Dal nostro inviato
Si sente forte il bisogno, di questi tempi, di uno sguardo approfondito e ampio intorno ai temi fondamentali della cultura, di approcci meno frettolosi e superficiali di quelli che spesso ci offrono i quotidiani ed i settimanali.Solo l'analisi culturale seria e rigorosa, infatti, con i suoi movimenti lenti e prudenti, è in grado di proporre ipotesi e di offrire argomenti razionali su temi e problematiche che troppo spesso non si riesce a comprendere nella loro vera portata. E' il tipo di offerta culturale che ci si aspetterebbe di trovare nei tanti (troppi) festival culturali che si celebrano in Italia.
E' quindi con vero interesse che abbiamo assistito agli incontri culturali organizzati nell'ambito della Sezione Idee del Festival di Spoleto, edizione 2008. (1)
Il Festival di Spoleto, giunto quest'anno alla sua 51° edizione, in collaborazione con L'Istituto di Scienze Umane di Alta formazione (SUM), ha organizzato un interessante ciclo di incontri-dibattiti aventi per tema la metamorfosi della violenza. (2)
Il tema proposto, che si pone all'incrocio degli interessi di molte discipline e che riverbera i suoi effetti su molteplici fenomeni individuali e sociali, è un caratteristico “nodo” in grado di farci cogliere i punti di contatto tra natura e cultura, tra mito e storia e, inoltre, di offrirci un osservatorio importante per tutti gli intrecci tra i comportamenti individuali e quelli collettivi.Diversi esponenti di varie discipline delle scienze umane, si sono confrontati intorno a questo tema, offrendo spunti e riflessioni preziosi su un tema così affascinante e impervio. Di seguito, riportiamo in sintesi alcuni di questi interventi. Moltissimi sono stati i testi e gli autori citati; per non appesantire il testo, abbiamo preferito ridurre al minimo i riferimenti per riportare l’essenziale di ogni intervento.
Il prof. Aldo Schiavone, docente di diritto romano, direttore del SUM, propone di focalizzare la riflessione delle scienze umane intorno al concetto di violenza per almeno due ordini di ragioni: a) per l'evidenza del fenomeno nel corso di tutto il Novecento e a tutt'oggi; b) per la sua problematizzazione attuale e per il fenomeno che vediamo realizzarsi per la prima volta in questa parte del pianeta dove siamo di fronte ad un lungo intervallo storico, dato che almeno dalla fine del secondo conlitto mondiale ci consente di sperimentare un mondo privo di violenza almeno nelle sue forme più estreme, come per i conflitti bellici. Che in questo piccolo angolo di mondo, l'Europa, possa tornare la guerra sembra quasi folle, realizzando almeno in parte il sogno Kantiano della pace universale.(3)
Eppure, per restare all'età moderna, proprio in Europa, più che altrove, sono nati i grandi catalizzatori della violenza, come la nascita e lo scontro degli Stati-Nazione, la divisione e la violenza di classe, lo scontro e le scissioni delle grandi religioni monoteiste. Solo il lavoro salariato moderno, in condizioni di parità formale tra datore di lavoro e lavoratore, ha affievolito quella produzione di conflitti e di violenza che il lavoro arcaico schiavizzato, produttore di violenza e di coercizione fisica estrema, ha immesso nella storia.Tutti questi produttori di violenza – Stati Nazione, scontro di classe, dissidi religiosi, lavoro, continua Schiavone, stanno affievolendo la loro influenza, tanto da far intravedere che la violenza, elemento consustanziale della condizione umana, sia per la prima volta problematizzata e tenuta a distanza. Si può aprire, almeno concettualmente, lo spiraglio di un'antropologia dell'umano con una minore presenza di violenza o addirittura di un mondo senza violenza. Quale lavoro concettuale e psicologico comporta per i singoli individui e per la società un mondo senza violenza?
Altri pensatori, tra cui il prof. Marramao, docente di Filosofia Politica, non sono così certi che la violenza derivi dall'aggressività originale, tipica degli esseri umani. Secondo Marramao, infatti, la radice delle guerre e della violenza è invece riconducibile a postulati normativi inconciliabili, su idee di futuro e di sviluppo divergenti e differenti, ed è probabile che una totale assenza di violenza sia impossibile o impensabile. E' vero, afferma Marramao, che la crisi degli stati nazione comporta un minor ricorso alle guerre, almeno in Occidente, tuttavia l'ordine internazionale così faticosamente creato rischia di aprire altre forme di conflitto. Che è come dire che noi siamo in un interregno, costituito dal non più del vecchio ordine e il non ancora del nuovo ordine internazionale. Un ulteriore segno di preoccupazione per il riaffacciarsi della violenza riguarda gli attuali conflitti cosiddetti identitari, legati all'appartenenza etnica o religiosa, piuttosto che ai nazionalismi. E' importante, per Marramao, giungere ad una ridefinizione simbolica della violenza, ripensando relazioni e valori, altrimenti si corre il rischio di essere nuovamente schiacciati dai conflitti che si agitano nel mondo. Senza il legame della politica ad un sistema valoriale e ad un'idea condivisa di bene comune, non è possibile uscire dai conflitti identitari. La violenza non è inestirpabile, purché si ritorni ad una grande politica. La sfida rappresentata dai processi di globalizzazione deve essere vista in chiave di emersione dei conflitti di valore, derivati dai conflitti identitari. L'Europa, se non vuole rimanere schiacciata dai colossi asiatici e statunitensi, mettendo a rischio la sua stessa identità, deve provare a ridefinire appunto una Grande politica.
Il prof. Bettini, docente di filologia classica, richiamando le riflessioni proposte dall’antropologo Girard ne La violenza e il sacro, constata il venir meno dei modelli antichi di simbolizzazione della violenza, come nei sacrifici.(4)
Per i greci, sostiene Bettini, il cratos, rappresentava la forza fisica, individuando il violento come un uomo con un eccesso di forza, mentre noi la intendiamo in termini psicologici e simbolici. Con la dichiarazione dei diritti umani del '48, abbiamo tentato nell'età moderna di definire che cos'è umano e ciò che non lo è. Tuttavia, essi si presentano in modo simile a ciò che conosciamo del mondo omerico, dove i diritti degli uomini (mangiare, dormire, riposare, ecc.) erano garantiti dal dio. Un interessante fenomeno moderno per uscire dal ciclo ripetitivo della violenza è quello della riconciliazione, così come si è storicamente mostrata in Sudafrica. Attraverso il meccanismo dell'oblio, più che del perdono, si è visto che se si ricorda ciò che unisce e non ciò che divide, è possibile uscire dal cerchio oscuro della violenza.La prof.ssa Manuela Fraire, psicoanalista, ha invece richiamato all'attenzione i temi proposti dal movimento femminista e dal pensiero della differenza, dove il tema della violenza viene visto anche in termini di genere e di scambio sessuale. Tra l'altro, proprio nel pensiero femminile, si è esplicitamente tematizzata la specificità dell'autorità rispetto al potere e alla violenza, che invece si tende a ritenere inscindibili.
Il prof. Roberto Esposito, filosofo, non ritiene che sia possibile espellere la violenza, dato che essa è il mezzo più semplice per la risoluzione dei conflitti. Per certi versi, essa serve anche ad uscire da uno stato intollerabile di dominio, con una dimensione liberatoria. Il problema della violenza nasce quando da strumento diventa fine, tanto più nell'età contemporanea, allorchè si presenta una nuova forma di politica, la biopolitica, in cui la conservazione e lo sviluppo della vita, diventa obiettivo centrale del potere, elemento di inclusione e di esclusione tra i gruppi e quindi fulcro di efferate violenze. Il nemico si patologizza, diventa un cancro da estirpare. In ogni caso, siamo di fronte a metamorfosi della violenza, dato che come hanno mostrato Darwin e Freud, la violenza è caratteristica della specie umana ed è inscindibile dal suo destino.
Mons. Giovanni Ravasi, teologo e Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, intervenendo nel dibattito, cerca di mostrare come il cristianesimo risponde a questo pessimismo. Condividendo il realismo crudo di chi descrive la violenza come un carattere umano sostanziale, propone vari richiami testuali al fratricidio, presenti nella Bibbia e ne mostra la relazione con la fondazione della città e della società.Solo la conoscenza del bene e del male, prosegue Mons. Ravasi, la libertà di muoversi in queste dimensioni dell'essere, può far vedere il legame del male con la finitezza e la caducità. E se si è caduti nel male si può ricominciare dal bene. E' nell'ottica del perdono che si esce dalla violenza, nel momento in cui Dio, perdonando chi ha fatto il male, contemporaneamente gli rivela il male che ha commesso.Riportando sinteticamente alcuni degli interventi, ritenuti tra i più significativi, si è cercato di dar conto di un dibattito alto e proficuo intorno ad uno dei temi più controversi e affascinanti. Ascoltando queste dotte dissertazioni, non c'è quasi modo di sfuggire all'idea che le forme in cui continuamente si incarna la violenza sono appunto metamorfosi di un evento che tende a ripetersi e a ripresentarsi sempre, contrariamente alla nostra idea che sia possibile esorcizzarla con le nostre conquiste di civiltà.Alla cultura spetta di affrontare gli eventi della storia senza moralismi e senza pregiudizi, con l'unico interesse di verificare in quali termini, e a quali condizioni, sia possibile ipotizzare un progresso veramente degno di questo nome. Luglio 2008.
______________________________
NOTE
(1) Usualmente, il Festival di Spoleto, ha sempre puntato sulla proposta di spettacoli, performances e opere innovative in tutti i campi espressivi: prosa, teatro, lirica, mostre, ecc.. Quest’anno, il Festival fondato da Gian Carlo Menotti nel 1947, in occasione di un suo rilancio sulla scena nazionale ed internazionale dopo le ultime deludenti edizioni, ha proposto una sezione dedicata al confronto di idee su argomenti generali, in grado di rappresentare una sfida conoscitiva interessante e di alto livello. Il curatore di questa prima edizione della Sezione Idee del Festival è il prof. Ernesto Galli Della Loggia, storico. Vedi il sito http://www.festivaldispoleto.com/.
Per conoscere la storia del festival, v.http://it.wikipedia.org/wiki/Festival_dei_Due_Mondi.
(2) L'Istituto Italiano di Scienze Umane (SUM) è un'istituzione pubblica dedicata all'alta formazione e alla ricerca nei diversi ambiti delle scienze umane e sociali. Ha sede a Firenze e a Napoli ed è strutturato con un sistema a rete, articolato su cinque Scuole di alta formazione insediate presso le Università di Bologna, Firenze, Napoli "Federico II", Napoli "L'Orientale", Napoli "Suor Orsola Benincasa", Roma "La Sapienza", Siena. Vedi http://www.sumitalia.it/ITA/index.php.
(3) I. Kant, Per la pace perpetua, Feltrinelli, Milano, 2005. Cfr. in particolare la Prefazione di Salvatore Veca.
(4) R. Girard, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano, 2000. Girard in sostanza sostiene che il sacro sia la maschera della violenza originaria e fondatrice alla base delle società umane.
Si sente forte il bisogno, di questi tempi, di uno sguardo approfondito e ampio intorno ai temi fondamentali della cultura, di approcci meno frettolosi e superficiali di quelli che spesso ci offrono i quotidiani ed i settimanali.Solo l'analisi culturale seria e rigorosa, infatti, con i suoi movimenti lenti e prudenti, è in grado di proporre ipotesi e di offrire argomenti razionali su temi e problematiche che troppo spesso non si riesce a comprendere nella loro vera portata. E' il tipo di offerta culturale che ci si aspetterebbe di trovare nei tanti (troppi) festival culturali che si celebrano in Italia.
E' quindi con vero interesse che abbiamo assistito agli incontri culturali organizzati nell'ambito della Sezione Idee del Festival di Spoleto, edizione 2008. (1)
Il Festival di Spoleto, giunto quest'anno alla sua 51° edizione, in collaborazione con L'Istituto di Scienze Umane di Alta formazione (SUM), ha organizzato un interessante ciclo di incontri-dibattiti aventi per tema la metamorfosi della violenza. (2)
Il tema proposto, che si pone all'incrocio degli interessi di molte discipline e che riverbera i suoi effetti su molteplici fenomeni individuali e sociali, è un caratteristico “nodo” in grado di farci cogliere i punti di contatto tra natura e cultura, tra mito e storia e, inoltre, di offrirci un osservatorio importante per tutti gli intrecci tra i comportamenti individuali e quelli collettivi.Diversi esponenti di varie discipline delle scienze umane, si sono confrontati intorno a questo tema, offrendo spunti e riflessioni preziosi su un tema così affascinante e impervio. Di seguito, riportiamo in sintesi alcuni di questi interventi. Moltissimi sono stati i testi e gli autori citati; per non appesantire il testo, abbiamo preferito ridurre al minimo i riferimenti per riportare l’essenziale di ogni intervento.
Il prof. Aldo Schiavone, docente di diritto romano, direttore del SUM, propone di focalizzare la riflessione delle scienze umane intorno al concetto di violenza per almeno due ordini di ragioni: a) per l'evidenza del fenomeno nel corso di tutto il Novecento e a tutt'oggi; b) per la sua problematizzazione attuale e per il fenomeno che vediamo realizzarsi per la prima volta in questa parte del pianeta dove siamo di fronte ad un lungo intervallo storico, dato che almeno dalla fine del secondo conlitto mondiale ci consente di sperimentare un mondo privo di violenza almeno nelle sue forme più estreme, come per i conflitti bellici. Che in questo piccolo angolo di mondo, l'Europa, possa tornare la guerra sembra quasi folle, realizzando almeno in parte il sogno Kantiano della pace universale.(3)
Eppure, per restare all'età moderna, proprio in Europa, più che altrove, sono nati i grandi catalizzatori della violenza, come la nascita e lo scontro degli Stati-Nazione, la divisione e la violenza di classe, lo scontro e le scissioni delle grandi religioni monoteiste. Solo il lavoro salariato moderno, in condizioni di parità formale tra datore di lavoro e lavoratore, ha affievolito quella produzione di conflitti e di violenza che il lavoro arcaico schiavizzato, produttore di violenza e di coercizione fisica estrema, ha immesso nella storia.Tutti questi produttori di violenza – Stati Nazione, scontro di classe, dissidi religiosi, lavoro, continua Schiavone, stanno affievolendo la loro influenza, tanto da far intravedere che la violenza, elemento consustanziale della condizione umana, sia per la prima volta problematizzata e tenuta a distanza. Si può aprire, almeno concettualmente, lo spiraglio di un'antropologia dell'umano con una minore presenza di violenza o addirittura di un mondo senza violenza. Quale lavoro concettuale e psicologico comporta per i singoli individui e per la società un mondo senza violenza?
Altri pensatori, tra cui il prof. Marramao, docente di Filosofia Politica, non sono così certi che la violenza derivi dall'aggressività originale, tipica degli esseri umani. Secondo Marramao, infatti, la radice delle guerre e della violenza è invece riconducibile a postulati normativi inconciliabili, su idee di futuro e di sviluppo divergenti e differenti, ed è probabile che una totale assenza di violenza sia impossibile o impensabile. E' vero, afferma Marramao, che la crisi degli stati nazione comporta un minor ricorso alle guerre, almeno in Occidente, tuttavia l'ordine internazionale così faticosamente creato rischia di aprire altre forme di conflitto. Che è come dire che noi siamo in un interregno, costituito dal non più del vecchio ordine e il non ancora del nuovo ordine internazionale. Un ulteriore segno di preoccupazione per il riaffacciarsi della violenza riguarda gli attuali conflitti cosiddetti identitari, legati all'appartenenza etnica o religiosa, piuttosto che ai nazionalismi. E' importante, per Marramao, giungere ad una ridefinizione simbolica della violenza, ripensando relazioni e valori, altrimenti si corre il rischio di essere nuovamente schiacciati dai conflitti che si agitano nel mondo. Senza il legame della politica ad un sistema valoriale e ad un'idea condivisa di bene comune, non è possibile uscire dai conflitti identitari. La violenza non è inestirpabile, purché si ritorni ad una grande politica. La sfida rappresentata dai processi di globalizzazione deve essere vista in chiave di emersione dei conflitti di valore, derivati dai conflitti identitari. L'Europa, se non vuole rimanere schiacciata dai colossi asiatici e statunitensi, mettendo a rischio la sua stessa identità, deve provare a ridefinire appunto una Grande politica.
Il prof. Bettini, docente di filologia classica, richiamando le riflessioni proposte dall’antropologo Girard ne La violenza e il sacro, constata il venir meno dei modelli antichi di simbolizzazione della violenza, come nei sacrifici.(4)
Per i greci, sostiene Bettini, il cratos, rappresentava la forza fisica, individuando il violento come un uomo con un eccesso di forza, mentre noi la intendiamo in termini psicologici e simbolici. Con la dichiarazione dei diritti umani del '48, abbiamo tentato nell'età moderna di definire che cos'è umano e ciò che non lo è. Tuttavia, essi si presentano in modo simile a ciò che conosciamo del mondo omerico, dove i diritti degli uomini (mangiare, dormire, riposare, ecc.) erano garantiti dal dio. Un interessante fenomeno moderno per uscire dal ciclo ripetitivo della violenza è quello della riconciliazione, così come si è storicamente mostrata in Sudafrica. Attraverso il meccanismo dell'oblio, più che del perdono, si è visto che se si ricorda ciò che unisce e non ciò che divide, è possibile uscire dal cerchio oscuro della violenza.La prof.ssa Manuela Fraire, psicoanalista, ha invece richiamato all'attenzione i temi proposti dal movimento femminista e dal pensiero della differenza, dove il tema della violenza viene visto anche in termini di genere e di scambio sessuale. Tra l'altro, proprio nel pensiero femminile, si è esplicitamente tematizzata la specificità dell'autorità rispetto al potere e alla violenza, che invece si tende a ritenere inscindibili.
Il prof. Roberto Esposito, filosofo, non ritiene che sia possibile espellere la violenza, dato che essa è il mezzo più semplice per la risoluzione dei conflitti. Per certi versi, essa serve anche ad uscire da uno stato intollerabile di dominio, con una dimensione liberatoria. Il problema della violenza nasce quando da strumento diventa fine, tanto più nell'età contemporanea, allorchè si presenta una nuova forma di politica, la biopolitica, in cui la conservazione e lo sviluppo della vita, diventa obiettivo centrale del potere, elemento di inclusione e di esclusione tra i gruppi e quindi fulcro di efferate violenze. Il nemico si patologizza, diventa un cancro da estirpare. In ogni caso, siamo di fronte a metamorfosi della violenza, dato che come hanno mostrato Darwin e Freud, la violenza è caratteristica della specie umana ed è inscindibile dal suo destino.
Mons. Giovanni Ravasi, teologo e Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, intervenendo nel dibattito, cerca di mostrare come il cristianesimo risponde a questo pessimismo. Condividendo il realismo crudo di chi descrive la violenza come un carattere umano sostanziale, propone vari richiami testuali al fratricidio, presenti nella Bibbia e ne mostra la relazione con la fondazione della città e della società.Solo la conoscenza del bene e del male, prosegue Mons. Ravasi, la libertà di muoversi in queste dimensioni dell'essere, può far vedere il legame del male con la finitezza e la caducità. E se si è caduti nel male si può ricominciare dal bene. E' nell'ottica del perdono che si esce dalla violenza, nel momento in cui Dio, perdonando chi ha fatto il male, contemporaneamente gli rivela il male che ha commesso.Riportando sinteticamente alcuni degli interventi, ritenuti tra i più significativi, si è cercato di dar conto di un dibattito alto e proficuo intorno ad uno dei temi più controversi e affascinanti. Ascoltando queste dotte dissertazioni, non c'è quasi modo di sfuggire all'idea che le forme in cui continuamente si incarna la violenza sono appunto metamorfosi di un evento che tende a ripetersi e a ripresentarsi sempre, contrariamente alla nostra idea che sia possibile esorcizzarla con le nostre conquiste di civiltà.Alla cultura spetta di affrontare gli eventi della storia senza moralismi e senza pregiudizi, con l'unico interesse di verificare in quali termini, e a quali condizioni, sia possibile ipotizzare un progresso veramente degno di questo nome. Luglio 2008.
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NOTE
(1) Usualmente, il Festival di Spoleto, ha sempre puntato sulla proposta di spettacoli, performances e opere innovative in tutti i campi espressivi: prosa, teatro, lirica, mostre, ecc.. Quest’anno, il Festival fondato da Gian Carlo Menotti nel 1947, in occasione di un suo rilancio sulla scena nazionale ed internazionale dopo le ultime deludenti edizioni, ha proposto una sezione dedicata al confronto di idee su argomenti generali, in grado di rappresentare una sfida conoscitiva interessante e di alto livello. Il curatore di questa prima edizione della Sezione Idee del Festival è il prof. Ernesto Galli Della Loggia, storico. Vedi il sito http://www.festivaldispoleto.com/.
Per conoscere la storia del festival, v.http://it.wikipedia.org/wiki/Festival_dei_Due_Mondi.
(2) L'Istituto Italiano di Scienze Umane (SUM) è un'istituzione pubblica dedicata all'alta formazione e alla ricerca nei diversi ambiti delle scienze umane e sociali. Ha sede a Firenze e a Napoli ed è strutturato con un sistema a rete, articolato su cinque Scuole di alta formazione insediate presso le Università di Bologna, Firenze, Napoli "Federico II", Napoli "L'Orientale", Napoli "Suor Orsola Benincasa", Roma "La Sapienza", Siena. Vedi http://www.sumitalia.it/ITA/index.php.
(3) I. Kant, Per la pace perpetua, Feltrinelli, Milano, 2005. Cfr. in particolare la Prefazione di Salvatore Veca.
(4) R. Girard, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano, 2000. Girard in sostanza sostiene che il sacro sia la maschera della violenza originaria e fondatrice alla base delle società umane.
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