domenica 14 giugno 2009
Prove di innovazione tecnologica a scuola. Il JumPc per i nativi digitali.
Se proviamo a rifuggire dalle solite diatribe inconcludenti tra tecnofili e tecnofobi e andiamo a vedere quali cambiamenti strutturali interessano il mondo della scuola con l’introduzione di nuove tecnologie di apprendimento, si potrà vedere che i cambiamenti tanto attesi nel settore dell’educazione possono fornire l’occasione giusta per ripensare i contenuti, le modalità di apprendimento e di insegnamento e il nuovo livello di relazioni cognitive ed emozionali innescate dall’uso di strumenti tecnologicamente avanzati.
Ci riferiamo alla presentazione di un progetto interessante, denominato JumPc, di introduzione dei netbook a livello di scuola primaria. Il Ministro dell’Innovazione tecnologia e quello dell’Istruzione, infatti, hanno annunciato l’intenzione di procedere alla massiccia introduzione di netbook in classe, appositamente pensati per i bambini delle scuole primarie e col tempo anche negli altri gradi di istruzione.
L’antefatto di questo annuncio, tuttavia, proviene dalla presentazione dei primi risultati di una sperimentazione compiuta in alcune regioni italiane e che hanno interessato circa 150 bambini e 15 docenti delle scuole primarie.
Durante la conferenza stampa tenuta a Roma per la presentazione di questa ricerca, è stato presentato anche il JumPc, realizzato da Olidata, in collaborazione con Intel e la Fondazione Mondo Digitale, per bambini dai 6 ai 12 anni, e distribuito in via sperimentale, a inizio anno scolastico, in alcune scuole elementari del Lazio, del Piemonte e della Sicilia.
Nato dallo sviluppo del programma Classmate di Intel, pensato in un primo tempo per ridurre il cosiddetto "digital divide" e promuovere l'alfabetizzazione informatica nei Paesi in via di sviluppo e poi adattato alle scuole, JumPC è un portatile leggero, anticaduta, con tastiera resistente ai liquidi; quindi un prodotto progettato per essere usato anche dai più piccoli. (1)
La domanda che dobbiamo farci a questo punto è: si riuscirà con il tempo a promuovere pratiche di apprendimento significative, adeguate alle nuove potenzialità offerte dai nuovi strumenti tecnologici ai bambini che si affacciano alla scuola e alla conoscenza e che sono stati definiti, con una certa efficacia, i “nativi digitali”?(2)
Anche se non possiamo sapere quanto tempo impiegherà questo processo di innovazione a sedimentarsi nei processi di apprendimento scolastico, possiamo ipotizzare che l’introduzione del Pc a scuola modificherà irreversibilmente e strutturalmente il set cognitivo e relazionale dentro cui avviene la trasmissione delle conoscenze, oltre che al necessario ripensamento delle strategie di accesso alla conoscenza e all’inclusione sociale, in modo che i benefici che provengono da conoscenze, nuove tecnologie e innovazione debbano essere a vantaggio di tutte le persone senza alcun tipo di discriminazione.
Non mancheranno i detrattori, i difensori del bel tempo andato, quelli che ripetono stancamente la superiorità del modello penna e calamaio e della maestrina dalla penna rossa deamicisiana e che non prendono nella dovuta considerazione le innovazioni didattiche strutturali che questi ritrovati tecnologici potrebbero apportare all’insegnamento. Si tratta, infatti, di supporti interattivi e connessi, in grado di lasciar emergere elementi preziosi di condivisione di informazioni e di scambio tra persone, tra docenti e alunni, in una concezione sociale e condivisa dell’apprendimento.
Molti di noi utilizzano i computer per lavoro, maneggiando, ricercando e trasmettendo informazioni e conoscenze, in un ambiente digitale nel quale siamo immersi di continuo. Era inevitabile che i bambini e i ragazzi, lavoratori della conoscenza (knowdlege workers) per vocazione e per necessità, fossero coinvolti in nuove pratiche didattiche rese sempre più potenti e performanti dai personal computer e dalla condivisione delle conoscenze con i docenti e con il gruppo classe.
Se la Società della conoscenza ha un senso, deve averlo soprattutto in questa dimensione di trasmissione ed elaborazione della conoscenza, per promuovere pratiche inclusive e significative di utilizzo didattico adeguate alle sfide della contemporaneità. Bisognerà, però, fare i conti con una certa rottura epistemologica rispetto alle prassi e alle abitudini sedimentate dentro l’organizzazione scolastica e fin dentro la “mente” degli operatori scolatici ai più vari livelli, ed è probabile che questo passaggio dall’”analogico al digitale” avvenga con una certa lentezza, come è naturale che sia.
L’introduzione dei pc in classe, infine, non significa automaticamente migliorare l’offerta formativa, come se l’introduzione dei notebook fosse la soluzione definitiva per adeguarsi alle sfide della modernità. Il miglioramento dell’offerta formativa, invece, si dovrà misurare nella capacità di promuovere competenze, abilità e consapevolezza di essere futuri cittadini di fronte alle sfide di un mondo complesso e sempre mutevole.
NOTE
1) Come ha detto il Presidente della Fondazione Mondo Digitale, il linguista ed ex Ministro dell’Istruzione Tullio De Mauro, "grazie alle nuove competenze acquisite in classe dai bambini, (si) possono fare i "compiti a casa" e scoprire e iniziare a praticare l'innovazione". Si veda per questo l’interessante sito http://www.mondodigitale.org/. Qualche critica, peraltro, è arrivata sula scelta dei partner della sperimentazione, sia per la scelta dell’hardware che del software. Per i più esperti, il netbook presentato è troppo costoso in relazione alle performances che dovrebbe avere. Le critiche più gravi riguardano però la scelta di usare software proprietari, da pagare con costose licenze, e non affidarsi invece a più accessibili e affidabili applicazioni in open source, come invece ci si era impegnati a fare per tutte le amministrazioni pubbliche.
2) Digital native (Nativo digitale) è un’etichetta giornalistica per definire le persone che sono cresciute insieme alle tecnologie digitali, usando con naturalezza e grande perizia computer, dispositivi mobili come i cellulari o i lettori MP3, e che sono usate nelle pratiche quotidiane e nelle relazioni con gli altri. Non tutti, però, concordano sul fatto che i bambini ed i giovani – per la loro età considerati di diritto come nativi digitali - abbiano una maggior dimestichezza con le innovazioni tecnologiche, a differenza degli adulti che sarebbero più maldestri.
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