Dopo un’attesa durata alcuni mesi, è diventato pienamente operativo il sito SHINYNOTE, ribattezzato con qualche esagerazione da titolista a corto di idee come il “facebook della speranza”.(1)
Nonostante il nome, si tratta di un progetto italiano, con base a Brescia. L’idea che sostiene il progetto e il sito è rilevante e merita di essere segnalata, perchè mette insieme le piattaforme tecnologiche che sostengono le reti informali come i social network con alcune tematiche tipiche del terzo settore, come la solidarietà e il volontariato; come dicono i promotori sul sito, “abbiamo immaginato un social network fondato su basi etiche. Lo abbiamo costruito intorno alle storie delle persone, e lo abbiamo destinato a coloro che sanno rintracciare nel quotidiano una scintilla di speranza.”.
Questo elemento delle storie condivise con altri costituisce un altro punto interessante dell’intero progetto, proprio per la forza inclusiva delle narrazioni, accresciuta e resa più “calda” dalle storie che si portano all’attenzione degli internauti e dei potenziali aiutanti.
E’ noto da tempo, infatti, il potere coinvolgente della narrazione per la comprensione del mondo e per l’azione nella storia. A partire dall’esperienza delle letterature, presenti in modo differente in tutte le culture, è abbastanza chiaro che accanto al pensiero tecnico, in grado di descrivere con precisione quantità e misure dei fenomeni, è altrettanto importante acquisire l’idea che la comprensione della realtà avviene anche attraverso le storie che si tramandano nel tempo. Come dicono esplicitamente gli organizzatori, si tratta di “cambiare il mondo, una storia alla volta”.
Si tratta di un sito dichiaratamente a caccia di buone notizie – e di buone pratiche -, che cerca di raccogliere adesioni, denaro o tempo intorno a delle storie che parlano di solidarietà, a partire dalle organizzazioni no profit che si dedicano ai temi più dimenticati o marginali rispetto agli eventi che si trovano sui grandi media.
Gli strumenti dello scambio simbolico e materiale sono rinnovati e i “mi piace” alla Facebook non sono riservati solo ad aspetti ludici, ma servono a premiare o a evidenziare i progetti migliori a seconda delle preferenze degli utenti.
In questo modo, con questo intento di fondo, le piattaforme on line potranno servire a far incontrare persone o associazioni che hanno voglia di lavorare insieme.
La nascita e l’attività di questo social network, poi, sono anche un buon modo per ricordare che il il 2011 è stato decretato dal Consiglio dell’Unione Europea “Anno Europeo del Volontariato”. (2)
NOTE
1) Vedi http://www.shinynote.com/.
2) Per maggiori informazioni vedi http://ec.europa.eu/citizenship/focus/focus840_en.htm. e http://europa.eu/volunteering/.
Tratto da Rivista Lavoro e Post mercato n° 106
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venerdì 16 dicembre 2011
domenica 3 ottobre 2010
Presentata alla 4° edizione di Strada Facendo la "Carta di Terni" sulle politiche sociali

Lo scorso mese di febbraio si è tenuta al Palatennistavolo a Terni la 4° edizione di Strada Facendo, l'appuntamento nazionale promosso dal Gruppo Abele e da Libera sulle politiche sociali.(1)
Molti relatori, appartenenti a varie associazioni, al mondo della politica e del volontariato si sono confrontati dal 5 al 7 febbraio sul presente e sul futuro del welfare nel nostro Paese e hanno sintetizzato i risultati di questi dibattiti nella “Carta di Terni per un nuovo Welfare”, nel tentativo di presentare idee, modelli e strategie per le politiche sociali.(2)
La sfida è davvero ardua, soprattutto in tempi di bilanci magri e di difficoltà nel disegnare nuovi modelli di intervento per i diritti dei cittadini resi ancora più deboli dalla crisi, dalla disoccupazione e dai processi di impoverimento in corso.
Le discussioni e i confronti sono state organizzate in sette “cantieri”, relativi a materie sensibili per il dibattito sociale e politico: lavoro, welfare, abitazione, immigrazione, salute, carcere, giovani).
Le ricerche e i dati che sono stati presentati hanno disegnato i contorni di un paese in cui cresce la vulnerabilità dei soggetti più deboli, a cominciare dai giovani per i quali le regole del mondo del lavoro sono sempre più nel segno della precarietà. Tra i giovani, dai 15 ai 24 anni, i senza lavoro costituiscono il 26%; nell'Unione Europea lo stesso dato si ferma al 21%.
Se si riesce a trovare un lavoro stabile, nonostante l'aumento dei dati sulla disoccupazione, c'è da considerare che i salari italiani sono tra i più bassi d'Europa.
Con stipendi del 17% inferiori alla media dell'area Ocse, sono circa 13 milioni i lavoratori italiani che guadagnano meno di 1.300 euro netti al mese e circa 6,9 milioni di lavoratori, di euro ne prendono meno di 1.000. Il reddito delle famiglie operaie e degli impiegati è sceso di 1.700 euro dal 2000 al 2008. A fronte, i professionisti e gli imprenditori hanno invece incrementato i loro redditi con oltre 9.000 euro. Ancora meglio è andata ai manager: i loro compensi sono cresciuti del 38%.
Impressionante risulta il peso dell'economia sommersa: il numero di lavoratori irregolari è molto vicino ai 3 milioni, il 12% della forza lavoro nazionale. Il valore stimato del "sommerso" è pari a 92,6 miliardi di euro. La metà dei lavoratori irregolari è impiegata al Sud. Con il primato alla Calabria, con il 15%. Seguono la Sicilia (12.7%); la Campania (12,2%); la Basilicata e la Sardegna con l'11,7%.
Anche la povertà assoluta - quella che riguarda le persone che non sono in grado di acquistare beni e servizi primari - risulta inattaccabile dalle politiche sociali, visto che da anni riguarda il 5% della popolazione (quasi tre milioni di persone....).
Analoga la situazione dei poveri cosiddetti relativi, la cui distanza da quelli assoluti risulta sempre più ridotta.
Una particolare attenzione è stata dedicata in queste giornate di studio anche al mondo delle carceri, sconosciuto e nascosto all'attenzione generale. I dati sono significativi: nei penitenziari italiani sono presenti ben 20.000 detenuti in più di quelli previsti dalle strutture, con esperienze di detenzione degradanti e inumane. Il collasso delle strutture penitenziarie è visibile nelle cifre: poco meno della metà (il 46%) è in attesa di giudizio. A riprova che la giustizia non colpisce i colletti bianchi e i potenti, dei detenuti in custodia cautelare la gran parte sono stranieri, imputati per reati minori o per la violazione di leggi sull'immigrazione. Da ultimo il dato dei suicidi: nel 2009 il record del numero dei suicidi in carcere: 72. L'anno in corso, peraltro, rischia di essere peggiore del precedente.
NOTE
1)Vedi http://www.gruppoabele.org , e http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1.
2)Per un esame più approfondito delle proposte presentate nella “ Carta di Terni” si invitano i lettori ad una lettura diretta del documento. Il documento è visibile qui: http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2832.
Tratto da Rivista Lavoro e Post Mercato n° 84
sabato 8 maggio 2010
Un esercito di volontari. Cultura del dono e azione gratuita

Abbiamo concluso la seconda parte di questo intervento interrogandoci sul significato dell'azione gratuita.
Senza scomodare troppe teorie, seguiamo il sentiero di un discorso che fissi alcuni spunti di riflessione su una questione che è evidentemente di difficile approccio, considerando che essa si trova all'incrocio di diverse discipline e che l'opera di traduzione dall'una all'altra non è poi così agevole.
E' sufficiente la definizione di azione gratuita come azione spontanea, benefica e non remunerativa?
Non completamente, crediamo. Ci sono vari argomenti che possono mettere in dubbio la non remunerazione o la non spontaneità delle azioni gratuite. Basti pensare che si può compiere un'azione non remunerata o non in vista di un bene (lavoro, reputazione) futuro.
C'è chi suggerisce che se vogliamo introdurre il paradigma relazionale all'interno delle scienze economiche, invece del consueto individualismo razionale, dobbiamo invece considerare che il fine dell'azione gratuita è la costruzione ed il mantenimento della fraternità, vale a dire della necessità di fare il bene non per-gli-altri ma con-gli- altri. Ed è questo ciò che distingue la filantropia dall'azione gratuita.(3)
La questione sembrerebbe ruotare intorno alla possibilità (o impossibilità) di un'azione veramente gratuita. Autorevoli filosofi, come ad es Derrida, hanno argomentato come il dono sia un evento impossibile, proprio perchè il dono come tale non dovrebbe essere fatto ed essere percepito in modo interessato; poiché sembrerebbe non esistere un tale livello di “purezza” del dono, se ne deduce che esso è impossibile, oppure che esso è collocabile in una aporia insormontabile. (4)
L'importanza che assume la discussione in ambito antropologico è nota a tutti. Vecchi e nuovi antropologi ne hanno studiato le forme più svariate ma non sono pervenuti ad una modellizzazione definitiva, se non rinviando ad un ipotetico modello di scambio tra non equivalenti e come forma di riconoscimento sociale reciproco. (5)
L'esito paradossale cui si perviene affidandoci alla coppia concettuale egoismo – altruismo è dovuto ad un vizio concettuale di fondo, per cui vi è sempre un qualche interesse che guida l'agire. Se si agisce in modo da produrre un beneficio, a sé o ad altri, l'azione totalmente gratuita sfuma anche dal lato degli effetti e non solo delle cause.
Eppure, l'azione gratuita esiste, ne abbiamo esperienza, magari compiamo atti che possono essere ricondotti a questa categoria.
Allora perché tanta difficoltà nel trovarne una definizione condivisa?
Sono diversi i livelli di coscienza che noi abbiamo di queste azioni, verrebbe da dire. Una madre che accudisce il proprio bambino lo fa perché ottempera ad un dettato di conservazione della specie o perché, spontaneamente, sceglie i mezzi per farlo crescere nel modo migliore? E ancora: gli atti che si compiono in pura gratuità, senza domandarsene la ragione, sono migliori di quelli che si compiono con raziocinio e senso del risultato?
Non abbiamo una risposta a queste domande. L'idea che le discipline economiche dovrebbero tornare a misurarsi con questioni del genere, eviterebbe di interrogarsi e di accapigliarsi sul perché delle varie crisi economiche o sulla crescita del mercato immobiliare.
Per concludere – e se possibile complicare ulteriormente un quadro tanto problematico – vorremmo introdurre un'ultima questione.
Chi scrive ritiene che ogni azione che comporti una riduzione di sofferenza o di bisogno sia del tutto benvenuta, quale che ne sia lo scopo o la forma che essa assume.
E' necessario, però, porsi il problema del vero convitato di pietra di queste riflessioni, vale a dire la questione delle cause che hanno condotto al bisogno o alla sofferenza.
Non sappiamo se l'atto di donare sia iscritto nella natura umana, data la difficoltà di circoscrivere un fenomeno di questo genere.
Esso serve certamente a costruire una diversa socialità, oltre che a mitigare gli effetti più nefasti della tendenza a ridurre tutto al dominio del possesso.
Tuttavia crediamo si possa affermare che ogni atto di solidarietà e di dono di sé completa il senso che lo giustifica se, e solo se, si dirige verso la rimozione definitiva delle cause delle sofferenze che si trova a contrastare.
E' a partire da questo incrocio di questioni che l'economia, la politica , l'etica e la giustizia sociale possono trovare un orizzonte di senso adeguato e coerente. (Fine. Gli interventi precedenti si trovano ai numeri 79 e 80 di LPM)
NOTE
3)“C’è un interesse superiore al fondo dell’azione gratuita: costruire la fraternità. Nelle nostre società, il dono è, in primo luogo, dono alla fraternità”. Vedi http://www.aiccon.it/file/convdoc/n.32.pdf
4)Vedi Derrida J., Donare il tempo e la moneta falsa, Torino, Bollati Boringhieri, 1996
5)Vedi su tutti Mauss M, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, Torino, Einaudi, 2002 e A. Caillè, Il terzo paradigma. Antropologia filosofica del dono, Bollati Boringhieri, Torino, 1998.
sabato 3 aprile 2010
Un esercito di volontari. Riflessioni sulla cultura del dono: le motivazioni

Nella prima parte di questo intervento abbiamo visto le cifre che riguardano la percezione del fenomeno del volontariato presso l'opinione pubblica italiana in comparazione con altre istituzioni sociali ed è emerso con chiarezza il dato di una grande fiducia assegnata alle organizzazioni di volontariato. Da alcuni questo fenomeno è stato interpretato come una sorta di riflusso verso il generico altruismo, soprattutto da parte di coloro che in tempi passati preferivano impegnarsi in attività politiche o sindacali, come a sottolineare una perdita dell'orizzonte civile e un riflusso, appunto, verso il puro servizio alla persona sofferente o bisognosa.
E' una sensazione che avrebbe bisogno di un'indagine a sé, considerando che spesso coloro che sono attenti al sociale e alla collettività spesso si impegnano su più fronti, affiancando all'attività politica o sindacale anche l'attività di volontariato.
Ma fin qui ci siamo occupati della percezione che si ha di questo fenomeno, fornendo qualche cifra di riferimento anche per la dimensione imponente che assume in ambito sociale.
Tuttavia, questa impressionante propensione al dono non ha trovato, finora, una giustificazione univoca e raramente ci si è chiesti il perché di questa scelta che coinvolge una così gran numero di persone. Per tacere della disinvoltura, per non dire peggio, con cui si usa il termine di volontario. Con la stessa parola si designano coloro che offrono gratuitamente qualcosa di sé, le ronde di “volontari”che controllano il territorio …. , persino i soldati impegnati in missioni all'estero sono definiti come volontari!
Vi sono molte teorie, e una notevole gamma di posizioni, intorno alle motivazioni a favore del dono di sé; sono vari, infatti, i motivi che spingerebbero gli individui e/o i gruppi organizzati a offrire gratuitamente una parte dei propri beni, materiali o immateriali, per scopi non strettamente economici, basati cioè sullo scambio di equivalenti.
Il comportamento che è possibile catalogare come donazione di sè è spiegabile in base a tre principali categorie di motivazioni: motivazioni intrinseche, incentivi estrinseci e reputazione. Le separiamo per comprenderle meglio, ma può darsi che i comportamenti pro sociali siano la risultante di una qualche forma di combinazione tra questi.
Nelle motivazioni intrinseche l'atto del donare si spiega con le motivazioni che si trovano in interiore homine, all'interno di un complesso sistema di norme morali, a diverso livello di coscienza. Quando si compie un'azione di solidarietà, la persona che la compie, in questo sistema, non riceve nessuna forma di ricompensa materiale.
Nata in ambito filosofico e poi fatta propria dalla psicologia sociale, questa teoria è stata applicata anche nella scienza economica. Già da qualche anno, ha avuto un certo successo la teoria proposta da un economista, Andreoni, Per tentare di spiegare le motivazioni intrinseche sottostanti la scelta di donare.(1)
Questi ha suggerito che gli individui quando donano non esprimono solo preferenze per la causa o bene collettivo a cui la donazione è rivolta, ma più direttamente acquisiscono una soddisfazione morale che è paragonabile ad un bene consumato privatamente. Questo effetto, chiamato di warm glow (guanto caldo) indurrebbe le persone a donare anche in contesti dove il risultato della donazione non è chiaramente tracciabile o facilmente calcolabile, dato che risulterebbe sufficiente l'atto della donazione in sé.
Insomma l'autogratificazione (warm glow) disinteressata, continua a funzionare nonostante l'apparente vittoria del modello dell'homo oeconomicus, sfidando l'utilitarismo, l' individualismo metodologico e la logica dello scambio tra equivalenti, come dicono gli economisti di stretta osservanza.
Una spiegazione abbastanza convincente fa riferimento ad una sorta di kantismo mitigato. Ciò che spiegherebbe i comportamenti solidali potrebbe essere il principio di reciprocità. Pur non essendo una obbligazione morale assoluta come quella celebre del non usare gli esseri umani come mezzi, una persona che ha un riferimento morale sente un'inclinazione all'obbligo della solidarietà quando si attende che anche gli altri membri del gruppo si conmporteranno allo stesso modo. In questo caso, la reciprocità non è da intendersi diretta tra due persone dove il dono svolge un ruolo relazionale di scambio, ma deve essere intesa come un principio generale che spinge ad azioni utili alla collettività e che solo indirettamente genereranno benefici a chi le compie.
In definitiva, la motivazione intrinseca sembra privilegiare la spiegazione del comportamento solidale come la risultante di norme interiorizzate e con un interesse indiretto e non dal bisogno o dal desiderio di raggiungere un obiettivo specifico.
Quanto alle motivazioni che possiamo definire estrinseche, un certo seguito ha trovato l'idea che in fondo le azioni di solidarietà o le donazioni di denaro per scopi di utilità sociale trovino la loro spiegazione definitiva nella presenza di incentivi economici o ricompense di carattere materiale. Vi rientrano, ad esempio, i casi delle deduzioni fiscali per le donazioni in denaro. Tutto sarebbe il frutto di un semplice calcolo economico, per cui l'ammontare delle donazioni sarebbe la risultante delle agevolazioni monetarie che se ne riceverebbero in cambio. E' un'idea che ha attratto i policy makers, coloro che prendono decisioni politiche e che disegnano i sistemi fiscali per tutte le politiche di sostegno fiscale delle donazioni in molti paesi.
Tuttavia, anche in questo caso, l'automatismo di una relazione diretta tra aumento delle agevolazioni fiscali e aumento delle donazioni, non funziona come dovrebbe, a riprova che le motivazioni estrinseche non spiegano tutto.
E' stato infatti dimostrato che un sistema di compensazione monetaria possa non solo non essere legato alle motivazioni che stanno alla base delle donazioni ma che addirittura possa danneggiare il senso civico e di solidarietà. Secondo un celebre studio, infatti, nel caso delle donazioni di sangue, si è visto che negli Stati Uniti il sistema basato sull'acquisto del sangue donato allontanava i donatori che invece erano intenzionati a procedere alle donazioni mossi esclusivamente da motivazioni altruistiche. Invece, in altri paesi europei, in cui si è scelta la strada diversa delle donazioni gratuite, si è assistito ad una maggiore offerta di sangue donato e di qualità migliore di quello acquisito a pagamento.(2)
Questo paradossale effetto di straniamento motivazionale si verifica anche in altri contesti, dove è forte il radicamento del senso civico delle persone, come nel caso dei luoghi di lavoro, dove è più facile osservare che la mera incentivazione economica non raggiunge effetti positivi in merito all'integrazione ed al senso di appartenenza, visto che l'attività lavorativa è fatta anche di relazioni e di investimenti affettivi ed emotivi.
Un terzo movente generale sulle azioni di solidarietà può essere ricondotto alla ricerca di visibilità e al riconoscimento sociale, vale a dire della reputazione.
I comportamenti pro sociali, essendo in genere accompagnati da un'aurea di positività, riverberano su chi li fa un'immagine e una considerazione sociale positivi, facendo accrescere in modo consistente la buona reputazione di chi li compie.
E' un sistema razionale, basato sulla segnalazione dello status di donatore o di volontario, dal quale si ottiene un riscontro positivo e un riconoscimento sociale.
Da qui discende la considerazione che le donazioni anonime siano le più lodevoli, perché esse non andrebbero alla ricerca di visibilità e non andrebbero ad incidere sulla reputazione del donante.
C'è da chiedersi, a questo punto, quale sia il significato intrinseco dell'azione gratuita, a quale bisogno corrisponde, quale funzione essa svolge nel campo delle relazioni sociali.
NOTE
1) Vedi J. Andreoni e l'articolo sul warm glow a http://www.altruists.org/f469.
2)R.M. Titmuss, The Gift Relationship from Human Blood to Social Policy (1970, ripubblicato nel 1997 da The New Press
Tratto da Rivista Lavoro e Post Mercato n° 80
domenica 21 febbraio 2010
L'esercito dei volontari. Riflessioni sulla cultura del dono

C'è un “esercito” silenzioso di volontari che si impegna in modo discreto tutti i giorni e da il proprio prezioso contributo a coloro che esprimono necessità di una qualche forma di aiuto, rifuggendo dal solito rumore mediatico, attratto più dalle cattive notizie che da quelle buone.
Secondo l'EURISPES, che ha condotto una ricerca sulla cultura del dono in Italia nel consueto Rapporto Italia che presenta ogni anno, sono un milione e centomila i volontari in servizio permanente effettivo, con impegni formali e turni da rispettare in gruppi strutturati.(http://www.eurispes.it/index.php)
Davvero rilevante è il numero di coloro che si impegnano più saltuariamente: sono altri quattro milioni quelli che almeno una volta all'anno offrono qualche ora del proprio tempo per fare azioni di solidarietà non considerabili e non misurabili economicamente: donazioni di sangue, assistenza agli anziani, ecc.
Per questo abbiamo parlato di esercito, anche se la semantica guerresca non è la più appropriata per definire un impressionante numero di persone (circa 1 su dieci, secondo le rilevazioni dell'Eurispes) che offre gratuitamente qualcosa di sé (tempo, denaro, attenzioni, cure, solidarietà) per donarlo agli altri.
Spesso si tratta di una moltitudine di persone che, in modo più o meno organizzato, arriva a sostenere ciò che un sistema di welfare, anche il più sofisticato, non riesce ad intercettare o a conoscere.
Benchè questo fenomeno non goda di buona stampa, nel senso che le bad news sono meglio delle good news, presso l'opinione pubblica la reputazione dei volontari ha una valutazione elevatissima.
Il volontariato, in tutte le sue molteplici forme, è una componente strutturale e apprezzata del panorama sociale italiano. Ed è l'unica, secondo l'Eurispes, a mantenere alto il proprio livello di apprezzamento e di fiducia.
Ben il 71,3% degli italiani, infatti, ha detto di credere nell'associazionismo, ben più che nelle Forze dell'ordine (69,6%), Carabinieri (63,3%), Polizia (62,7%) e del Presidente della Repubblica (62,1%). Notevole il divario rispetto ad istituzioni come scuola (47,2%), magistratura (44,4%), istituzioni religiose (38,8%), ed ancor maggiore quello rispetto alle istituzioni politiche.
Tra le regioni più impegnate ci sono l'Emilia Romagna (14,4% del totale nazionale) e la Toscana (l'11,5%). Quelle con la percentuale più alta di cittadini che dedicano tempo al volontariato sono l'Alto Adige (19,1%), il Veneto (13,8%) e l'Emilia Romagna (12,3%). Il Sud, invece, resta il fanalino di coda, con la Sicilia (4,8%), la Campania (5,2%), la Calabria (5,4%) e, a sorpresa, il Lazio (5,5%)
Per quanto riguarda il capitolo delle donazioni, i valori si attestano intorno al 20% per ogni fascia di età, escluse quelle che, per ovvi motivi di età, non hanno grandi disponibilità economiche, cioé gli under 18 e gli ultra 75enni. In testa rimangono i 55-59enni tra gli uomini (24,3%) e delle 45-54enni tra le donne (21.9%).
La fonte di finanziamento principale per le onlus rimane l'attività istituzionale (61%), le donazioni contano solo per il 3% e le risorse pubbliche per il 36%. Un dato molto basso rispetto alla media europea, dove l'intervento del pubblico risulta l'entrata più rilevante: in Francia tocca il 58%, in Germania il 64%. (continua)
Tratto da Rivista Lavoro e Post Mercato n° 79
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