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domenica 3 maggio 2009

La legge sul fine vita nel paese dei cuscini soccorrevoli. In margine al caso di E. Englaro (ultima parte)


Come si è detto nella prima parte di questo intervento, riteniamo che per casi simili a quelli di Eluana Englaro, si debba rifiutare qualsiasi ipotesi, anche la più sottile e modernizzata, di Stato etico e che un terreno comune d'intesa si possa trovare almeno con una condivisione del principio di autodeterminazione nei casi in cui si ritiene che vi sia un accanimento terapeutico. Nulla a che vedere, quindi,in casi come quello Englaro, né con l'eutanasia né con l'eugenetica, che non si vuole analizzare in questa sede.

d) Di casi simili, in Italia, ce ne sono, si dice, alcune migliaia. Non vogliamo ripercorrere qui le fasi processuali che hanno stabilito con sentenza della Corte di Cassazione che alla povera Eluana – e solo alla povera Eluana, e a nessun altro – doveva essere interrotto il presidio medico che l'alimentava e l'idratava. (6) Anche qui, un altro esito paradossale per un paese che si fregia di essere una delle culle del diritto. Di fronte ad una sentenza, piena e legittima espressione ai massimi livelli del potere giudiziario, si impedisce l'esecuzione della sentenza con un atto amministrativo del potere esecutivo! D'altronde, solo i nostri impareggiabili Azzeccagarbugli, i veri spregiatori del diritto, capaci di piegarlo ad ogni bisogna, possono permettersi di rifiutare una sentenza se non è gradita. Quando fa comodo, si invoca il diritto naturale, come Antigone, senza averne la potenza tragica; quando dispiace, per rimanere alla Grecia classica, ci si dimentica della cicuta di Socrate bevuta in ottemperanza alla legge della città.
Quello che conta per noi, in sede di riflessione su questa dolorosissima vicenda, dovrebbe essere la ragione per cui il padre di Eluana si sia rivolto ad un giudice. Nelle società umani, quelle civili s'intende, a chi ci si dovrebbe rivolgere in presenza di un quesito sull'esistenza e sull'esercizio di un diritto se non ad un giudice? Rinviamo ai resoconti delle cronache per conoscere la lunga odissea giudiziaria di un italiano onesto moralmente ed intellettualmente che si è sempre proposto con grande senso civico e rispetto per le leggi e per le istituzioni, benché lacerato per una scelta compiuta dalla sua unica figlia, scelta che l'avrebbe separata da lui per sempre. In questo si, davvero, riscontriamo quel senso di tragica grandezza della vicenda che ha commosso tutta l'opinione pubblica, costringendola a confrontarsi a viso aperto con un dilemma etico davvero tragico e alto.

e) E allora, il movente che ha spinto Beppino Englaro a rivolgersi alla giustizia italiana è dettato a sua volta dalla volontà espressa dalla sua amata ed unica figlia di interrompere qualsiasi forma di accanimento terapeutico per rispondere al principio – che diventava convincimento proprio – della dignità della vita. Si può dissentire dal criterio della dignità della vita – chi, come, a quali condizioni la si stabilisce; ma almeno il criterio dell'espressione della propria volontà lo si vuole tenere e rispettare o no? Se risulta difficile stabilirlo in astratto, valga in ultima istanza il parametro che il beneficio per la salute venga considerato in base al vissuto del paziente ed il miglioramento della qualità di vita sia da riferire alla sua determinata e insostituibile visione di qualità di vita. Una legge sul testamento biologico degna di questo nome, dovrebbe contemplare la possibilità di decidere autonomamente, autodeterminarsi in definitiva, se accettare o meno il presidio medico di nutrizione artificiale, quale esso sia adesso e soprattutto qualunque esso sarà in futuro.

f) Si è evocato prima lo Stato etico proprio a questo proposito, visto che attraverso una legge si potrebbe imporre con la forza la prosecuzione di una vita artificiale, salvo poi scandalizzarsi ed inorridire per una medicina ipertecnologica che spersonalizza i propri interventi e riduce gli esseri umani a meccanismi fisiologici elementari da tenere in attività a tutti i costi.
Per questo il nostro è uno strano paese. Si chiede di poter procedere nel rispetto della legge e dei principi giuridici del nostro ordinamento e si viene tacciati di assassinio....I giudici che dopo vari gradi di giudizio, molte perizie tecniche e attente valutazioni emettono una sentenza sono considerati anch'essi degli assassini.
E tutti coloro, ci chiediamo, che hanno girato la testa dall'altra parte, che nella vicenda hanno riscoperto un afflato etico che in molte biografie personali non si vede affatto, quali responsabilità hanno? Tutti coloro, e sono molti, a destra come a sinistra, che hanno omesso di regolare questa materia in modo almeno democraticamente condiviso, non sono anch'essi colpevoli?
Per gli inventori del melodramma non si riesce ad avere un barlume di serietà e di compostezza neanche di fronte alla sofferenza e alla morte, perchè ancora una volta ci misuriamo con il tentativo di annullare ogni soggettività morale e di ridurre tutti gli individui ad oggetti delle cure. Come interpretare, altrimenti, il tentativo di rendere “pubblici”, di pertinenza statale, i corpi di tutti i cittadini, servendosi della mediazione dei medici ai quali verrebbe attribuita l'ultima parola? Dopo l'introduzione del consenso informato si pensava che tutto questo non potesse succedere. Ora, se verrà approvata questa legge in discussione in questi giorni, non sarà più la singola persona a decidere, ma altri al suo posto, esautorando ciò che gli è più proprio, la deliberazione intorno alla sua vita, alla sua salute e alla sua morte. Dove c'era un soggetto morale, reso tale dall'attribuzione a ciascuno della potestas di accettare le cure o di rifutarle, troviamo un oggetto, un “paziente” nel senso letterale, solo “colui che patisce”.

g) Forse c'è qualcuno che ipocritamente intende sostenere che non si deve fare o regolamentare un bel nulla e continuare a lasciare nella penombra di camere di lungodegenti che qualche amorevole cuscino ponga termine alla sofferenza di centinaia di uomini e donne. Se si è fortunati, sempre nella mezza luce artificiale dell'ipocrisia benpensante, si trova qualche soccorrevole medico che fornisce l'iniezione giusta per congedarsi da questo mondo senza troppo clamore.
A causa di questa ipocrisia davvero insostenibile, rischiamo di assistere ad uno spettacolo già visto, come quello che ci ha regalato la legge 40 del 2004, emanata per ovviare al cosiddetto Far West della procreazione assistita. Quella legge controversa, considerata dai critici di allora come un rimedio peggiore del male, ha portato, come ha recentemente mostrato un rapporto CENSIS, al cosiddetto “turismo procreativo”. Visto che molte coppie non riescono ad avere figli, oppure una diagnosi di preimpianto in caso di malattie geneticamente trasmissibili, a causa delle rigide prescrizioni di una legge che pretende di ingabbiare la ricerca medica in uno schema fisso ed immutabile, si va sempre più spesso all'estero dove trasformare in realtà le speranze di diventare genitori, discriminando, tra l'altro, tra poveri e benestanti.

h)Infine, una buona legge, al pari di una scelta etica, non dovrebbe farsi carico anche degli effetti che produce?
Così, per facile analogia oltre al turismo procreativo avremo, con una brutta ed inutile legge sul testamento biologico, anche un “turismo del fine vita” verso le accoglienti cliniche svizzere o lussemburghesi, che accoglieranno con silenziosa efficienza tutti coloro che chiederanno di porre fine ad un accanimento terapeutico insensato ed inumano.






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NOTE


6)Si tratta, come i lettori ricorderanno, della questione più controversa. In sede giudiziale, sulla base di perizie mediche, si è ritenuto che si trattasse di un presidio medico e non di semplice alimentazione. Senza voler ritornare sempre sulle stesse questioni, proviamo solo a chiederci, in via del tutto ipotetica, cosa si dovrebbe fare in presenza di un più avanzato sistema di alimentazione indotta artificialmente. Fissiamo una norma che vale oggi per lo stato dell'arte con le conoscenze attuali e predeterminiamo in via definitiva che cosa si dovrà fare in futuro? Non sarebbe più saggio evitare di scrivere norme che si riveleranno fuorvianti e inapplicabili? In ogni caso, per tornare alla questione del consenso informato, occorrerà pur tenere conto della sentenza della Corte Costituzionale n° 438 del 2008, che recita testualmente: “ la circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello dell'autodeterminazione e quello della salute.”

sabato 18 aprile 2009

La legge sul fine vita nel paese dei cuscini soccorrevoli. In margine al caso di E. Englaro (prima parte)


Nel nostro strano paese, dove si verifica una produzione legislativa e una propensione alla giuridificazione che non trova riscontri in molti paesi occidentali avanzati, non si sono trovati il tempo e il modo, finora, di regolamentare in modo coerente e ragionevole alcune questioni legate alla bioetica, alla luce dei nuovi e complessi rapporti tra i progressi della tecnica e della medicina e le questioni etiche e deontologiche che vi sono connesse.

Il caso di Eluana Englaro, o il caso di Piergiorgio Welby del 2006, hanno posto davanti alle nostre coscienze di cittadini italiani, e di uomini, la presenza di nuovi e controversi problemi etici, insieme all'esigenza di trovare una sintesi se non definitiva almeno condivisa, che provi ad individuare un terreno d'incontro tra orientamenti culturali e etici divergenti.(1)

In controtendenza con ciò che è stato detto e scritto fin qui, vorremmo provare in questo intervento a mantenerci sul livello delle idee, delle argomentazioni e dell'analisi delle conseguenze etiche e politiche, come sempre bisognerebbe sforzarsi di fare quando si accosta l'etica, anzi la bioetica e la biopolitica, come nei casi appena richiamati.

a) Il primo punto dal quale vorremmo partire riguarda la questione dello Stato etico - e del suo assoluto rifiuto. Qualcuno forse ricorderà che la teoria hegeliana affermava che lo Stato è l'unica fonte di libertà e l'unica norma etica per il singolo, poiché solo lo stato ha coscienza di sé. La condotta dello stato, poi, non può essere oggetto di valutazioni morali da parte dell'individuo, poiché esso si pone quale fine supremo e arbitro assoluto del bene e del male.
Com'è forse più noto, le elaborazioni hegeliane, del tutto travisate e strumentalmente distorte, furono alla base di molte pratiche aberranti dei vari regimi totalitari che si sono succedute nel ventesimo secolo.
E se non si vuole ritornare a quel monstrum giuridico-istituzionale, occorrerà pur trovare qualche fondamento migliore al rapporto tra diritto ed etica e alla regolamentazione dei confini tra intervento dello Stato e spazio individuale.
Per sottrarsi all'abbraccio mortale che regolamenta in modo minuzioso le scelte etiche e a cui il singolo deve solamente obbedire, il principio etico e giuridico al quale è bene ritornare è quello dell'habeas corpus.(2)

b) In quali modi dovrebbe funzionare l'habeas corpus, dunque? In quali modi possiamo intendere i rapporti tra lo spazio minimo e intangibile dell'individuo rispetto al potere (del) sovrano? Quel caposaldo etico e giuridico nasceva, come si ricorderà, dall'esigenza di garantire, prima di tutto, l'incolumità personale del suddito rispetto al potere assoluto del re. “Non sarà alzata la mano su di te”, come recita quella formula celebre, sta a significare, per noi moderni, dopo la lezione di Montesquieu, la supremazia della legge e del diritto sulla forza e sul potere assoluto. Questo modo d'intendere l'habeas corpus, non si ferma, come avrebbe detto Isaiah Berlin, alla “libertà da”, vale a dire alla libertà intesa nel solo modo della salvaguardia da un potere coercitivo.(3)
Per continuare ad usare le categorie del grande pensatore liberale, dovremmo aggiungervi anche la “libertà di”, cioè la possibilità di esercitare quella libertà che trova il suo punto di partenza nel rispetto di ogni persona e di ogni individuo.
Oppure, secondo i più contraddittori tra i critici, dovremmo rinunciare a pensare che la nostra libertà sia solo quella di negare la sopraffazione del potere altrui ma non abbia anche a vedere, radicalmente, con un principio di autodeterminazione? Si può essere liberi senza disporre di sé stessi? Non tocca rifarsi al libero arbitrio per richiamare tutti alla possibilità e alla libertà della scelta? Come ha scritto di recente il teologo Mancuso, “ se si riconosce alla persona la libertà di autodeterminarsi nel rapporto con Dio, come fa la Chiesa cattolica a partire dal Vaticano II, quale altro ambito si sottrae legittimamente al principio di autodeterminazione? (…) La realtà è che non è possibile nessuna adesione alla verità se non passando per la libertà.” (4)
Dalla libertà che decide non è possibile deflettere, aggiunge Mancuso. Dire e fare altrimenti, sarebbe un esito strano e del tutto paradossale anche per i più strenui difensori della indisponibilità della vita.

c)A questo proposito, ci sono due posizioni che si fronteggiano nel campo nuovo e controverso della bioetica. I pensatori di area cattolica, sulla base dell'idea del dono divino, ritengono la vita sempre e comunque indisponibile e che ogni atto od omissione che determini la morte per il soggetto sia da qualificarsi come suicidio o eutanasia. Viceversa, e semplificando anche qui in modo estremo, per i pensatori che si possono definire laici, la vita è invece nella disponibilità degli individui e in ogni momento, come nel caso in cui occorra ricorrere a cure mediche ritenute lesive della dignità della vita, con le dovute cautele, e con l'assistenza di un medico, possono decidere quali cure accettare e quali rifiutare, esercitando il cosiddetto “consenso informato” per evitare quel che si è definito accanimento terapeutico. La necessità di coniare il termine accanimento terapeutico nasce, infatti, dalla crescente capacità dell’odierna medicina di regolare la durata della vita umana a prescindere dalle condizioni del paziente. Ciò viene vissuto da molti pazienti come una invasione della sfera personale e sono sempre più coloro che si oppongono a questo, rifiutando le cure. Questo sentimento di invasione è stato, quindi, tradotto con il termine medico di accanimento terapeutico il quale, pur essendo nato negli anni ’70, si è andato affermando negli anni ’80 ed è comparso per la prima volta nel codice deontologico nel 1989 con una definizione che non ha subito sostanziali modifiche nei successivi codici.(5)
Non ha suscitato altrettanto scalpore il caso della donna che dovendo combattere una cancrena ad una gamba, ne rifiutò l'amputazione, con la conseguenza di morire a causa del mancato intervento. Il caso di Eluana Englaro, ha posto, invece, il problema di stabilire il consenso o il dissenso rispetto alle cure, perchè la povera ragazza versava in stato di coma permanente da 17 anni e non si aveva la certezza di quale fosse la sua volontà rispetto alle cure proposte come necessarie. Questione approfondita e sviscerata nella lunghissima vicenda processuale.

(continua)



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NOTE

1)Quello che si è visto sin qui, invece, e quello che si vede nelle concitate discussioni intorno al ddl Calabrò sul “fine vita”, è la solita guerra di religione travestita da scontro politico (questa relazione la si può leggere, nel nostro isterico spazio pubblico, anche al contrario...).
2)Nel sistema anglosassone di common law si indica con la locuzione habeas corpus (trad. lat. "(ordiniamo che) tu abbia il corpo") l'ordine emesso da un giudice di portare un prigioniero al proprio cospetto. Ciò vale in senso stretto, poiché di solito si fa riferimento all'atto legale o al diritto in base al quale una persona può difendersi dall'arresto illegittimo di se stessa o di un'altra persona. Il diritto di habeas corpus nel corso della storia è stato un importante strumento per la salvaguardia della libertà individuale contro l'azione arbitraria dello stato.Tale sistema è stato inserito nell'importante documento della Magna Charta Libertatum (1215) successivamente a rivendicazioni di alcuni baroni inglesi.
3)Vedi Isaiah Berlin, Libertà, Feltrinelli, Milano, 2005.
4)Vito Mancuso, Non c'è fede senza libertà, La Repubblica, 9/3/2009.
5)Vedi http://www.salus.it/codice.html