domenica 30 settembre 2012

Analfabetismo tra lavoro e cittadinanza (seconda ed ultima parte)

Nella prima parte di questo intervento (vedi LPM n°110), abbiamo visto le due dimensioni dell’analfabetismo, quella relativa alla marginalità economica e quella relativa all’esercizio pieno della cittadinanza.

E’ chiaro che non possiamo, in questa sede, occuparci di politiche scolastiche, che richiederebbero un lavoro di lunga lena e con criteri metodologici rigorosi. Forse si può avanzare qualche riflessione, speriamo non estemporanea, sullo stato e sulle prospettive della nostra scuola e della cultura, oltre le solite giaculatorie del mancato contatto tra mondo della scuola e mondo del lavoro.

- In che modo le riforme scolastiche che sono state proposte negli scorsi anni hanno agito sui livelli di alfabetizzazione scolastica e di cittadinanza?
Ci sembra che il livello su cui si è operato, in sostanza, sia quello della riorganizzazione scolastica, con l’aggiunta di nuovi indirizzi e di nuove materie di studio, senza toccare l’impianto elitario gentiliano della supremazia della cultura umanistica classica. Se non si chiarirà in modo adeguato il rapporto tra cultura umanistica, cultura scientifica e cultura tecnica, difficilmente si sposteranno le leve per ridare ossigeno ad un sistema scolastico che tra tagli e riorganizzazioni mal digerite rischia di deflagrare.

Tra i tanti c’è almeno un altro punto da chiarire e riguarda il ruolo e il peso assegnato al lavoro manuale, dopo decenni di reiterazione dell’idea di inferiorità del lavoro manuale, anche qui riprendendo un leit motiv secolare, con la distinzione tra arti liberali e arti meccaniche. In un recente saggio, R. Sennett ha proposto una riscoperta dell’uomo artigiano, in grado di recuperare un senso del lavoro integrale, per superare da un lato la parcellizzazione dei lavori e dall’altro la dicotomia tra lavoro intellettuale e lavoro manuale. (5) Ma qui siamo su un versante strettamente culturale, in cui i cambiamenti di fondo si svolgono con lentezza e in modi spesso poco visibili e misurabili.

- In quale modo il mondo del lavoro, nel suo complesso, invia i suoi input e le sue richieste al mondo scolastico e universitario? Nei consessi di categoria, si ripetono ormai da decenni le lamentazioni sulla scarsa spendibilità dei giovani diplomati e laureati nelle realtà produttive. E se è vero che difficilmente un giovane fresco di laurea o con la maturità in tasca sia capace di inserirsi immediatamente nelle realtà lavorative, è altrettanto vero che gli investimenti progettuali, formativi e finanziari per avvicinare i due mondi sono davvero pochi e riscuotono lo scarso interesse degli attori che nei convegni si lamentano invariabilmente della scarsa preparazione professionale dei giovani. Non sembra che la pratica dello stage, così generosamente promossa in molte attività economiche porti altri frutti se non l’uso qualche volta spregiudicato di energie e di talenti per coprire i buchi di piante organiche troppo esigue.(6)
Sarebbe interessante conoscere i tassi di impiego finale a tempo indeterminato dei giovani stagisti che, magari a prezzo di grandi sacrifici, hanno partecipato a uno o più stage. Una qualche riflessione andrebbe fatta anche sul tipo di tessuto produttivo del nostro Paese, spesso basato su piccole imprese con un limitato numero di addetti a fronte di un numero limitato di grandi aziende. La ricerca e l’innovazione in ambito privato sembrano un refrain da convegno più che delle realtà consolidate e praticate, naturalmente con le dovute eccezioni. E qui veniamo al dolente tasto del costo della formazione.

- Qual è il costo che si è disposti a sostenere per avere un buon sistema scolastico? Sarebbe oneroso ripercorrere qui le tendenze alla riduzione delle spese pubbliche a causa dei processi di competizione sistemica tra Stati e sistemi economici (globalizzazione). Diamole per chiarite, anche se le discussioni sono ancora aperte. Normalmente, gli argomenti portati per sostenere sistemi scolastici efficienti con una pressione fiscale adeguata ruotano intorno alla utilità di avere un buon complesso di istruzione e di formazione per il beneficio del sistema produttivo. Ha una sua logica pensare che la scuola e l’Università debbano essere efficienti per garantire il ricambio dei processi e dei prodotti in una sfida d’innovazione e di competizione con altri Sistemi-Paese. Ma siamo sicuri che il declino e l’obsolescenza dei sistemi economici derivino solo dal ruolo marginale assegnato nei budget pubblici alla ricerca e ai fondi destinati alla cultura, nonostante giustamente si lamenti la pericolosità di scelte del genere? Ripetiamo la domanda: quale livello di ricchezza si è disposti ad impiegare per avere un sistema scolastico adeguato? La riproduzione dei mezzi di produzione, ci si perdoni il bisticcio di parole, passa certamente per la centralità dell’istruzione e della ricerca, ma non si deve dimenticare che con lo stesso strumento passa la riproduzione della cittadinanza e, in ultima istanza, della qualità della democrazia. 

L’analfabetismo va combattuto non solo perché contiene al suo interno capitale umano scarsamente qualificato e inadatto alle sfide planetarie; andrebbe combattuto anche per sostenere ed incrementare una cittadinanza consapevole , informata, critica. Senza di essa, c’è solo il gioco dei capitali, strumentali e umani. E nella competizione estrema i primi ad essere stritolati sono i più deboli, economicamente e culturalmente.

Non vedere questo legame profondo tra formazione, lavoro e cittadinanza è imputabile a disinteresse o a una specifica volontà? A meno che non si voglia un popolo di consumatori e di spettatori, invece che di cittadini. 



NOTE
5) Sennett R., L’uomo artigiano, Feltrinelli, Milano, 2008. Così Sennett: “le capacità dell’artigiano di scavare in profondità si situano al polo opposto di una società moderna che preferisce la superficialità, la formazione veloce ed il sapere superficiale.”
6) Ecco un saggio proposto da un’autrice che prima di scrivere questo libro ha fatto ben cinque stage: Voltolina Eleonora, La repubblica degli stagisti. Come non farsi fregare, Laterza, Roma, 2010.


Tratto da Lavoro e Post mercato n° 111

lunedì 27 febbraio 2012

Analfabetismo tra lavoro e cittadinanza




L'analfabetismo, da un punto di vista strettamente economico, ostacola lo sviluppo e l'integrazione e ha un riflesso diretto o indiretto sul livelli di povertà, sui tassi di occupazione e sulle condizioni generali di vita dei singoli e dei sistemi economici.

C’ è poi, nell’analfabetismo, una dimensione non economica, che possiamo definire di esercizio della cittadinanza.

Essa si connota come accesso consapevole alle informazioni che contano e alle scelte, appunto, di cittadinanza: la comprensione dei problemi, la loro complessità, il senso di appartenenza ad una comunità, il complesso dei diritti e dei doveri, la partecipazione alla vita politica e sociale, ecc. Basta richiamare alla memoria la figura di Don Milani e la sua esperienza educativa di Barbiana per comprendere come l’acquisizione delle parole e della conoscenza fosse per lui l’unica possibilità di comprendere il proprio posto nella società e nel mondo. (1)




Se si pongono in relazione l’esclusione sociale e i livelli di scolarità e di alfabetizzazione, i dati che negli ultimi anni ci presentano gli studi dell’OCSE con i famosi studi PISA risultano abbastanza sconfortanti.

Com’è noto, questi test misurano le conoscenze e le competenze degli studenti quindicenni che appartengono a 34 paesi membri dell'OCSE. (2)

Non abbiamo, al momento, altri test disponibili con questa massa di dati, nonostante i test PISA siano stati criticati in modo serio con l’obiezione che sono progettati con il criterio della risoluzione di problemi. I detrattori, e non sono pochi, imputano a questi test un eccesso di pragmatismo e una scarsa attenzione alla conoscenza di base.




Gli ultimi dati usciti, quelli del dicembre 2010, si sono concentrati sull’area della lettura e ne sono emersi risultati preoccupanti.




Secondo questa ricerca, l’Italia, more solito, è in coda tra i paesi più sviluppati.

Nei test Ocse-Pisa 2010 pubblicati a dicembre, infatti, l'Italia fa registrare il 21 per cento di quindicenni "con scarsi risultati in lettura". Tradotto in modo più chiaro, si tratta di adolescenti "in grado di svolgere soltanto gli esercizi di lettura meno complessi come individuare una singola informazione, identificare il tema principale di un testo, o fare un semplice collegamento con la conoscenza di tutti i giorni". Appena il compito diventa più complesso, cominciano le difficoltà.

Insomma uno su cinque, tra i nostri quindicenni, non è in grado di elaborare o di affrontare livelli complessi di lettura e di riorganizzazione delle informazioni e delle conoscenze. (3)

Viene da chiedersi in quale contesto sono inseriti questi adolescenti che fanno così tanta fatica nel maneggiare informazioni complesse.




In un libro-intervista apparso qualche anno fa, e ripubblicato di recente con un’aggiunta, il linguista Tullio De Mauro ha fornito numerosi dati sul fenomeno dell’analfabetismo nel nostro Paese e sull’evoluzione dei sistemi educativi nel corso dei decenni. (4)

Il livello medio dell’istruzione in Italia, in una comparazione con altre nazioni, risulta insoddisfacente : gli analfabeti completi sono più di due milioni, ma ad essi vanno aggiunti quasi quindici milioni di semianalfabeti. Altri quindici milioni di cittadini rischiano di diventarlo, perché le competenze alfabetiche acquisite fra i banchi, se non più esercitate, regrediscono in una misura pari a cinque anni di scuola.

«A un paleo - analfabetismo, eredità del passato», dice De Mauro, «si è cumulato un neo - analfabetismo fisiologico nei paesi industriali e di alto livello consumistico». In Italia possiede il diploma di scuola superiore il 42 per cento della popolazione adulta di fronte a una media europea del 59 per cento. Solo il 9 per cento degli italiani adulti possiede una laurea, di fronte a una media europea del 21 per cento. (continua)




NOTE




1) Così il prete di Barbiana, per convincere i figli degli operai e dei contadini alla frequenza della sua scuola serale:” Voi – diceva – non sapete leggere la prima pagina del giornale, quella che conta e vi buttate come disperati sulle pagine dello sport. E’ il padrone che vi vuole così perché chi sa leggere e scrivere la prima pagina del giornale è oggi e sarà domani dominatore del mondo".

2) Vedi http://www.pisa.oecd.org/pages/0,2987,en_32252351_32235731_1_1_1_1_1,00.html.

3) Paesi come Danimarca, Olanda e Svezia sono molto vicini all'obiettivo del 15 per cento. Mentre in Francia (19,8 per cento), Germania (18,5), Regno Unito (18,4), Spagna (19,6 per cento) e Portogallo (17,6 per cento) le cose vanno meglio che in Italia, che supera la media europea di un punto e mezzo.

4) Tullio De Mauro, La cultura degli italiani, a cura di Francesco Erbani, Bari, Laterza. 2004.






Tratto da Rivista Lavoro e Post mercato n°110