sabato 14 febbraio 2009
Barack Hussein Obama. Un presidente nuovo nell'era della crisi globale
Pochi giorni fa, il 20 gennaio, dopo aver ripercorso idealmente il viaggio in treno da Philadelphia a Washington di Abraham Lincoln, con il consueto gusto tipicamente americano per le celebrazioni e i richiami simbolici, si è insediato il 44° Presidente degli Stati Unitid'America, Barack Hussein Obama.
Com'è usuale nella democrazia statunitense, il voto popolare che ha portato all'elezione dell'uomo più potente del mondo – come spesso è stato definito il Presidente Usa quanto a potere politico e militare – ha rovesciato i pronostici che davano per favorita la senatrice Clinton e ha premiato a sorpresa un giovane uomo di colore, sconosciuto ai più.
Se è vero che i processi storici non coincidono del tutto con le grandi personalità carismatiche e demiurgiche ma sono invece il frutto di un lavorio sotterraneo di spinte e controspinte che avvengono ad un livello più profondo, nel quale si scontrano e si incontrano le scelte e le omissioni dettate dal succedersi degli eventi, è doveroso interrogarsi sulla natura e sulla peculiarità dell'elezione di uno sconosciuto senatore dell'Illinois allo scranno di Presidente degli USA.
Poiché possiamo ritenere che l'elezione di Obama possa costituire un criterio di giudizio e di seria valutazione sulla qualità delle democrazie materiali di uno dei paesi guida dell'Occidente, vogliamo provare ad elaborare alcune riflessioni sui processi storici in corso per valutare pragmaticamente alcuni temi che ci interessano da vicino quali la mobilità sociale, i processi di inclusione ed esclusione sociale, i rapporti tra tecnologia e politica e i mutamenti della governance globale nell'epoca della crisi attuale.
1.Per quanto sia abusata come immagine, la conquista della Presidenza da parte di Obama, ha mostrato come “l'ascensore sociale” abbia funzionato ancora una volta nel paese delle opportunità. L'american dream si è realizzato anche per il figlio di un keniota e di una studentessa bianca del Kansas, vissuto per lungo tempo alle Hawai, in una landa periferica degli Usa, che in virtù del suo talento e di alcune munifiche borse di studio, ha potuto laurearsi ad Harvard e poi presentarsi, giovanissimo, al Senato, riuscendo ad ottenere l'elezione. Addirittura, è riuscito a scalzare l'establishment del partito democratico e a conquistare la “presidenza dell'Impero”. In una cultura fondata sulla competizione e sull'individualismo, l'ascesa del giovane senatore si connota come una riprova del darwinismo sociale, diventando l'esempio di un meccanismo selettivo efficiente, peculiare e del tutto radicato in quella cultura – specie se confrontato con i bizantinismi della politica di casa nostra. Fin qui, dunque, non sembrerebbe esserci niente di nuovo. Non bisogna però dimenticare che la sua elezione ha infranto un tabù che sembrava inattaccabile, vale a dire la possibilità che un uomo di colore fosse eletto alla Presidenza degli USA. La grande partecipazione popolare, pur con i farraginosi meccanismi elettorali americani, in questo evento che non è esagerato definire storico, ha spazzato via in modo incontrovertibile questa lunghissima e drammatica conventio ad excludendum. Ciò a dimostrazione che la politica, nelle sue espressioni migliori, e basta per questo scorrere il discorso di insediamento di Obama alla Casa Bianca, non è fatta solo di ragioni, di interessi o solo di istituzioni: le passioni collettive possono avere un grande peso, così come la speranza e le visioni che sono in grado di sporgersi oltre il tempo presente, aprendo prospettive nuove per il futuro. Il geniale slogan di Obama, sta lì a dimostrarlo: “yes, we can”, “si può fare”.
2.Ciò significa che l'annosa questione dell'integrazione razziale, con l'elezione di Obama, è del tutto risolta? Certamente no. E' altrettanto certo che possiamo ipotizzare che qualcosa di profondo si sia spostato nella psicologia collettiva del popolo americano se il colore della pelle non costituisce più un criterio di esclusione nella corsa alla Casa Bianca. Di qua dall'Oceano risulta difficile cogliere in tutta la sua rilevanza questa questione dell'integrazione razziale dopo secoli di guerre e di conflitti. La dottrina del melting pot, della fusione razziale, ha rappresentato per molto tempo l'unico appiglio in grado di offrire uno scenario di coesistenza tra gruppi etnici differenti. Per quanto sia da considerare piuttosto in crisi, a causa delle imponenti ondate migratorie degli ultimi decenni, questa teoria aveva ipotizzato che l'America, quale terra delle opportunità e della democrazia, fosse in grado di funzionare come un gigantesco contenitore in grado di trasmutare alchemicamente i conflitti e le incomprensioni, l'odio e il razzismo, creando una società più giusta e più equa. Il sogno di Martin Luther King sembra essersi avverato, almeno per le comunità afroamericane. (1)
Ma mentre il pastore King pensava più alla fratellanza e alla convivenza fra diversi, la vittoria di Obama sembrerebbe la prova della forza dell'eguaglianza democratica. La sua storica vittoria è cominciata quando la schiavitù è stata abolita, ed è proseguita sul doppio binario delle regole e delle istituzioni e quello dei rapporti sociali, in un processo ideale che avanza sulle gambe di persone e collettività che rivendicano la propria dignità e l'esigenza di vivere senza conflitti o privilegi assegnati.
3.Oltre alla questione della convivenza etnica e ai meccanismi di rappresentanza, sembra esserci un altro elemento che connota l'elezione di Obama come un momento storicamente rilevante: il rapporto maturo e ormai irreversibile tra Internet, le nuove tecnologie di comunicazione e la politica. Forse non è stato abbastanza sottolineato dai media tradizionali, ma Obama, da accorto conoscitore delle nuove tecnologie di comunicazione, ha usato in modo magistrale la tribuna a basso costo rappresentata dalla Rete delle reti, sfruttandone le capacità di connessione e le sue caratteristiche “virali”. Occorre dunque aggiornare la teoria classica di Lazarsfeld, che aveva studiato la capacità di propagazione delle idee politiche e delle preferenze elettorali attraverso i cosiddetti opinion leaders, appartenenti all'elite sociale e culturale. Con la proliferazione dei nuovi media e della crescente interconnessione sociale, questo schema deve essere rivisto, dato che adesso, in linea teorica, gli opinion leaders coincidono con coloro che hanno accesso alla Rete e che hanno adesso la possibilità di far conoscere le loro opinioni. Una cifra risalta alla nostra attenzione: attraverso Internet, l'attività di fund raising di Obama ha raccolto circa 230 milioni di dollari, polverizzando il record di un altro candidato presidenziale, non eletto, Howard Dean; ma la questione ancora più importante è che le donazioni raccolte hanno coinvolto un numero imponente di cittadini e di elettori, che vi hanno partecipato versando magari solo pochi dollari. (2)
Mentre nel nostro paese ci dibattiamo inutilmente da decenni sul finanziamento della politica, nonostante vari interventi legislativi e un referendum mai rispettato, si ricorre allegramente ai fondi pubblici per finanziare dubbie imprese politiche ed editoriali, negli Usa la Rete ha offerto all'outsider Obama la possibilità di raccogliere somme imponenti con piccole donazioni di cittadini comuni. Il nuovo presidente è riuscito ad accorciare la distanza tra cittadini ed istituzioni, lanciando anche la sfida di mettere online la Presidenza. Tutti gli sms e le mail, i messaggi sui social network hanno dato carburante ad una rincorsa vincente e fin qui ancora inedita, tanto che si è parlato di “modello mediatico alternativo”.(3)
Secondo Macon Philips, direttore della sezione New Media della Casa Bianca, l’azione del governo Obama su internet si articola secondo tre aspetti: comunicazione, trasparenza e partecipazione. Persino il sito della Casa Bianca si è “obamizzato”. Come afferma in modo inequivoco il nuovo Presidente nel post inaugurale del primo blog presidenziale, “questo è solo l’inizio del nostro impegno per dare a tutti gli americani una finestra sull’operato del governo”.
4. Un ultimo punto merita di essere messo a fuoco, prima di passare alla prova dei fatti, quando la durezza delle decisioni e l'imprevedibilità delle contingenze costringeranno il giovane Presidente a misurarsi concretamente con una crisi globale e drammatica. Se è del tutto evidente che la crisi ha il suo epicentro negli States, è assai probabile che gli interventi presidenziali avranno come focus la politica interna, prima ancora di quella internazionale, modificando così in modo strutturale la consueta centralità americana nello scacchiere geopolitico mondiale. E tuttavia, la natura di questa crisi, l'evidente riprova di una globalizzazione che è ormai diventata l'orizzonte comune, rende più sfumati i confini tra ciò che possiamo intendere come politica interna o politica estera. Ciò che gli Usa sceglieranno di fare da qui ai prossimi mesi per risollevare la loro economia avrà conseguenze dirette e profonde sulle economie del resto del mondo; parimenti, gli approcci per risolvere i focolai di crisi e le guerre in corso, avranno un effetto duraturo e altrettanto profondo sullo stato dei nuovi rapporti tra gli Stati Nazione.
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Note
1)In questo momento di pacificazione (o semplice tregua?) tra bianchi e e neri non vanno dimenticati gli scontri feroci e le guerre a bassa intensità degli anni passati. Oltre al pastore Martin Luther King, ucciso per le sue idee di fratellanza, non bisogna dimenticare che anche la figura controversa di Malcom X e il Movimento delle Black Panthers hanno costituito un momento storicamente significativo dell'identità della comunità afroamericana.
2)Questo non deve oscurare il fatto che il meccanismo elettorale statunitense per le elezioni presidenziali sia enormemente dispendioso.
3)Nel vecchio modello il presidente parla al popolo in televisione e la gente risponde tramite i sondaggi; nel nuovo modello la comunicazione avviene online, ed è bidirezionale. Obama vanta un milione di “amici” su MySpace, oltre 3,7 milioni di sostenitori sulla pagina ufficiale di Facebook (circa 700.000 dei quali aggiuntisi dopo l’elezione), mentre durante la campagna elettorale è stato messo insieme un database di 13 milioni di indirizzi e-mail. Il grande lavoro innovativo svolto dallo staff di Obama farà scuola sia per quanto riguarda la campagna elettorale che per il passaggio di consegne tra elezione e insediamento. Vedi http://my.barackobama.com/page/user/login?successurl=L3BhZ2UvZGFzaGJvYXJkL3ByaXZhdGU=
In soli due mesi e mezzo Change.gov (http://change.gov/) il sito che lo staff di Obama ha realizzato tra l’elezione e l’insediamento per comunicare coi cittadini - è forse andato anche oltre, con una piattaforma di comunicazione e di confronto aperto, costantemente aggiornato sull’operato del gruppo al lavoro impegnato nelle operazioni di transizione.
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