo, hanno occupato il centro della scena pubblica. L’homo laborans ha sostituito l’individuo che eccelle nel discorso e nel coraggio dell’azione, modelli ideali del cittadino greco.La complessa ricostruzione che compie la Arendt della coppia concettuale pubblico-privato ha anche il merito di chiarire che le democrazie e i cittadini devono fare i conti con la scomparsa di questa separazione; quando si parla di mercificazione della sfera pubblica (27) o di disneyzzazione degli spazi pubblici (Lyon) si vuole intendere proprio questa colonizzazione da parte dell’economia degli spazi propri della politica. Tuttavia, questo non sembra ancora sufficiente per comprendere fino in fondo questa discontinuità. Come si è detto, il paradigma informazionale determina una radicale novità per i sistemi produttivi, per la circolazione del sapere, per la distribuzione del potere. Occorre quindi determinare quali nuove relazioni si stabiliscono tra comunicazione e politica, tra sistemi comunicativi e sfera pubblica.Anzitutto occorre liberarsi dell’idea strumentale della comunicazione e del ruolo ancillare di questa rispetto alla politica; come afferma Berardi, “la comunicazione è la sfera pubblica tout court, non lo strumento della sua formazione.”(28)In secondo luogo, dice ancora Berardi, “la mutazione che sta attraversando l’organismo sociale dissolve il problema stesso della democrazia. Non possiamo più parlare di libero confronto delle opinioni, come se le opinioni fossero libere, come se le opinioni fossero il risultato di un processo individuale, indipendente dai flussi virali di modellazione del sistema neurosociale.(…) La decisione politica non dipende più dall’opinione, dal confronto fra opinioni relativamente libere. Al livello presente di complessità del meccanismo sociale, la decisione globale dipende sempre meno dall’opinione o dalle volontà, e sempre più dal divenire cieco e inarrestabile dei flussi psicochimici (abitudini, paure, illusioni, assuefazioni, fanatismi) che attraversano la mente sociale.”(29)Fuor di metafora, se è vero che forse l’Autore si libera troppo facilmente del problema della formazione delle opinioni in un sistema comunicativo nel quale i media pongono l’agenda-setting del dibattito politico, è anche vero che forse occorre superare il facile schema classico della competizione delle idee nell’arena politica, mediata in modo neutrale dai mass-media, in primis la televisione: la forma della politica, la forma delle democrazie, sono cambiate con l’avvento della Rete. Tuttavia, l’innovazione tecnologica - rappresentata dall’informazionalismo - e la mutazione cognitiva apportata dal nuovo modello di network delle conoscenze, non producono automaticamente trasparenza democratica e neanche aumento della partecipazione dei cittadini alla gestione della res publica. Il cittadino informato non è necessariamente un cittadino che partecipa.Forse l’unico ambito di esperienza collettiva in cui si sperimentano nuove forme di partecipazione, più che quello politico, è quello amministrativo; l’e-government o l’e-democracy, quando non si riducono ad essere un’altra nicchia d’interesse per il mercato o un modo per le imprese di software per uscire dalle secche della congiuntura sfavorevole, possono rappresentare una nuova forma di partecipazione civica. Tuttavia, anche in questo caso, è spesso la tecnologia disponibile, più che la decisione condivisa, a influenzarne i destini. Più in generale, occorre forse comprendere che di nuovo lo scenario è mutato e gli elementi di fondo che lo compongono hanno cambiato di posto e di ruolo. L’economia ha preso il posto della politica, la produzione ha scalzato il posto della decisione condivisa; la comunicazione connette mondi reali e mondi virtuali, spazialmente e temporalmente distanti; la tecnologia sperimenta continuamente nuovi modi di esistenza e di adattamento all’ambiente. E la politica? E’ diventata solo amministrazione delle risorse, o vi è ancora spazio per la sua autonomia?(30)E’ possibile una società democratica, intendendo questo termine nel suo senso più ampio e non nella sua versione corrente, storicamente determinata e non modello ideale, di democrazia liberale?(31)Non è questo il luogo per rispondere a questo tipo di interrogativi. Vogliamo però affrontare una questione che riguarda l’oggetto della nostra indagine, la privacy, vista nella particolare ottica del rapporto tra politica e tecnica. Basti per adesso accennare al fatto che vi sono esperienze politico-comunicative(32) in cui si cerca di affermare l’autonomia della politica in una nuova versione del diritto all’informazione, senza dimenticare la necessità di garantirsi la proprietà dei mezzi di comunicazione. Infatti, Il diritto all’informazione è stato spesso inteso come cornice generale del problema della formazione dell’opinione e del consenso nelle moderne democrazie. Per questa ragione è stato sempre più strettamente associato alla questione della libertà di espressione. Secondo alcuni autori, nelle società tecnologicamente avanzate esso “dovrebbe [invece] essere considerato il risultato dell’insieme di più diritti: il diritto all’accesso, il diritto all’informazione e alla formazione, il diritto alla cooperazione, il diritto alla partecipazione”(33) Ciò in quanto l’informazione e la comunicazione si intrecciano con le forme della rappresentanza e della democrazia, della partecipazione e dell’autogoverno, del lavoro e dell’economia, del reddito e della produzione.La stretta interrelazione tra economia e informazione, benessere ed accesso al sapere è, d’altra parte, al centro stesso della nozione di Società dell’Informazione ed è per questo ben presente all’attenzione dei governi dei paesi più avanzati, tra i quali quello dell’UE.(34)Non solo il progresso economico, quindi, ma le forme stesse della democrazia sono influenzate dalla possibilità di partecipare a processi decisionali di interesse pubblico secondo modalità collettive che presuppongono l’accesso ad una informazione plurale, verificabile, equamente distribuita e ugualmente accessibile.
3.2 Politiche della tecnica
Come dicevamo, da qualche tempo il dibattito in corso tra i sostenitori del determinismo tecnologico o della tecnologia determinata, si è consolidato su posizioni teoriche più sfumate, sottolineando gli aspetti di multifattorialità e di circolarità del rapporto tra tecnologia e società, in cui le innovazioni tecnologiche sono la risultante di elementi tecnici veri e propri, interessi economici, uso sociale condiviso e a volte imprevedibile.(35) Questa prudente posizione di metodo può essere integrata dal richiamo alle nuove ricerche in ambito di sociologia della scienza, proposte recentemente dalla cosiddetta sociologia costruttivista.(36) L’aspetto più interessante di questo approccio riguarda il tentativo di uscire dalle consuete analisi apocalittiche sulla tecnica e di avvicinarsi più pragmaticamente alle concrete applicazioni della tecnologia, per studiarne gli usi e per darsi la possibilità di intervenire democraticamente sui suoi effetti e soprattutto sui suoi sviluppi futuri.La proposta di un metodo di questo tipo ci consente di superare dialetticamente le letture epocali della tecnica, il cui riferimento principale, com’è noto, è il pensiero heideggeriano (37), la cui posizione filosofica ha fissato in modo definitivo i termini della questione, tanto da rendere quasi ininfluente ogni discorso ulteriore.Secondo questa analisi, infatti, la tecnica non è uno strumento neutrale, ma il risultato di un processo per cui l’uomo ha usato la realtà come “fondo” (Bestand) , come una sorta di magazzino, pretendendo dalla natura che essa gli fornisse ciò di cui ha bisogno, in un’ottica di totale sottomissione, di ottimizzazione, questa provocazione continua, questo atteggiamento che considera ogni ente in termini di impiegabilità e di uso, conduce l’umanità, secondo la peculiare terminologia heideggeriana, alla im-posizione (Gestell) della realtà come fondo, per cui non è la tecnica che segue alla scienza ma viceversa: le scienze sono al servizio della tecnica, intesa in questo senso impositivo e organizzativo. Questo modo di intendere la Tecnica, non è tecnico esso stesso, ma concerne il modo stesso dell’uomo di stare al mondo in questa fase della storia; per questo, l’A. dice che esso è una destinazione, quasi un destino, se si intende in questa parola un senso non fatalistico. Esso costituisce oggi l’orizzonte storico in cui si muove l’umanità nel suo complesso, anche se “ non ci chiude affatto in una ottusa costrizione per cui dobbiamo darci alla tecnica in modo cieco, oppure – che è lo stesso – rivoltarci vanamente contro di essa e condannarla come opera del demonio. All’opposto: se ci apriamo autenticamente all’essenza della tecnica, ci troviamo insperatamente richiamati da un appello liberatore.”(38)Diverse generazioni di studiosi della tecnica hanno dovuto fare i conti con questa impostazione, finendo spesso per aggiungervi solo delle glosse. Recentemente, come si è detto, si è cercato di integrare questa visione essenzialista con una posizione più relativista e pragmatica, se ci riferiamo rispettivamente ai cultural studies (39) o al costruttivismo.Venendo agli aspetti che più ci interessano, quelli dell’uso politico delle tecnologie, chi ha cercato di rispondere a questo ‘appello liberatore’, operando una rilettura delle posizioni teoriche della Scuola di Francoforte, oltre al palese riferimento alle tematiche costruttiviste, è un filosofo americano, Andrew Feenberg. La sua prospettiva teorica, in buona sostanza, mira a recuperare una nuova possibilità per la politica di (ri)determinare il corso degli eventi, rifiutando di dover considerare la sfera tecnica e quella sociale come distinte e invece legare il destino della democrazia alla comprensione e gestione della tecnica; scrive l’A.:“ il dualismo metodologico di tecnica e significato ha delle implicazioni politiche. Da una parte, la tecnica indebolisce i significati tradizionali o l’azione comunicativa, mentre dall’altra siamo chiamati a proteggere l’integrità di un mondo dotato di senso” E poco oltre:“Quali sono le implicazioni politiche di questa prospettiva per la democrazia? E’ questa la questione politica della tecnica. Solo estendendo il problema politico della tecnica fino a includere tutti gli aspetti della società, essa potrà ridiventare importante nel tempo attuale.”(40)Superare il determinismo e l’essenzialismo si può, secondo Feenberg, se accettiamo il modello costruttivista, riassunto nei punti seguenti:“1. la progettazione tecnica non è determinata da un criterio generale, come ad esempio l’efficienza, ma da un processo sociale che contraddistingue le alternative tecniche secondo una varietà di criteri specifici ad ogni caso.2. questo processo sociale non concerne la soddisfazione dei bisogni umani ‘naturali’, ma riguarda la definizione culturale dei bisogni e quindi dei problemi ai quali si rivolge;3. le definizioni rivali riflettono visioni conflittuali della società moderna realizzate nelle diverse scelte tecniche.”(41)Ecco profilarsi una forma alternativa di razionalità, diversa dalla razionalità burocratica weberiana, che egli definisce razionalizzazione democratica. Foucaultianamente, affida alle micropolitiche tecniche (42) la possibilità di sfidare i regimi tecnici standardizzati, per immaginare, negoziare e realizzare un ordine alternativo. Esempi di nuovi ordini creativi, per il filosofo americano, si trovano nelle appropriazioni creative del software o nel campo medico, come nel caso del Minitel francese o dell’ingresso dei malati di AIDS nelle commissioni incaricate di redigere i programmi di ricerca e di sperimentazione.Può sembrare abbastanza ingenuo, oggi, pensare con Feenberg che la”tecnologia non è un destino che bisogna accettare o rifiutare, ma una sfida alla creatività politica e sociale” (43)Tuttavia, ci avverte il filosofo americano, visto che non c’è più un soggetto unico, depositario della coscienza sociale, i cambiamenti politici e più largamente sociali forse oggi si giocano a questo livello micropolitico e reticolare di riorientamento delle scelte tecniche, interrogandosi sul chi, sul come e sul cosa delle scelte tecniche, dato che esse, in fondo, se lasciate a meccanismi automatici, determinaneranno i confini dei nostri spazi vitali in modo sempre più pervasivo. Questo lungo detour non sembri eccentrico rispetto ai temi svolti nella prima parte, poiché le questioni che abbiamo posto a proposito del rapporto tra politica, comunicazione e tecnologia nella moderna sfera pubblica trovano qui una parziale risposta.Di fronte alla difesa della privacy, infatti, si pone spesso un’immagine autoreferenziale delle tecnologie, capaci di porre rimedio ai danni che hanno inferto. Lo sviluppo delle cosiddette Privacy Enhancing Technologies (PET)(44), sistemi tecnici in grado di proteggere la privacy, ha portato alla luce come sia possibile rendere più agevole quella tutela a fronte di una richiesta sociale di riservatezza. Tuttavia, proprio l’accento posto sulle tecnologie di tutela, fa rinascere quella propensione tecnicistica, tutta interna ai dispositivi tecnologici e alla loro progettazione, a scapito dell’intervento legislativo o quello più propriamente politico. Come scrive Rodotà,“ un rapporto corretto tra dimensione tecnica e dimensione socio-legislativa può essere stabilito solo se le Privacy Enhancing Technologies sono concepite come una precondizione per la successiva valutazione politica delle questioni e, quindi, per eventuali interventi legislativi. Devono essere considerate come uno degli elementi di una strategia più ampia, nella quale l’innovazione tecnologica rende possibile una innovazione sociale.”(45)Dicevamo che si tratta di una parziale risposta perché la scelta tra tecnica autorigenerante, intervento legislativo e autotutela (46) non ha ancora trovato ancora un equilibrio soddisfacente. Ciò deriva, forse, dalla mancata comprensione della posta in gioco, dal mancato riconoscimento che la tanto decantata Società dell’Informazione si è via via trasformata in una Società della Sorveglianza. Il capitolo che segue sarà dedicato a questa importante tematica.
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NOTE
22. Quanto alla politica, il passaggio obbligato è più che il Platone de La Repubblica, la Politica di Aristotele. Cfr. ARISTOTELE, Politica, Laterza, Roma-Bari, 1993 e Id., Etica Nicomachea, Laterza, Roma-Bari, 1988, 3° ed.
23. H. ARENDT, Vita Activa, op. cit., p.19. E poco oltre: “il dominio della polis, al contrario, era la sfera della libertà, e se c’era una relazione tra queste due sfere, il controllo della necessità della vita nella sfera domestica era evidentemente il presupposto della libertà nella polis.” Ibidem, p. 23. La rilettura che l’autrice fa del mito fondativo della polis ha valore meramente concettuale, non di riproposizione storica, che risulterebbe anacronistica e fuorviante. Il suo intento principale è critico-ermeneutico, mostrare come si sia giunti all’attuale “espropriazione della politica”, nella quale l’amministrazione ha sostituito la politica e il produrre ha sostituito l’agire, per cui la produttività diviene l’unico senso dell’agire in comune. Su questo punto cfr. A. DAL LAGO, Prefazione a Vita Activa, op. cit. , pp. XXI e segg.
24. La diversità qualitativa era data, secondo Aristotele, dalla buona vita: “ la comunità che risulta di più villaggi è lo stato, perfetto, che raggiunge ormai, per così dire, il limite dell’autosufficienza completa: formato per rendere possibile la vita, in realtà esiste per rendere possibile una vita felice.” ARISTOTELE, Politica, op.cit., 1252 b 30.
25. H. ARENDT, Vita Activa, op. cit., p.28.
26. Ibidem, ivi.
27. Cfr. H.RHEINGOLD, Comunità virtuali .Parlare, incontrarsi, vivere nel cyberspazio, op.cit., pp-320-325
28. F. BERARDI (BIFO), Cibernauti. Tecnologia, comunicazione, democrazia, Castelvecchi, Roma, 1996, p. 112.
29.Ibidem, p.114. A proposito di mente sociale, l’A. riprende qui il concetto di Brainframe, proposto dal teorico della comunicazione, D. de Kerkhove. V. D. DE KERKHOVE, Brainframes, Baskerville, Bologna, 1993. Secondo questa prospettiva, lo spazio mentale degli individui è parte delle stesse infrastrutture comunicative, ponendo una similitudine tra sistema nervoso e strumenti di comunicazione; ogni medium consente una esternalizzazione del pensiero verso la dimensione pubblica. Non la pensa allo stesso modo P. Levy, che accusa di riduzionismo questa posizione, instaurando un parallelo tra le società animali e quelle umane. Secondo il filosofo francese, lo spazio comunicativo è piuttosto una cosmopedia, una quantità di mondi virtuali nei quali condividere e scambiare saperi e competenze.
30. L’autonomia del politico si misura anche in relazione al problema dello Stato-nazione moderno. In un intervento apparso su una rivista, il filosofo Massimo Cacciari, sostiene che “vi è una compenetrazione essenziale, come hanno detto i filosofi (ma è anche il vero nodo tragico del pensiero di M. Weber), una coniugazione forte tra il politico moderno e il nichilismo. Questo cioè è un rapporto connaturale per il politico moderno, contratto nella forma statuale. Nello Stato che ha come suo zollen, suo dovere, suo imperativo categorico quello di diventare tecnica, detrieb, azienda, e quindi di eliminare ogni riferimento di valore che ne problematizzi l’assetto tecnico-economico-amministrativo. Che cosa significa nichilismo? Significa che per la nostra specie di uomini (…) è niente: vale niente tutto ciò che non sia tecnico-economico. Che ogni orizzonte di valore ulteriore rispetto al tecnico-economico è niente.” M.CACCIARI, Concorrenza e solidarietà nella politica e nella società. Le forme del sovrano, in “Next”, Strumenti per l’innovazione, 13, 2001, p. 115.
31. Si è parlato a questo proposito, di postdemocrazia. In questo nuovo regime, “anche se le elezioni continuano a svolgersi e condizionare i governi, il dibattito elettorale è uno spettacolo saldamente controllato, condotto da gruppi rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione e si esercita su un numero limitato di questioni selezionate da questi gruppi. La massa dei cittadini svolge un ruolo passivo, acquiescente, persino apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve. A parte lo spettacolo della lotta elettorale, la politica viene decisa in privato dall’interazione tra i governi eletti e le èlites che rappresentano quasi esclusivamente interessi economici”. C. CROUCH, Postdemocrazia, Laterza, Roma-Bari, 2003, p. 6. E’ molto distante dalla realtà, come si vede, il tentativo habermasiano di ridare smalto all’utopia illuminista della razionalità discorsiva V. J. HABERMAS, Teoria dell’agire comunicativo, Il Mulino, Bologna, 1986. L' agire comunicativo dovrebbe rappresentare la condizione originaria del soggetto che si pone in relazione con se stesso, con gli altri e con il mondo esterno, attraverso il linguaggio che funge da medium. La comunicazione, oltre che agire sul piano della conoscenza, interviene sulla sfera dell’azione. Alla strumentalità della comunicazione e dei suoi mezzi, si sostituiscono la razionalità, la logica, la dialettica, che regolano, attraverso il linguaggio, i rapporti e le azioni degli uomini.
32. Come abbiamo visto le questioni sono ormai intimamente legate: il “discorso” di Aristotele, il linguaggio come segno distintivo della politica, torna sotto altre forme, quelle della comunicazione mediatizzata.
33. A. DI CORINTO, T. TOZZI, Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, op. cit., pp. 75-76.c.n. Nello stesso volume è possibile trovare esempi di importanti esperienze politico-comunicative e i riferimenti ai siti più importanti.
34. Tale attenzione risulta da tutti i più recenti documenti comunitari, dal documento di lavoro della Commissione e-Inclusion. The Information Society’s potential for social inclusion in Europe [18.9.2001, SEC(2001)], che si prefigge di sfruttare le possibilità offerte dalla SI ai fini dell’inclusione sociale a eEurope 2002 [COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, eEurope2002.Analisi comparativa dei progressi dell’iniziativa eEurope, Bruxelles, 5.02.2002, COM (2002) 62 definitivo], nel quale si indica nella promozione dell’accesso ad Internet una delle leve dello sviluppo e della promozione culturale dei cittadini europei. Identico obiettivo nel Piano d’azione eEurope2005 [COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO eEurope 2005: una società dell’informazione per tutti, Bruxelles, 28.05.2002, COM (2002) 263 definitivo] che, come recita il sottotitolo si propone di massimizzare la diffusione di Internet ed abbattere il digital divide, fino al recente messaggio del Commissario per la società dell’informazione di Erkki Liikanen [E. LIIKANEN, e-Government for Europe’s public services of the future, Inaugural Lecture of the 2003-2004 Academic Year] che, a sua volta, si focalizza sull’”inclusive access” evidenziando come uno degli strumenti per la sua realizzazione sia il “Multi-platform access”: “The principle of access for all to public services is an important objective of public administration. Partecipation can be improved if services can be accessed through a choice of devices, including PC, digital TV, mobile terminal, or public Internet access points, next to the the usual physical, offline service provision”. Cfr. ivi., p. 10.
35. V. su questo punto P. LEVY, Le tecnologie dell’intelligenza, Milano, A/traverso libri, 1992 e H. RHEINGOLD, Smart Mobs, op. cit.. Riflettendo su tale questione Rheingold ha osservato che “il computer e Internet erano stati progettati, ma il modo in cui la gente li ha usati non era stato previsto per nessuna di queste due tecnologie, i loro utilizzi più dirompenti non erano stati intuiti neppure dai loro progettisti o venditori. La scrittura elettronica (word processing) e le comunità virtuali, eBay e l’e-commerce, Google, i blogs […] ”. Ivi, p. 290.
36. Per una ricognizione complessiva sul contributo costruttivista nel pensiero della tecnica attuale, si vedano i lavori di M. NACCI ( a cura di) Oggetti d’uso quotidiano. Rivoluzioni tecnologiche della vita d’oggi, Marsilio, Venezia, 1998 e Id., Pensare la tecnica. Un secolo di incomprensioni, Laterza, Roma-Bari, 2000. Influenzato dai lavori di Kuhn e Feyerabend, il metodo costruttivista cerca di rendere possibile l’analisi degli artefatti in relazione con i diversi attori sociali. La tecnologia, sostengono i principali esponenti di questa corrente sociologica, non è autonoma, guidata da leggi proprie, ma (può essere) orientata dalle molteplici forze sociali. L’innovazione tecnologica, secondo questa prospettiva, è in co-evoluzione con i fattori socio-culturali e con i fattori materiali di sviluppo.
37. Cfr. M. HEIDEGGER, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, Mursia, Milano, 1980, pp. 5-27. Il filosofo tedesco non è il solo a considerare la tecnica moderna un elemento centrale del nostro orizzonte concettuale. Analisi simili, svolgono infatti altri pensatori e sociologi, da Adorno a Weber, da Ellul a Borgmann, da Baudrillard a Severino, ecc. Prendiamo come riferimento Heidegger perché è probabilmente colui che meglio ha argomentato una posizione che è stata definita da un filosofo americano, A. Feenberg, come “essenzialista” e che vede la Tecnica come l’essenza della nostra epoca, presa nella sua determinazione metafisica. V. A. FEENBERG, Tecnologia in discussione. Filosofia e politica della moderna società tecnologica, Etas, Milano, 2002.
38. M. HEIDEGGER, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, op. cit. p.19. Questa “liberazione” richiamata come passaggio conclusivo, viene affidata, nel pensiero dell’autore, all’arte, l’unica attività in grado di aprire nuovi modi di essere.
39. Cfr. C. LUTTER, M. REISENLEITNER, Cultural Studies .Un’introduzione, Bruno Mondadori, Milano, 2004.
40. Cfr. A. FEENBERG, Tecnologia in discussione. Filosofia e politica della moderna società tecnologica, op. cit.
41. Ibidem, p.24 e segg. Feenberg porta a sostegno della sua tesi anche dei dati storici. Ad es., quando furono presentate le prime biciclette, le progettazioni si erano spinte in varie direzioni, riconducibili ai due modelli da corsa o per trasporto. Solo alla fine il progetto sicuro, quello da trasporto, con una ruota anteriore uguale a quella posteriore, prevalse. La scelta tra le alternative, dunque, non dipende né dall’efficienza tecnica né spesso da quella economica, ma “dall’intersezione di oggetti, interessi e credenze dei vari gruppi sociali che influenzano il processo di progettazione”.
42. Vedi M. FOUCAULT, Microfisica del potere, Einaudi, Torino, 1992.
43. Cfr. A. FEENBERG, Tecnologia in discussione. Filosofia e politica della moderna società tecnologica, op. cit.,p.268
44. Su questo punto cfr. S. RODOTA’, Tecnopolitica, op. cit. pp. 145 e ss. Si possono predisporre, ad esempio, programmi utili ad eliminare dopo un certo tempo le informazioni in occasioni di transazioni commerciali o quelle personali dopo un certo termine
45. Ibidem, p. 147.
46. Ci si riferisce qui a tutte quelle pratiche di autotutela della privacy da parte di quegli organismi politici antagonisti che progettano e diffondono strumenti di difesa come ad es. i remailer e che trovano il loro terreno elettivo dentro la Rete. Così nel Cypherpunk’s Manifesto, 1993:” Dobbiamo difendere la nostra privacy, se vogliamo averne una. Dobbiamo unire le nostre forze e creare sistemi che permettano lo svolgersi di transazioni anonime. Da secoli la gente difende la propria privacy con sussurri al buio, buste, porte chiuse, strette di mano segrete e corrieri. Le tecnologie del passato non permettevano una forte privacy, ma le tecnologie elettroniche sì. Noi cypherpunk siamo votati alla costruzione di sistemi di anonimato. Noi difendiamo la nostra privacy con la crittografia, con sistemi di invio di posta anonimi, con firme digitali e con il denaro elettronico.” Vedi ad es. http://isole.ecn.org/
Fino a questo punto ci siamo preoccupati di circoscrivere la sfera privata in cui ciascuno si ritira, spesso per difendersi da intrusioni sempre più pervasive. Per chiarire la portata della posta in gioco, vogliamo richiamare - brevemente - uno dei problemi principali della filosofia politica: la separazione tra sfera pubblica e sfera privata.Vi sono collegate almeno due grandi tematiche, storicamente e concettualmente distinte ma convergenti, che trovano una nuova riformulazione: il primo riguarda la cancellazione di questa stessa separazione tra spazio pubblico e spazio privato; il secondo riguarda invece la questione del rapporto tra politica e tecnica, tra l’elemento decisionale e l’elemento tecnico.
3.1 Pubblico Vs. Privato
Quando ci si richiama ai fondamentali del nostro modo d’esistenza, non si può non fare riferimento a quel mondo greco che ha fissato in modo paradigmatico i concetti base della nostra civiltà.(22)Secondo il pensiero greco, la capacità degli uomini di organizzarsi in modo politico è strutturalmente differente – e in netto contrasto – con i rapporti naturali che hanno il loro centro nell’oikia, nella casa e nella famiglia che vi risiede. Il sorgere della polis, la città-stato, come scrive la Arendt,“significò per l’uomo ricevere una sorta di seconda vita, il suo bios politikos. Ora ogni cittadino appartiene a due ordini di esistenza; e c’è una netta distinzione nella sua vita tra ciò che è suo proprio (idion) e ciò che è in comune (koinon). (…) Di tutte le attività necessarie e presenti nelle comunità umane, solo due erano stimate politiche e costitutive di quello che Aristotele chiamò il bios politikos, cioè l’azione (praxis) e il discorso (lexis), da cui trae origine il dominio degli affari umani”(23)Si stabilivano quindi due ordini di esistenza, uno definito naturale, frutto della necessità, separato, nel mondo classico, dalla polis in senso proprio e che restava saldamente confinato, come mera vita riproduttiva, nell’ambito dell’oikos. L’altro, invece, quello della polis, era legato ad uno specifico della politica, il linguaggio, e aveva a che fare con la libertà. La distinzione tra sfera domestica privata e sfera politica pubblica è importante per le conseguenze, oltre che per il tipo di rapporti che si instaurano tra i membri che vi appartengono.La polis, infatti, si distingueva dalla sfera domestica perché si basava sull’uguaglianza di tutti i cittadini, mentre la vita familiare era basata sul totale dominio del capofamiglia (despotes), soggetta alla disuguaglianza di ruoli. Solo quando il capofamiglia lasciava la casa e accedeva alla sfera pubblica era considerato libero.(24)Questa paradigmatica distinzione di ruoli e di qualità di relazioni, tuttavia, sostiene la Arendt, decade con ‘l’avvento della sfera del sociale’, allorchè l’amministrazione domestica, delle sue attività peculiari (economia viene da oikos, casa), dei suoi problemi e dei suoi strumenti specifici fuoriesce “dall’oscura interiorità della casa alla luce della sfera pubblica” [..]; ciò ha “non solo confuso l’antica demarcazione tra il privato e il politico ma ha anche modificato, fino a renderlo irriconoscibile, il significato dei due termini e la loro importanza per la vita dell’individuo e del cittadino.”(25)La posizione arendtiana ci offre la possibilità di fare uno spostamento laterale rispetto alla usuale concezione della privacy, vista come semplice separazione dalla sfera degli affari collettivi. In realtà essa vi appartiene intimamente, poiché il suo luogo di provenienza è lo spazio domestico, il quale, come abbiamo visto, è all’origine delle attività economiche. Così la Arendt:“Nella sensibilità antica, l’aspetto di deprivazione della privacy, indicato nella parola stessa, era considerato predominante; significava letteralmente uno stato di privazione che poteva toccare facoltà più alte e più umane. (…) Noi non pensiamo più alla privazione quando parliamo di vita privata, e questo è in parte dovuto all’enorme arricchimento della vita privata apportato dall’individualismo moderno. Tuttavia appare anche più importante che la moderna esperienza della privacy è almeno tanto opposta al dominio sociale (sconosciuto agli antichi che ne consideravano il contenuto una faccenda privata), quanto lo è alla sfera politica. Il fatto storico decisivo è che la privacy moderna nella sua funzione più rilevante, quella di proteggere l’intimità, fu scoperta come l’opposto non della sfera politica ma di quella sociale, alla quale è di conseguenza più strettamente e autenticamente connessa.”.(26)Nella sfera sociale, che nella modernità ha soppiantato la sfera politica, si ha la comparsa del lavoro e della produttività, sottratte all’oscura dimensione domestica e riproduttiva; essi, col tempo, hanno occupato il centro della scena pubblica. L’homo laborans ha sostituito l’individuo che eccelle nel discorso e nel coraggio dell’azione, modelli ideali del cittadino greco.La complessa ricostruzione che compie la Arendt della coppia concettuale pubblico-privato ha anche il merito di chiarire che le democrazie e i cittadini devono fare i conti con la scomparsa di questa separazione; quando si parla di mercificazione della sfera pubblica (27) o di disneyzzazione degli spazi pubblici (Lyon) si vuole intendere proprio questa colonizzazione da parte dell’economia degli spazi propri della politica. Tuttavia, questo non sembra ancora sufficiente per comprendere fino in fondo questa discontinuità. Come si è detto, il paradigma informazionale determina una radicale novità per i sistemi produttivi, per la circolazione del sapere, per la distribuzione del potere. Occorre quindi determinare quali nuove relazioni si stabiliscono tra comunicazione e politica, tra sistemi comunicativi e sfera pubblica.Anzitutto occorre liberarsi dell’idea strumentale della comunicazione e del ruolo ancillare di questa rispetto alla politica; come afferma Berardi, “la comunicazione è la sfera pubblica tout court, non lo strumento della sua formazione.”(28)In secondo luogo, dice ancora Berardi, “la mutazione che sta attraversando l’organismo sociale dissolve il problema stesso della democrazia. Non possiamo più parlare di libero confronto delle opinioni, come se le opinioni fossero libere, come se le opinioni fossero il risultato di un processo individuale, indipendente dai flussi virali di modellazione del sistema neurosociale.(…) La decisione politica non dipende più dall’opinione, dal confronto fra opinioni relativamente libere. Al livello presente di complessità del meccanismo sociale, la decisione globale dipende sempre meno dall’opinione o dalle volontà, e sempre più dal divenire cieco e inarrestabile dei flussi psicochimici (abitudini, paure, illusioni, assuefazioni, fanatismi) che attraversano la mente sociale.”(29)Fuor di metafora, se è vero che forse l’Autore si libera troppo facilmente del problema della formazione delle opinioni in un sistema comunicativo nel quale i media pongono l’agenda-setting del dibattito politico, è anche vero che forse occorre superare il facile schema classico della competizione delle idee nell’arena politica, mediata in modo neutrale dai mass-media, in primis la televisione: la forma della politica, la forma delle democrazie, sono cambiate con l’avvento della Rete. Tuttavia, l’innovazione tecnologica - rappresentata dall’informazionalismo - e la mutazione cognitiva apportata dal nuovo modello di network delle conoscenze, non producono automaticamente trasparenza democratica e neanche aumento della partecipazione dei cittadini alla gestione della res publica. Il cittadino informato non è necessariamente un cittadino che partecipa.Forse l’unico ambito di esperienza collettiva in cui si sperimentano nuove forme di partecipazione, più che quello politico, è quello amministrativo; l’e-government o l’e-democracy, quando non si riducono ad essere un’altra nicchia d’interesse per il mercato o un modo per le imprese di software per uscire dalle secche della congiuntura sfavorevole, possono rappresentare una nuova forma di partecipazione civica. Tuttavia, anche in questo caso, è spesso la tecnologia disponibile, più che la decisione condivisa, a influenzarne i destini. Più in generale, occorre forse comprendere che di nuovo lo scenario è mutato e gli elementi di fondo che lo compongono hanno cambiato di posto e di ruolo. L’economia ha preso il posto della politica, la produzione ha scalzato il posto della decisione condivisa; la comunicazione connette mondi reali e mondi virtuali, spazialmente e temporalmente distanti; la tecnologia sperimenta continuamente nuovi modi di esistenza e di adattamento all’ambiente. E la politica? E’ diventata solo amministrazione delle risorse, o vi è ancora spazio per la sua autonomia?(30)E’ possibile una società democratica, intendendo questo termine nel suo senso più ampio e non nella sua versione corrente, storicamente determinata e non modello ideale, di democrazia liberale?(31)Non è questo il luogo per rispondere a questo tipo di interrogativi. Vogliamo però affrontare una questione che riguarda l’oggetto della nostra indagine, la privacy, vista nella particolare ottica del rapporto tra politica e tecnica. Basti per adesso accennare al fatto che vi sono esperienze politico-comunicative(32) in cui si cerca di affermare l’autonomia della politica in una nuova versione del diritto all’informazione, senza dimenticare la necessità di garantirsi la proprietà dei mezzi di comunicazione. Infatti, Il diritto all’informazione è stato spesso inteso come cornice generale del problema della formazione dell’opinione e del consenso nelle moderne democrazie. Per questa ragione è stato sempre più strettamente associato alla questione della libertà di espressione. Secondo alcuni autori, nelle società tecnologicamente avanzate esso “dovrebbe [invece] essere considerato il risultato dell’insieme di più diritti: il diritto all’accesso, il diritto all’informazione e alla formazione, il diritto alla cooperazione, il diritto alla partecipazione”(33) Ciò in quanto l’informazione e la comunicazione si intrecciano con le forme della rappresentanza e della democrazia, della partecipazione e dell’autogoverno, del lavoro e dell’economia, del reddito e della produzione.La stretta interrelazione tra economia e informazione, benessere ed accesso al sapere è, d’altra parte, al centro stesso della nozione di Società dell’Informazione ed è per questo ben presente all’attenzione dei governi dei paesi più avanzati, tra i quali quello dell’UE.(34)Non solo il progresso economico, quindi, ma le forme stesse della democrazia sono influenzate dalla possibilità di partecipare a processi decisionali di interesse pubblico secondo modalità collettive che presuppongono l’accesso ad una informazione plurale, verificabile, equamente distribuita e ugualmente accessibile.
3.2 Politiche della tecnica
Come dicevamo, da qualche tempo il dibattito in corso tra i sostenitori del determinismo tecnologico o della tecnologia determinata, si è consolidato su posizioni teoriche più sfumate, sottolineando gli aspetti di multifattorialità e di circolarità del rapporto tra tecnologia e società, in cui le innovazioni tecnologiche sono la risultante di elementi tecnici veri e propri, interessi economici, uso sociale condiviso e a volte imprevedibile.(35) Questa prudente posizione di metodo può essere integrata dal richiamo alle nuove ricerche in ambito di sociologia della scienza, proposte recentemente dalla cosiddetta sociologia costruttivista.(36) L’aspetto più interessante di questo approccio riguarda il tentativo di uscire dalle consuete analisi apocalittiche sulla tecnica e di avvicinarsi più pragmaticamente alle concrete applicazioni della tecnologia, per studiarne gli usi e per darsi la possibilità di intervenire democraticamente sui suoi effetti e soprattutto sui suoi sviluppi futuri.La proposta di un metodo di questo tipo ci consente di superare dialetticamente le letture epocali della tecnica, il cui riferimento principale, com’è noto, è il pensiero heideggeriano (37), la cui posizione filosofica ha fissato in modo definitivo i termini della questione, tanto da rendere quasi ininfluente ogni discorso ulteriore.Secondo questa analisi, infatti, la tecnica non è uno strumento neutrale, ma il risultato di un processo per cui l’uomo ha usato la realtà come “fondo” (Bestand) , come una sorta di magazzino, pretendendo dalla natura che essa gli fornisse ciò di cui ha bisogno, in un’ottica di totale sottomissione, di ottimizzazione, questa provocazione continua, questo atteggiamento che considera ogni ente in termini di impiegabilità e di uso, conduce l’umanità, secondo la peculiare terminologia heideggeriana, alla im-posizione (Gestell) della realtà come fondo, per cui non è la tecnica che segue alla scienza ma viceversa: le scienze sono al servizio della tecnica, intesa in questo senso impositivo e organizzativo. Questo modo di intendere la Tecnica, non è tecnico esso stesso, ma concerne il modo stesso dell’uomo di stare al mondo in questa fase della storia; per questo, l’A. dice che esso è una destinazione, quasi un destino, se si intende in questa parola un senso non fatalistico. Esso costituisce oggi l’orizzonte storico in cui si muove l’umanità nel suo complesso, anche se “ non ci chiude affatto in una ottusa costrizione per cui dobbiamo darci alla tecnica in modo cieco, oppure – che è lo stesso – rivoltarci vanamente contro di essa e condannarla come opera del demonio. All’opposto: se ci apriamo autenticamente all’essenza della tecnica, ci troviamo insperatamente richiamati da un appello liberatore.”(38)Diverse generazioni di studiosi della tecnica hanno dovuto fare i conti con questa impostazione, finendo spesso per aggiungervi solo delle glosse. Recentemente, come si è detto, si è cercato di integrare questa visione essenzialista con una posizione più relativista e pragmatica, se ci riferiamo rispettivamente ai cultural studies (39) o al costruttivismo.Venendo agli aspetti che più ci interessano, quelli dell’uso politico delle tecnologie, chi ha cercato di rispondere a questo ‘appello liberatore’, operando una rilettura delle posizioni teoriche della Scuola di Francoforte, oltre al palese riferimento alle tematiche costruttiviste, è un filosofo americano, Andrew Feenberg. La sua prospettiva teorica, in buona sostanza, mira a recuperare una nuova possibilità per la politica di (ri)determinare il corso degli eventi, rifiutando di dover considerare la sfera tecnica e quella sociale come distinte e invece legare il destino della democrazia alla comprensione e gestione della tecnica; scrive l’A.:“ il dualismo metodologico di tecnica e significato ha delle implicazioni politiche. Da una parte, la tecnica indebolisce i significati tradizionali o l’azione comunicativa, mentre dall’altra siamo chiamati a proteggere l’integrità di un mondo dotato di senso” E poco oltre:“Quali sono le implicazioni politiche di questa prospettiva per la democrazia? E’ questa la questione politica della tecnica. Solo estendendo il problema politico della tecnica fino a includere tutti gli aspetti della società, essa potrà ridiventare importante nel tempo attuale.”(40)Superare il determinismo e l’essenzialismo si può, secondo Feenberg, se accettiamo il modello costruttivista, riassunto nei punti seguenti:“1. la progettazione tecnica non è determinata da un criterio generale, come ad esempio l’efficienza, ma da un processo sociale che contraddistingue le alternative tecniche secondo una varietà di criteri specifici ad ogni caso.2. questo processo sociale non concerne la soddisfazione dei bisogni umani ‘naturali’, ma riguarda la definizione culturale dei bisogni e quindi dei problemi ai quali si rivolge;3. le definizioni rivali riflettono visioni conflittuali della società moderna realizzate nelle diverse scelte tecniche.”(41)Ecco profilarsi una forma alternativa di razionalità, diversa dalla razionalità burocratica weberiana, che egli definisce razionalizzazione democratica. Foucaultianamente, affida alle micropolitiche tecniche (42) la possibilità di sfidare i regimi tecnici standardizzati, per immaginare, negoziare e realizzare un ordine alternativo. Esempi di nuovi ordini creativi, per il filosofo americano, si trovano nelle appropriazioni creative del software o nel campo medico, come nel caso del Minitel francese o dell’ingresso dei malati di AIDS nelle commissioni incaricate di redigere i programmi di ricerca e di sperimentazione.Può sembrare abbastanza ingenuo, oggi, pensare con Feenberg che la”tecnologia non è un destino che bisogna accettare o rifiutare, ma una sfida alla creatività politica e sociale” (43)Tuttavia, ci avverte il filosofo americano, visto che non c’è più un soggetto unico, depositario della coscienza sociale, i cambiamenti politici e più largamente sociali forse oggi si giocano a questo livello micropolitico e reticolare di riorientamento delle scelte tecniche, interrogandosi sul chi, sul come e sul cosa delle scelte tecniche, dato che esse, in fondo, se lasciate a meccanismi automatici, determinaneranno i confini dei nostri spazi vitali in modo sempre più pervasivo. Questo lungo detour non sembri eccentrico rispetto ai temi svolti nella prima parte, poiché le questioni che abbiamo posto a proposito del rapporto tra politica, comunicazione e tecnologia nella moderna sfera pubblica trovano qui una parziale risposta.Di fronte alla difesa della privacy, infatti, si pone spesso un’immagine autoreferenziale delle tecnologie, capaci di porre rimedio ai danni che hanno inferto. Lo sviluppo delle cosiddette Privacy Enhancing Technologies (PET)(44), sistemi tecnici in grado di proteggere la privacy, ha portato alla luce come sia possibile rendere più agevole quella tutela a fronte di una richiesta sociale di riservatezza. Tuttavia, proprio l’accento posto sulle tecnologie di tutela, fa rinascere quella propensione tecnicistica, tutta interna ai dispositivi tecnologici e alla loro progettazione, a scapito dell’intervento legislativo o quello più propriamente politico. Come scrive Rodotà,“ un rapporto corretto tra dimensione tecnica e dimensione socio-legislativa può essere stabilito solo se le Privacy Enhancing Technologies sono concepite come una precondizione per la successiva valutazione politica delle questioni e, quindi, per eventuali interventi legislativi. Devono essere considerate come uno degli elementi di una strategia più ampia, nella quale l’innovazione tecnologica rende possibile una innovazione sociale.”(45)Dicevamo che si tratta di una parziale risposta perché la scelta tra tecnica autorigenerante, intervento legislativo e autotutela (46) non ha ancora trovato ancora un equilibrio soddisfacente. Ciò deriva, forse, dalla mancata comprensione della posta in gioco, dal mancato riconoscimento che la tanto decantata Società dell’Informazione si è via via trasformata in una Società della Sorveglianza. Il capitolo che segue sarà dedicato a questa importante tematica.
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NOTE
22. Quanto alla politica, il passaggio obbligato è più che il Platone de La Repubblica, la Politica di Aristotele. Cfr. ARISTOTELE, Politica, Laterza, Roma-Bari, 1993 e Id., Etica Nicomachea, Laterza, Roma-Bari, 1988, 3° ed.
23. H. ARENDT, Vita Activa, op. cit., p.19. E poco oltre: “il dominio della polis, al contrario, era la sfera della libertà, e se c’era una relazione tra queste due sfere, il controllo della necessità della vita nella sfera domestica era evidentemente il presupposto della libertà nella polis.” Ibidem, p. 23. La rilettura che l’autrice fa del mito fondativo della polis ha valore meramente concettuale, non di riproposizione storica, che risulterebbe anacronistica e fuorviante. Il suo intento principale è critico-ermeneutico, mostrare come si sia giunti all’attuale “espropriazione della politica”, nella quale l’amministrazione ha sostituito la politica e il produrre ha sostituito l’agire, per cui la produttività diviene l’unico senso dell’agire in comune. Su questo punto cfr. A. DAL LAGO, Prefazione a Vita Activa, op. cit. , pp. XXI e segg.
24. La diversità qualitativa era data, secondo Aristotele, dalla buona vita: “ la comunità che risulta di più villaggi è lo stato, perfetto, che raggiunge ormai, per così dire, il limite dell’autosufficienza completa: formato per rendere possibile la vita, in realtà esiste per rendere possibile una vita felice.” ARISTOTELE, Politica, op.cit., 1252 b 30.
25. H. ARENDT, Vita Activa, op. cit., p.28.
26. Ibidem, ivi.
27. Cfr. H.RHEINGOLD, Comunità virtuali .Parlare, incontrarsi, vivere nel cyberspazio, op.cit., pp-320-325
28. F. BERARDI (BIFO), Cibernauti. Tecnologia, comunicazione, democrazia, Castelvecchi, Roma, 1996, p. 112.
29.Ibidem, p.114. A proposito di mente sociale, l’A. riprende qui il concetto di Brainframe, proposto dal teorico della comunicazione, D. de Kerkhove. V. D. DE KERKHOVE, Brainframes, Baskerville, Bologna, 1993. Secondo questa prospettiva, lo spazio mentale degli individui è parte delle stesse infrastrutture comunicative, ponendo una similitudine tra sistema nervoso e strumenti di comunicazione; ogni medium consente una esternalizzazione del pensiero verso la dimensione pubblica. Non la pensa allo stesso modo P. Levy, che accusa di riduzionismo questa posizione, instaurando un parallelo tra le società animali e quelle umane. Secondo il filosofo francese, lo spazio comunicativo è piuttosto una cosmopedia, una quantità di mondi virtuali nei quali condividere e scambiare saperi e competenze.
30. L’autonomia del politico si misura anche in relazione al problema dello Stato-nazione moderno. In un intervento apparso su una rivista, il filosofo Massimo Cacciari, sostiene che “vi è una compenetrazione essenziale, come hanno detto i filosofi (ma è anche il vero nodo tragico del pensiero di M. Weber), una coniugazione forte tra il politico moderno e il nichilismo. Questo cioè è un rapporto connaturale per il politico moderno, contratto nella forma statuale. Nello Stato che ha come suo zollen, suo dovere, suo imperativo categorico quello di diventare tecnica, detrieb, azienda, e quindi di eliminare ogni riferimento di valore che ne problematizzi l’assetto tecnico-economico-amministrativo. Che cosa significa nichilismo? Significa che per la nostra specie di uomini (…) è niente: vale niente tutto ciò che non sia tecnico-economico. Che ogni orizzonte di valore ulteriore rispetto al tecnico-economico è niente.” M.CACCIARI, Concorrenza e solidarietà nella politica e nella società. Le forme del sovrano, in “Next”, Strumenti per l’innovazione, 13, 2001, p. 115.
31. Si è parlato a questo proposito, di postdemocrazia. In questo nuovo regime, “anche se le elezioni continuano a svolgersi e condizionare i governi, il dibattito elettorale è uno spettacolo saldamente controllato, condotto da gruppi rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione e si esercita su un numero limitato di questioni selezionate da questi gruppi. La massa dei cittadini svolge un ruolo passivo, acquiescente, persino apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve. A parte lo spettacolo della lotta elettorale, la politica viene decisa in privato dall’interazione tra i governi eletti e le èlites che rappresentano quasi esclusivamente interessi economici”. C. CROUCH, Postdemocrazia, Laterza, Roma-Bari, 2003, p. 6. E’ molto distante dalla realtà, come si vede, il tentativo habermasiano di ridare smalto all’utopia illuminista della razionalità discorsiva V. J. HABERMAS, Teoria dell’agire comunicativo, Il Mulino, Bologna, 1986. L' agire comunicativo dovrebbe rappresentare la condizione originaria del soggetto che si pone in relazione con se stesso, con gli altri e con il mondo esterno, attraverso il linguaggio che funge da medium. La comunicazione, oltre che agire sul piano della conoscenza, interviene sulla sfera dell’azione. Alla strumentalità della comunicazione e dei suoi mezzi, si sostituiscono la razionalità, la logica, la dialettica, che regolano, attraverso il linguaggio, i rapporti e le azioni degli uomini.
32. Come abbiamo visto le questioni sono ormai intimamente legate: il “discorso” di Aristotele, il linguaggio come segno distintivo della politica, torna sotto altre forme, quelle della comunicazione mediatizzata.
33. A. DI CORINTO, T. TOZZI, Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, op. cit., pp. 75-76.c.n. Nello stesso volume è possibile trovare esempi di importanti esperienze politico-comunicative e i riferimenti ai siti più importanti.
34. Tale attenzione risulta da tutti i più recenti documenti comunitari, dal documento di lavoro della Commissione e-Inclusion. The Information Society’s potential for social inclusion in Europe [18.9.2001, SEC(2001)], che si prefigge di sfruttare le possibilità offerte dalla SI ai fini dell’inclusione sociale a eEurope 2002 [COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, eEurope2002.Analisi comparativa dei progressi dell’iniziativa eEurope, Bruxelles, 5.02.2002, COM (2002) 62 definitivo], nel quale si indica nella promozione dell’accesso ad Internet una delle leve dello sviluppo e della promozione culturale dei cittadini europei. Identico obiettivo nel Piano d’azione eEurope2005 [COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO eEurope 2005: una società dell’informazione per tutti, Bruxelles, 28.05.2002, COM (2002) 263 definitivo] che, come recita il sottotitolo si propone di massimizzare la diffusione di Internet ed abbattere il digital divide, fino al recente messaggio del Commissario per la società dell’informazione di Erkki Liikanen [E. LIIKANEN, e-Government for Europe’s public services of the future, Inaugural Lecture of the 2003-2004 Academic Year] che, a sua volta, si focalizza sull’”inclusive access” evidenziando come uno degli strumenti per la sua realizzazione sia il “Multi-platform access”: “The principle of access for all to public services is an important objective of public administration. Partecipation can be improved if services can be accessed through a choice of devices, including PC, digital TV, mobile terminal, or public Internet access points, next to the the usual physical, offline service provision”. Cfr. ivi., p. 10.
35. V. su questo punto P. LEVY, Le tecnologie dell’intelligenza, Milano, A/traverso libri, 1992 e H. RHEINGOLD, Smart Mobs, op. cit.. Riflettendo su tale questione Rheingold ha osservato che “il computer e Internet erano stati progettati, ma il modo in cui la gente li ha usati non era stato previsto per nessuna di queste due tecnologie, i loro utilizzi più dirompenti non erano stati intuiti neppure dai loro progettisti o venditori. La scrittura elettronica (word processing) e le comunità virtuali, eBay e l’e-commerce, Google, i blogs […] ”. Ivi, p. 290.
36. Per una ricognizione complessiva sul contributo costruttivista nel pensiero della tecnica attuale, si vedano i lavori di M. NACCI ( a cura di) Oggetti d’uso quotidiano. Rivoluzioni tecnologiche della vita d’oggi, Marsilio, Venezia, 1998 e Id., Pensare la tecnica. Un secolo di incomprensioni, Laterza, Roma-Bari, 2000. Influenzato dai lavori di Kuhn e Feyerabend, il metodo costruttivista cerca di rendere possibile l’analisi degli artefatti in relazione con i diversi attori sociali. La tecnologia, sostengono i principali esponenti di questa corrente sociologica, non è autonoma, guidata da leggi proprie, ma (può essere) orientata dalle molteplici forze sociali. L’innovazione tecnologica, secondo questa prospettiva, è in co-evoluzione con i fattori socio-culturali e con i fattori materiali di sviluppo.
37. Cfr. M. HEIDEGGER, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, Mursia, Milano, 1980, pp. 5-27. Il filosofo tedesco non è il solo a considerare la tecnica moderna un elemento centrale del nostro orizzonte concettuale. Analisi simili, svolgono infatti altri pensatori e sociologi, da Adorno a Weber, da Ellul a Borgmann, da Baudrillard a Severino, ecc. Prendiamo come riferimento Heidegger perché è probabilmente colui che meglio ha argomentato una posizione che è stata definita da un filosofo americano, A. Feenberg, come “essenzialista” e che vede la Tecnica come l’essenza della nostra epoca, presa nella sua determinazione metafisica. V. A. FEENBERG, Tecnologia in discussione. Filosofia e politica della moderna società tecnologica, Etas, Milano, 2002.
38. M. HEIDEGGER, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, op. cit. p.19. Questa “liberazione” richiamata come passaggio conclusivo, viene affidata, nel pensiero dell’autore, all’arte, l’unica attività in grado di aprire nuovi modi di essere.
39. Cfr. C. LUTTER, M. REISENLEITNER, Cultural Studies .Un’introduzione, Bruno Mondadori, Milano, 2004.
40. Cfr. A. FEENBERG, Tecnologia in discussione. Filosofia e politica della moderna società tecnologica, op. cit.
41. Ibidem, p.24 e segg. Feenberg porta a sostegno della sua tesi anche dei dati storici. Ad es., quando furono presentate le prime biciclette, le progettazioni si erano spinte in varie direzioni, riconducibili ai due modelli da corsa o per trasporto. Solo alla fine il progetto sicuro, quello da trasporto, con una ruota anteriore uguale a quella posteriore, prevalse. La scelta tra le alternative, dunque, non dipende né dall’efficienza tecnica né spesso da quella economica, ma “dall’intersezione di oggetti, interessi e credenze dei vari gruppi sociali che influenzano il processo di progettazione”.
42. Vedi M. FOUCAULT, Microfisica del potere, Einaudi, Torino, 1992.
43. Cfr. A. FEENBERG, Tecnologia in discussione. Filosofia e politica della moderna società tecnologica, op. cit.,p.268
44. Su questo punto cfr. S. RODOTA’, Tecnopolitica, op. cit. pp. 145 e ss. Si possono predisporre, ad esempio, programmi utili ad eliminare dopo un certo tempo le informazioni in occasioni di transazioni commerciali o quelle personali dopo un certo termine
45. Ibidem, p. 147.
46. Ci si riferisce qui a tutte quelle pratiche di autotutela della privacy da parte di quegli organismi politici antagonisti che progettano e diffondono strumenti di difesa come ad es. i remailer e che trovano il loro terreno elettivo dentro la Rete. Così nel Cypherpunk’s Manifesto, 1993:” Dobbiamo difendere la nostra privacy, se vogliamo averne una. Dobbiamo unire le nostre forze e creare sistemi che permettano lo svolgersi di transazioni anonime. Da secoli la gente difende la propria privacy con sussurri al buio, buste, porte chiuse, strette di mano segrete e corrieri. Le tecnologie del passato non permettevano una forte privacy, ma le tecnologie elettroniche sì. Noi cypherpunk siamo votati alla costruzione di sistemi di anonimato. Noi difendiamo la nostra privacy con la crittografia, con sistemi di invio di posta anonimi, con firme digitali e con il denaro elettronico.” Vedi ad es. http://isole.ecn.org/
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