Visualizzazione post con etichetta sicurezza. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta sicurezza. Mostra tutti i post

sabato 19 dicembre 2009

Il concetto di salute integrale per la sicurezza sul lavoro. (ultima parte)


Anche il profilo psichico rientra nel novero dei beni da proteggere; anche qui non si sceglie la via della semplice mancanza di patologie psichiche o psichiatriche per definire il raggiungimento della tutela; alla ovvia assenza di malattie psichiche va aggiunto anche l’aspetto positivo, dell’auspicabile pieno soddisfacimento, di quello che si chiama, con una locuzione entrata nel lessico delle organizzazioni lavorative, benessere organizzativo.

Non solo. Alle dimensioni sin qui richiamate, quella fisica e quella psichica, va aggiunta anche quella sociale, la più impalpabile ed indefinibile.

Man mano che ci si sposta dal lato fisico verso quello delle relazioni sociali, la tutela del benessere integrale del lavoratore include il rapporto dell’individuo-lavoratore con altri individui e con i gruppi. Si tratta di una dimensione della tutela più complessa da chiarire e da operativizzare, ma si tratta di una vera e significativa novità concettuale, giuridicamente rilevante.

L’ampliamento del concetto della salute, tradotto nelle sue componenti fisiche, psichiche e sociali, implica un mutamento anche delle relazioni tra datore di lavoro e lavoratori.

Nell’analisi e nella valutazione dei rischi che il datore di lavoro deve compiere, sotto questo profilo acquista maggiore importanza il coinvolgimento dei lavoratori nell’individuazione dei fattori di rischio. Vanno analizzati con sempre maggiore cura quei rischi meno semplici da individuare e da verificare, in particolare quelli relativi agli aspetti di organizzazione e gestione del lavoro, nonché dei contesti ambientali e sociali informali in cui si effettua l’attività lavorativa.

Last but no least, oltre all’ampliamento del concetto di salute sui luoghi di lavoro, va sottolineata l’intrinseca natura di processualità per le analisi dei rischi.
Un documento di valutazione dei rischi non è un adempimento e basta. Non è solo un elenco dei rischi, magari circostanziato ed esauriente. Deve essere soprattutto un documento condiviso e continuamente revisionato ed adeguato alle realtà concrete.
Così come la salute è da intendere come una condizione dinamica e complessa del benessere individuale e collettivo, allo stesso modo le analisi e le prescrizioni presenti in questi documenti di valutazione devono tener conto delle evoluzioni e delle specificità di ogni contesto lavorativo

martedì 8 dicembre 2009

Il concetto integrale di salute nella sicurezza sui luoghi di lavoro. (prima parte)


Come ci ricorda spesso la cronaca, con il continuo riproporsi di tragici incidenti sul lavoro, Il tema della salute e sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro è uno di quelli che occorrerebbe affrontare, oltre che con il doveroso impegno della denuncia, sempre più in termini di prevenzione e di misure organizzative adeguate.

Numerose discipline e studi specialistici, come l’ergonomia, lo studio dei sistemi organizzativi, la psicologia del lavoro, ecc. si sono negli ultimi tempi sempre più affiancate al legislatore nel proporre un adeguamento della nozione di salute, ampliando e precisando in modo considerevole la definizione del bene giuridico da proteggere nella fattispecie della sicurezza sul lavoro.

Come previsto dal Decr. Leg.vo 81/08, Il datore di lavoro è responsabile, oltre che della sicurezza fisica di base dei propri dipendenti, anche della salute mentale e sociale dei propri dipendenti e deve adeguare la propria competenza, accrescendo le proprie conoscenze in materia, alla luce del nuovo “bene giuridico da proteggere”. (1)

Egli dovrà gestire il suo potere decisionale, peraltro, con una mutata e specifica definizione di “salute” (art. 2, c.1, lett. o), alla quale il datore di lavoro dovrà prestare interesse particolare poiché essa è da intendere come uno “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità”.

Il nuovo dettato legislativo, ampliando in modo significativo la nozione di salute, ci offre una interessante e preziosa opportunità di stabilire con precisione il bene giuridico da proteggere. (2)

La nuova formulazione, peraltro, ci conduce a riflettere su alcune conseguenze significative.

In primo luogo, la salute, presa in considerazione nella recente formula, è, infatti, una condizione, vale a dire una situazione personale e collettiva sul lavoro che deve permanere nel tempo.
Questa condizione, come ci chiarisce la definizione in esame, non consiste, secondo un’interpretazione minimalista sin qui prevalente, “solo in un’assenza di malattia o d’infermità”.

In secondo luogo, se sospendiamo per un momento la disquisizione in punta di diritto sui profili di responsabilità del datore di lavoro in ordine alla sicurezza lavorativa,
Il mantenimento di tale condizione è, evidentemente, pur sempre rilevante, ma non
sufficiente a rendere il datore di lavoro esente da eventuali responsabilità;

Infatti, lo stato di salute considerato degno di protezione è quello del “completo benessere”.
Il grado della salute, la condizione di benessere, che il legislatore chiede che sia perseguito, corrispondono all’appagamento e alla soddisfazione, beninteso relativamente alla sola vita lavorativa;

La dimensione della salute nel suo dato più elementare, vale a dire nel suo aspetto fisico, continua a rappresentare una categoria essenziale da proteggere. Ma la tutela innanzitutto fisica è da perseguire, secondo la nuova nozione, ad un livello elevato, rappresentato, come si è detto prima, da “pieno appagamento”.

(continua)

NOTE
1) Secondo il DLgs 81/08, all’art. 2, c. 1, lett. b), infatti, il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.
2) Come esplicitato nello stesso Decr. Leg.vo n. 81/08: “l’oggetto” da proteggere con la disciplina citata è rappresentato, proprio da quanto espresso nell’art. 2, c. 1, lett. o), la “salute”. Questo concetto di salute è frutto delle oramai celebre definizione data dall’OMS nel 1948 nel suo Statuto. Da notare che ci sono voluti sessant’anni per accoglierlo come criterio guida, nonostante i dibattiti che da diversi anni esistono intorno a questa definizione. Riandando alla storia, è solo dal ‘700 che abbiamo una medicina scientifica, che richiama il metodo di Ippocrate dell’osservazione. Il modello bio-medico, nato insieme alla società industriale, si occupa più della patologia, delle malattie, che non della salute e delle condizioni materiali e lavorative delle popolazioni. E’ solo negli ultimi decenni che si è affacciato il concetto di salute globale, che porta con sé un modello di salute abbastanza diverso da quello conosciuto sin qui e che intende l’individuo come unità psicofisica e non come portatore di singoli organi. Inoltre, acquista rilevanza maggiore l’interazione con l’ambiente circostante, anche nell’eventualità di un ricorso sempre più intenso alle cure genetiche e agli interventi sul DNA. E’ dal rapporto dinamico tra codici genetici ed ambiente che si profila l’esigenza di un nuovo modello di salute.

venerdì 22 agosto 2008

Sicurezza e allarme sociale: dati a confronto in una ricerca Censis


In questo torrido clima agostano, con gli italiani a casa perché non possono permettersi una vacanza, intontiti dal caldo e abbattuti dal caro vita, ecco almeno una lieta notizia: ci sentiamo tutti più sicuri da quando abbiamo i soldati per strada, intenti a pattugliare con occhio vigile e con cipiglio marziale e pronti ad intervenire ad ogni turbativa dell'ordine pubblico.
A parte la preoccupazione provocata da una svolta securitaria di cui davvero non si sentiva la necessità, e il senso di spot pubblicitario per un provvedimento di dubbia efficacia, davvero, ci chiediamo, non era più opportuno che le risorse investite in questa campagna militare (61 mln di euro) fossero destinate a scopi migliori?
Chiunque si accosta alle ricerche nel campo della percezione delle insicurezze e dei problemi sociali ritenuti più rilevanti dall'opinione pubblica, sa bene, infatti, che la presenza di militari per la strada innesca un peculiare meccanismo percettivo. Il pattugliamento dei soldati insieme ai poliziotti o ai carabinieri, infatti, evidenzia la gravità di una situazione emergenziale, resa palese proprio dall'uso di soldati in assetto di guerra. Si costruisce, in questo modo, un meccanismo che si autoalimenta: se la situazione è così grave da avere necessità di schierare dei soldati per le strade, è abbastanza consequenziale pensare che il loro numero sia inadeguato a garantire un vero presidio del territorio. Ne viene una nuova richiesta di maggior sicurezza e quindi di un maggior numero di soldati....
Questo tipico meccanismo, d'altra parte, non tiene conto dei dati di realtà o della reale efficacia di una decisione di questa fattura. Un dato che sfugge a molti riguarda, tanto per citarne uno, il numero di addetti alle forze dell'ordine in Italia: in rapporto alla popolazione, abbiamo la più elevata percentuale di addetti dei paesi più avanzati. Dobbiamo ritenere che le forze dell'ordine non siano capaci di garantire la sicurezza e per questo si ricorre ai soldati? (1)
Altro dato di realtà che molti dimenticano, o addirittura non rilevano, è che l'uso di militari nell'operazione Vespri Siciliani degli anni '90, impiegava per la gran parte militari di leva.(2) D'altronde le campagne d'informazione degli ultimi mesi hanno sempre posto la questione della sicurezza ai primi posti dell'agenda politica, preparando il campo a decisioni discutibili, come l'uso dell'esercito per compiti di ordine pubblico, l'uso di armi in relazione alla pubblica sicurezza anche ai vigili urbani, ecc. , come se si volessero esorcizzare problemi e questioni di ben altra natura e bisognosi di interventi non meramente repressivi, come la microcriminalità o i problemi legati alla mancata integrazione degli extracomunitari.
Ancora una volta, quindi, le operazioni di agenda setting, quella che nel campo della comunicazione massmediatica si connota come la lista degli argomenti all'ordine del giorno, mettono sullo sfondo questioni problematiche e gravi, come è recentemente accaduto a proposito di una ricerca Censis relativa ai morti sul lavoro.
Anche in questo caso, si preferisce non far caso alle cifre, inseguendo l'emergenza del momento, tipico costume italico.Un dato che il Centro Studi Investimenti Sociali (CENSIS) ha presentato all'opinione pubblica, e che non ha avuto i riscontri dovuti, riguarda il calo del numero di omicidi negli ultimi anni nel nostro paese e il “sorpasso” dei morti sul lavoro rispetto alle morti violente. (3)
Operando anche un raffronto con i principali paesi europei, l'autorevole istituto di ricerca ha messo in luce come il numero di omicidi sia più basso che in altri paesi d'Europa, mentre i morti sul lavoro sono il doppio degli omicidi e i morti sulle strade, in una tragica mattanza che falcia oltre 5000 vite all'anno, sono in relazione di 1 a 8. Sulla base dei dati elaborati dal Censis, gli omicidi sono passati da 1042 casi registrati nel 1995 ai 663 nel 2006 (-36,4%). (4)
Sono numeri imponenti ma sensibilmente più bassi dello spaventoso tributo pagato dai lavoratori in termini di vite umane: nel 2007 sono stati 1.170 i decessi per motivi di lavoro in Italia, di cui 609 in infortuni «stradali», ovvero lungo il tragitto casa-lavoro («in itinere») o in strada durante l’esercizio dell’attività lavorativa. L’Italia è di gran lunga il Paese europeo dove si muore di più sul lavoro. Se si escludono gli infortuni in itinere o comunque avvenuti in strada, non rilevati in modo omogeneo da tutti i Paesi europei, si contano 918 casi in Italia, 678 in Germania, 662 in Spagna, 593 in Francia (in questo caso il confronto è riferito al 2005).I decessi - e il senso di impotenza - aumentano in modo parossistico se si guardano le cifre delle vittime per incidente stradale. Nel 2006 in Italia i decessi sulle strade sono stati 5.669, più che in Paesi anche più popolosi del nostro: Gran Bretagna (3.297), Francia (4.709) e Germania (5.091). (5)
Eppure il peso che si assegna a queste cifre in tema di politiche della sicurezza non tiene conto né dell'utilità, considerandone i costi sociali ed economici, né dell'aspetto etico, con i suoi pesanti tributi in termini di perdita e di lutti, né dell'adeguamento del concetto di sicurezza di fronte al tipo di rischi che si corrono in un paese che aspira al rango di potenza europea.
Come dice Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, presentando questi dati, “gran parte dell’impegno politico degli ultimi mesi è stato assorbito dall’obiettivo di garantire la sicurezza dei cittadini rispetto al rischio di subire crimini violenti. Tuttavia, se si amplia il concetto di incolumità personale, e si considerano i rischi maggiori di perdere la vita, risalta in maniera evidente la sfasatura tra pericoli reali e interventi concreti per fronteggiarli.Il luogo di lavoro e la strada mancano ancora di presidi efficaci per garantire la piena sicurezza dei cittadini, e spesso si pensa che perdere la vita in un incidente stradale sia una fatalità. I dati degli altri Paesi europei dimostrano che non è così».Se proprio si devono impiegare i militari, mandiamoli a vigilare nelle fabbriche e nei cantieri, visto che i numeri degli incidenti mortali sul lavoro sono quelli di una guerra. Quanto agli incidenti stradali, forse non basta neanche un esercito a modificare le abitudini del popolo degli automobilisti e di un sistema di trasporti che si può definire autocentrico.
__________________
Note

(1) In Italia sono oggi impegnati nelle forze dell'ordine un totale di circa 280.000 uomini, di cui 101 mila appartenenti alla Polizia di Stato, 108 mila all'Arma dei carabinieri e 64 mila alla Guardia di finanza, con una media nazionale di un operatore di polizia ogni 450 abitanti. A questi vanno aggiunti i circa 60 mila addetti alla polizia municipale, ai quali può essere affidato, tra l'altro, anche il compito di effettuare vigilanza e controllo del territorio. Con la polizia municipale il numero degli addetti sale a 333 mila unità, con una conseguente ripercussione, com'è ovvio, anche sul rapporto medio. (Dati del Ministero dell'Interno).
(2)L'operazione Vespri Siciliani si è tenuta in Sicilia dal 25 luglio 1992 all'8 luglio 1998, a seguito dell'assassinio dei giudici Falcone e Borsellino e delle loro scorte, avvenuti nel 1992.Com'è noto, l'esercito italiano, da qualche anno, è un esercito sostanzialmente di professionisti. I compiti istituzionali dell'esercito, in una repubblica democratica come l'Italia, stabiliti dall'art. 11 della Costituzione, dovrebbero riguardare la salvaguardia delle frontiere e le missioni di peacekeeping, adeguatamente votate ed autorizzate dal Parlamento.
(3)Vedi http://www.censis.it/.
(4)Sono molti di più negli altri grandi Paesi europei, dove pure si registra una tendenza alla riduzione: 879 casi in Francia (erano 1.336 nel 1995 e 1.051 nel 2000), 727 casi in Germania (erano 1.373 nel 1995 e 960 nel 2000), 901 casi nel Regno Unito (erano 909 nel 1995 e 1.002 nel 2000).(5) Gli altri Paesi europei hanno fatto meglio di noi negli interventi tesi a ridurre i decessi sulle strade. Nel 1995 la Germania era «maglia nera» in Europa, con 9.454 morti in incidenti stradali, ridotti a 7.503 già nel 2000, per poi diminuire ancora ai livelli attuali. Nel 1995 in Francia i morti sulle strade erano 8.892, ridotti a 8.079 nel 2000, per poi decrescere ai livelli attuali. La riduzione in Italia c’è stata (i morti erano 7.020 nel 1995, 6.649 nel 2000, fino agli attuali 5.669), ma non in maniera così rapida, tanto da diventare il Paese europeo in cui è più rischioso spostarsi sulle strade.