sabato 24 luglio 2010

Un esercito di volontari. Cultura del dono e azione gratuita

Abbiamo concluso la seconda parte di questo intervento interrogandoci sul significato dell'azione gratuita.
Senza scomodare troppe teorie, seguiamo il sentiero di un discorso che fissi alcuni spunti di riflessione su una questione che è evidentemente di difficile approccio, considerando che essa si trova all'incrocio di diverse discipline e che l'opera di traduzione dall'una all'altra non è poi così agevole.

E' sufficiente la definizione di azione gratuita come azione spontanea, benefica e non remunerativa?
Non completamente, crediamo. Ci sono vari argomenti che possono mettere in dubbio la non remunerazione o la non spontaneità delle azioni gratuite. Basti pensare che si può compiere un'azione non remunerata o non in vista di un bene (lavoro, reputazione) futuro.

C'è chi suggerisce che se vogliamo introdurre il paradigma relazionale all'interno delle scienze economiche, invece del consueto individualismo razionale, dobbiamo invece considerare che il fine dell'azione gratuita è la costruzione ed il mantenimento della fraternità, vale a dire della necessità di fare il bene non per-gli-altri ma con-gli- altri. Ed è questo ciò che distingue la filantropia dall'azione gratuita.(3)

La questione sembrerebbe ruotare intorno alla possibilità (o impossibilità) di un'azione veramente gratuita. Autorevoli filosofi, come ad es Derrida, hanno argomentato come il dono sia un evento impossibile, proprio perchè il dono come tale non dovrebbe essere fatto ed essere percepito in modo interessato; poiché sembrerebbe non esistere un tale livello di “purezza” del dono, se ne deduce che esso è impossibile, oppure che esso è collocabile in una aporia insormontabile. (4)

L'importanza che assume la discussione in ambito antropologico è nota a tutti. Vecchi e nuovi antropologi ne hanno studiato le forme più svariate ma non sono pervenuti ad una modellizzazione definitiva, se non rinviando ad un ipotetico modello di scambio tra non equivalenti e come forma di riconoscimento sociale reciproco. (5)
L'esito paradossale cui si perviene affidandoci alla coppia concettuale egoismo – altruismo è dovuto ad un vizio concettuale di fondo, per cui vi è sempre un qualche interesse che guida l'agire. Se si agisce in modo da produrre un beneficio, a sé o ad altri, l'azione totalmente gratuita sfuma anche dal lato degli effetti e non solo delle cause.
Eppure, l'azione gratuita esiste, ne abbiamo esperienza, magari compiamo atti che possono essere ricondotti a questa categoria.

Allora perché tanta difficoltà nel trovarne una definizione condivisa?
Sono diversi i livelli di coscienza che noi abbiamo di queste azioni, verrebbe da dire. Una madre che accudisce il proprio bambino lo fa perché ottempera ad un dettato di conservazione della specie o perché, spontaneamente, sceglie i mezzi per farlo crescere nel modo migliore? E ancora: gli atti che si compiono in pura gratuità, senza domandarsene la ragione, sono migliori di quelli che si compiono con raziocinio e senso del risultato?
Non abbiamo una risposta a queste domande. L'idea che le discipline economiche dovrebbero tornare a misurarsi con questioni del genere, eviterebbe di interrogarsi e di accapigliarsi sul perché delle varie crisi economiche o sulla crescita del mercato immobiliare.

Per concludere – e se possibile complicare ulteriormente un quadro tanto problematico – vorremmo introdurre un'ultima questione.
Chi scrive ritiene che ogni azione che comporti una riduzione di sofferenza o di bisogno sia del tutto benvenuta, quale che ne sia lo scopo o la forma che essa assume.

E' necessario, però, porsi il problema del vero convitato di pietra di queste riflessioni, vale a dire la questione delle cause che hanno condotto al bisogno o alla sofferenza.
Non sappiamo se l'atto di donare sia iscritto nella natura umana, data la difficoltà di circoscrivere un fenomeno di questo genere.
Esso serve certamente a costruire una diversa socialità, oltre che a mitigare gli effetti più nefasti della tendenza a ridurre tutto al dominio del possesso.
Tuttavia crediamo si possa affermare che ogni atto di solidarietà e di dono di sé completa il senso che lo giustifica se, e solo se, si dirige verso la rimozione definitiva delle cause delle sofferenze che si trova a contrastare.

E' a partire da questo incrocio di questioni che l'economia, la politica , l'etica e la giustizia sociale possono trovare un orizzonte di senso adeguato e coerente. (Fine. Gli interventi precedenti si trovano ai numeri 79 e 80 di LPM)


NOTE

3)“C’è un interesse superiore al fondo dell’azione gratuita: costruire la fraternità. Nelle nostre società, il dono è, in primo luogo, dono alla fraternità”. Vedi http://www.aiccon.it/file/convdoc/n.32.pdf
4)Vedi Derrida J., Donare il tempo e la moneta falsa, Torino, Bollati Boringhieri, 1996
5)Vedi su tutti Mauss M, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, Torino, Einaudi, 2002 e A. Caillè, Il terzo paradigma. Antropologia filosofica del dono, Bollati Boringhieri, Torino, 1998.


Tratto da Rivista Lavoro e Post mercato n° 83