domenica 31 maggio 2009

L'era della frugalità. Nuovi stili di consumo responsabile.


Può essere che uno degli effetti più sorprendenti della crisi globale che stiamo vivendo sia l'affermarsi di un nuovo atteggiamento rispetto al consumo di risorse che, come l'economia c'insegna, ritornano ad essere scarse. Ma non è solo un'austerità indotta dalla crisi e dalla contrazione dei redditi.

Sembra affermarsi sempre più,invece, un nuovo modo di guardare ai consumi e agli effetti che essi possono produrre; si è più attenti nelle scelte e alla qualità intrinseca – un tempo si diceva valore d'uso -, si presta maggiore attenzione alle etichette e alla provenienza dei beni, si acquisisce uno stile di vita più sobrio e meno bulimico di fronte al possesso e all'abbondanza.
Da più parti si è definito questo nuovo modello di consumi come un ritorno alla sobrietà, tanto che il periodoco Time ha dedicato una delle sue copertine alla New Frugality, categorizzando un bisogno e una pratica oramai abbastanza diffusi.

Ci sono diversi segnali, infatti, che sia in atto un cambiamento significativo e che la crisi provveda ad accelerarne gli sviluppi.

Il primo segnale che stimola una maggiore sobrietà proviene dalla consapevolezza di un improvviso peggioramento delle condizioni di vita di interi gruppi sociali e dell'inceppamento di alcuni meccanismi di un mercato senza regole, che ha rivelato alla coscienza di molti le conseguenze disastrose di un sistema fondato sulle disuguaglianze e sull'irrazionalità dell'uso delle risorse.

Il secondo passo, di fronte all'impoverimento che investe sempre più quei ceti che appartenevano alla cosiddetta middle class, è il modello dell'arricchimento che diventa economicamente insostenibile e moralmente sempre più intollerabile.
Sia che non ci possa più permettere consumi vistosi, sia per la scelta di non alimentare modelli di consumo distruttivi, si tende a fare più attenzione al rapporto qualità/prezzo, alla riduzione delle quantità, alla ricerca di prodotti venduti “alla spina” per risparmiare sulle confezioni.
Si decide, per risparmiare e per ottenere maggiore qualità e sicurezza, di aderire ai cosiddetti “gruppi d'acquisto”(1) o di acquistare prodotti che dichiarano di essere prodotti il più vicino possibile a chi li consuma e che vengono indicati come “kilometri zero”, per indicare che il loro trasporto non incide sul prezzo finale e che il consumo di energia e l'immissione di CO2 sono ridotti al minimo o nulli.

Questa nuova consapevolezza negli acquisti e nei consumi più responsabili, frutto di una maggiore attenzione agli effetti dei propri stili di consumo sul sistema produttivo, sull'ambiente circostante e sull'uso oculato delle risorse, sono una riscoperta sorprendente di un rinnovato senso di responsabilità.

E' una responsabilità che si esprime a livelli differenti e in varie direzioni.
Si premiano le produzioni che fanno la scelta di non sfruttare i lavoratori con condizioni di lavoro disumane, che non impiegano minori, che non inquinano, che non usano gli animali come cavie.

Anche se si hanno meno risorse a disposizione, c'è un aumento dei consumi nel settore “verde” e si prediligono prodotti cosiddetti di provenienza biologica certificata e di minore impatto ecologico possibile.
Si comincia a scindere quella perniciosa relazione di eguaglianza benessere=consumo: si incrina la credenza che all'aumento del secondo elemento della relazione si ha un corrispettivo aumento del primo.
Se poi si considera che al benessere materiale è stata spesso associata la “felicità”, si comprende come il cambiamento dei modelli di consumo incida profondamente sui processi di attribuzione di senso nelle azioni individuale e collettive.
Bisogna chiedersi se questa maggiore consapevolezza e sobrietà nei consumi si trasformerà in un nuovo e radicato modo di vivere e di pensare.

Come è accaduto con la crisi petrolifera e l'era dell'austerità che ne seguì, negli anni '70 del secolo scorso, quando, una volta messa da parte la paura della crisi energetica, si ricominciò a consumare in modo esibizionistico e insensato, disinteressandosi delle conseguenze di certi stili di consumo, così occorrerà stare attenti che questa occasione di trasformazione virtuosa che ci si offre davanti con questa crisi economica globale che stiamo attraversando non si trasformi in una nuova occasione persa.

Stavolta, però, pare che il tempo a disposizione per rinsavire sia davvero poco, come molti autorevoli scienziati si sforzano di chiarirci. Con i nostri attuali modelli di consumo di risorse e di produzione, ci restano pochi anni prima che i cambiamenti climatici si trasformino in modo catastrofico, tali da rendere sempre più difficile la sopravvivenza di un numero sempre maggiore di uomini su questo pianeta.

Se si è capaci di trasformare i beni di consumo in beni di relazione, potremo ancora avere la possibilità di invertire o modificare un processo che si presenta davvero problematico. Non si tratta, quindi, di recuperare ricette pauperiste, o di proporre stili di vita desueti, ma di constatare pragmaticamente che si può vivere in modo diverso e più responsabile senza diminuire, ma anzi accrescere la propria qualità di vita.

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