venerdì 22 agosto 2008

La scienza e l’opinione pubblica. Il ruolo della conoscenza scientifica nella vita quotidiana


Nell'ambito del Festival di Spoleto, giunto quest'anno alla 51° edizione nella sezione di Spoleto Scienza, curata come di consueto dalla Fondazione Sigma Tau, è stato dedicato ampio spazio al tema della percezione, della comprensione e della divulgazione delle scoperte scientifiche e delle più importanti e controverse applicazioni tecnologiche degli ultimi anni. (1)
In quest'occasione si è stilato un primo bilancio dei vent'anni di attività di divulgazione dei temi e delle scoperte scientifiche più importanti nell'ambito della sezione Spoleto Scienza, curata, come detto, dalla Fondazione Sigma Tau. Questa esperienza, che ha visto confrontarsi nel corso degli anni numerosi scienziati, filosofi, giornalisti, storici, è stata e continua ad essere uno dei primi e più importanti luoghi di divulgazione e di riflessione sui più dibattuti temi della scienza. Quest'anno la Sezione Scienza ha proposto due temi: 1) “La scienza al tramonto del secolo breve”, dedicata al rapporto tra scienza e opinione pubblica, con la presenza del maggior esperto di Public Understanding of Science, il Prof. Martin Bauer. 2) Il secondo tema dibattuto ha riguardato il genoma umano e le nuove prospettive della cure individualizzate aperte dalla maggiore conoscenza dei codici genetici. Il titolo di questo secondo workshop è “La scienza all’alba del nuovo ordine”.
Ecco un breve resoconto di alcuni interventi tenutisi al primo incontro.
Il Prof. Mauro Ceruti, dell'Università di Bergamo, che ha coordinato gli interventi, ha provato a tracciare una prima mappa dei più importanti avvenimenti storici e scientifici degli ultimi vent'anni.A pochi mesi dalla caduta del muro di Berlino (1989), termine finale del secolo breve, iniziato nel 1914, come ha proposto di classificarlo lo storico inglese Hosbwahm, possiamo vedere la presenza di connessioni nuove e di fenomeni imprevedibili, come la moltiplicazione degli attori sulla scena politica mondiale dopo il dissolvimento dei blocchi alla caduta del muro. (2)
Sono gli anni di una presa di coscienza collettiva della centralità della questione ecologica, più ampia dei temi strettamente ecologisti, dato che essa comincia ad incrociarsi in modo significativo con i problemi dello sviluppo e della drastica riduzione della biodiversità.
Tema delicato e controverso è anche quello della crisi irreversibile dei sistemi formativi e dell'educazione degli adulti, nel nuovo sistema dei contenuti e dei saperi codificati, con l'esigenza di una ricomposizione delle conoscenze, la cui complessità risulta sempre più difficilmente governabile. Cambia in modo significativo anche la riflessione che la scienza compie su se stessa, con la nascita di nuovi paradigmi epistemologici, nati in ambito post popperiano. La razionalità scientifica si trova a dover comprendere e fare tesoro della storicità e dei contesti sociali in cui opera, al di la della contrapposizione tra assolutismo e relativismo.Almeno altri due processi risultano significativi in questo quadro: la prepotente entrata in scena delle scienze del vivente, che hanno quasi scalzato le scienze fisiche dal posto d'onore nel campo delle scienze naturali e la nascita, carica di enormi conseguenze, imprevista per gli scenari tecnologici del tempo, del personal computer.Cambia radicalmente anche la comprensione sociale della scienza, che diventa un sistema multidimesionale, a rete, con la presenza di molti attori: esperti, scienziati, divulgatori, opinione pubblica, mezzi di comunicazione di massa.

Il prof. Martin Bauer, Reader in Social Psychology and Research Methodology della London School of Economics, uno dei maggiori studiosi del rapporto tra Scienza e opinione pubblica, ha tenuto un importante intervento che ha fatto il punto sugli ultimi decenni di questa controversa relazione.Qual è il ruolo della scienza e la sua posizione nella vita quotidiana di tutti noi? Qual è il suo posto nel senso comune?, si è chiesto Bauer. Negli anni 1960-1980, dice lo studioso, si è fatta una prima diagnosi del problema, a partire dal fatto che la scienza è uscita dai laboratori e ha incominciato a misurarsi con le aspettative e le paure dell'opinione pubblica. In quegli anni si è fatta una prima diagnosi, che avrebbe condizionato ampiamente questa relazione: esiste un deficit di conoscenza ed è necessaria una divulgazione in grado di procedere ad una vera e propria alfabetizzazione sulle scoperte scientifiche principali. Si è quindi proceduto a misurare gli atteggiamenti per verificare se c'è una relazione tra conoscenze e atteggiamenti; se si conosce meglio la scienza si può amarla o perlomeno non temerla.
Questa impostazione si basava sulla incultura del pubblico medio e aveva come base metodologica l'obiettivo di arrivare al “cuore del pubblico”, facendo leva sugli aspetti emotivi e non su quelli razionali.Negli anni successivi, e siamo già ai giorni nostri, si è proceduto alla proposta dei cosiddetti event making, manifestazioni, festival o incontri collettivi in grado di coinvolgere il pubblico su particolari aspetti delle conoscenze scientifiche. (3)
Come trovare sistemi di misurazione adeguati per verificare gli atteggiamenti del pubblico?La più importante indagine sulla percezione della scienza da parte dell'opinione pubblica si è tentata con le inchieste raccolte nel rapporto Eurobarometro 2005. (4)
Si è anche provato a comparare gli atteggiamenti tra due realtà piuttosto differenti, l’India e l’Europa. Nell’India del pieno sviluppo industriale, ad una conoscenza maggiore corrisponde una maggiore accettazione ed un generale tono di positività degli atteggiamenti. In Europa, una realtà già postindustriale, ad una migliore conoscenza delle scoperte scientifiche, corrisponde un panorama più frammentato e con aree critiche, anche se si assiste a delle sensibili differenziazioni relativamente ai temi più delicati.
Nel complesso, le risposte hanno rilevato una percezione abbastanza positiva e ottimistica di cio' che scienza e tecnologia possono effettivamente fare per l'umanita' in termini di ricerca medica, e di miglioramento della qualita' della vita, nonche' opportunita' per le generazioni future. Per quanto riguarda le questioni specifiche, gli europei danno l'impressione di essere aperti a sviluppi ulteriori, considerate le controversie che riguardano alcune delle tematiche in oggetto. Ad esempio, la maggioranza dei cittadini ritiene che la biotecnologia, l'ingegneria genetica e l'agricoltura ad alto impiego di tecnologia eserciteranno un effetto positivo sul nostro stile di vita.Le domande concentrate sul tema della salute umana vedono un'analoga percentuale di intervistati che sarebbe disposta ad accettare la clonazione degli animali o delle cellule staminali di embrioni umani in circostanze eccezionali, ma tracciano una chiara linea morale quando si passa alla clonazione degli esseri umani per scopi riproduttivi.In conclusione, mentre i cittadini europei sembrano fidarsi degli sviluppi scientifici soprattutto in termini di cura, salute, sicurezza, manifestano un deciso scetticismo, se non un rifiuto vero e proprio, sulla questione degli OGM, organismi geneticamente modificati. Su quest’ultimo punto, va anche detto che le campagne di stampa, spesso superficiali e allarmistiche, hanno offuscato qualsiasi seria analisi dell’argomento. Il prof. Bauer, infine, per ovviare ai problemi di relazione tra scienza ed opinione pubblica, propone di costruire un modello di scambio tra scienziati e senso comune basato sui concetti di distanza e di qualità di relazione. Distanza, perché occorre misurare la capacità di comprensione di concetti e metodiche spesso astruse o estremamente tecniche. La qualità, invece, agisce sull’effetto di andata e ritorno della comprensione, in modo che anche gli scienziati abbiano a loro volta una percezione di ciò che il senso comune ha compreso ed elaborato del loro lavoro. In ogni caso, si tratta di processi che devono essere studiati e programmati nel medio-lungo termine.

Il Prof. Paolo Rossi, storico, ha delineato un quadro contrastato del clima culturale e politico negli ultimi decenni intorno all’immagine della scienza presso il grande pubblico e in particolare presso alcuni ambienti intellettuali, particolrmente influenti sull’opinione pubblica e su importanti settori della politica.

E’ seguito poi l’intervento di Alison Abbott, Senior European Correspondent di Nature, che ha offerto un interessante intervento sul giornalismo scientifico e sulle sue capacità divulgative presso il grande pubblico, mostrandone ancora la scarsa diffusione nel pubblico medio.

Altrettanto interessante l’intervento di chiusura del Prof. J. Barrow, astrofisico e grande divulgatore, che ha presentato il suo volume Cosmic Imagery, “ Le immagini della scienza”, cui rinviamo per la gradevolezza nella lettura.Da questa breve presentazione, si vede come i diversi argomenti della comprensione pubblica delle tecnoscienze siano a volte inquadrati, nella percezione pubblica, come intrinsecamente rischiosi, da approcciare e guardare con diffidenza. Anche gli sforzi comunicativi di chi si occupa della divulgazione scientifica, soprattutto in Italia, dove si fatica a comunicare un’immagine della scienza e dei suoi dibattiti interni all’altezza della situazione, devono fare i conti con un ambiente spesso refrattario o indifferente alla serietà della sfida e della posta in gioco.Luglio 2008
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Note
(1) Per le notizie sul “nuovo corso” del Festival di Spoleto, vedi l'intervento sul numero 43 di Lavoro e Post Mercato dedicato alla violenza (E’ possibile un mondo senza violenza? Un workshop sulla violenza e le sue metamorfosi). L'incontro dedicato a “La scienza al tramonto del secolo breve” si è tenuto il 12 luglio 2008, come di consueto al Chiostro di San Nicolò. L'altro simposio, dedicato al Genoma, dal tirolo La Scienza all’alba del nuovo ordine, si è tenuto il giorno dopo. Ritorneremo su questo secondo incontro nei prossimi numeri della rivista.
(2) Eric Hosbawm, Age of Extremes - The Short Twentieth Century 1914-1991, trad. it. Il secolo breve. 1914-1991, Rizzoli, Milano, 2006.
(3) Segnaliamo qui due tra le più importanti manifestazioni che si tengono su questo tema in Italia: Torino e Genova. Vedi http://www.torinoscienza.it e http://festivalscienza.it.
Interessante anche il Festival della Cretività che si tiene a Firenze. Da visitare il sito: http://www.festivaldellacreativita.it.
(4)Cfr.http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/

Sicurezza e allarme sociale: dati a confronto in una ricerca Censis


In questo torrido clima agostano, con gli italiani a casa perché non possono permettersi una vacanza, intontiti dal caldo e abbattuti dal caro vita, ecco almeno una lieta notizia: ci sentiamo tutti più sicuri da quando abbiamo i soldati per strada, intenti a pattugliare con occhio vigile e con cipiglio marziale e pronti ad intervenire ad ogni turbativa dell'ordine pubblico.
A parte la preoccupazione provocata da una svolta securitaria di cui davvero non si sentiva la necessità, e il senso di spot pubblicitario per un provvedimento di dubbia efficacia, davvero, ci chiediamo, non era più opportuno che le risorse investite in questa campagna militare (61 mln di euro) fossero destinate a scopi migliori?
Chiunque si accosta alle ricerche nel campo della percezione delle insicurezze e dei problemi sociali ritenuti più rilevanti dall'opinione pubblica, sa bene, infatti, che la presenza di militari per la strada innesca un peculiare meccanismo percettivo. Il pattugliamento dei soldati insieme ai poliziotti o ai carabinieri, infatti, evidenzia la gravità di una situazione emergenziale, resa palese proprio dall'uso di soldati in assetto di guerra. Si costruisce, in questo modo, un meccanismo che si autoalimenta: se la situazione è così grave da avere necessità di schierare dei soldati per le strade, è abbastanza consequenziale pensare che il loro numero sia inadeguato a garantire un vero presidio del territorio. Ne viene una nuova richiesta di maggior sicurezza e quindi di un maggior numero di soldati....
Questo tipico meccanismo, d'altra parte, non tiene conto dei dati di realtà o della reale efficacia di una decisione di questa fattura. Un dato che sfugge a molti riguarda, tanto per citarne uno, il numero di addetti alle forze dell'ordine in Italia: in rapporto alla popolazione, abbiamo la più elevata percentuale di addetti dei paesi più avanzati. Dobbiamo ritenere che le forze dell'ordine non siano capaci di garantire la sicurezza e per questo si ricorre ai soldati? (1)
Altro dato di realtà che molti dimenticano, o addirittura non rilevano, è che l'uso di militari nell'operazione Vespri Siciliani degli anni '90, impiegava per la gran parte militari di leva.(2) D'altronde le campagne d'informazione degli ultimi mesi hanno sempre posto la questione della sicurezza ai primi posti dell'agenda politica, preparando il campo a decisioni discutibili, come l'uso dell'esercito per compiti di ordine pubblico, l'uso di armi in relazione alla pubblica sicurezza anche ai vigili urbani, ecc. , come se si volessero esorcizzare problemi e questioni di ben altra natura e bisognosi di interventi non meramente repressivi, come la microcriminalità o i problemi legati alla mancata integrazione degli extracomunitari.
Ancora una volta, quindi, le operazioni di agenda setting, quella che nel campo della comunicazione massmediatica si connota come la lista degli argomenti all'ordine del giorno, mettono sullo sfondo questioni problematiche e gravi, come è recentemente accaduto a proposito di una ricerca Censis relativa ai morti sul lavoro.
Anche in questo caso, si preferisce non far caso alle cifre, inseguendo l'emergenza del momento, tipico costume italico.Un dato che il Centro Studi Investimenti Sociali (CENSIS) ha presentato all'opinione pubblica, e che non ha avuto i riscontri dovuti, riguarda il calo del numero di omicidi negli ultimi anni nel nostro paese e il “sorpasso” dei morti sul lavoro rispetto alle morti violente. (3)
Operando anche un raffronto con i principali paesi europei, l'autorevole istituto di ricerca ha messo in luce come il numero di omicidi sia più basso che in altri paesi d'Europa, mentre i morti sul lavoro sono il doppio degli omicidi e i morti sulle strade, in una tragica mattanza che falcia oltre 5000 vite all'anno, sono in relazione di 1 a 8. Sulla base dei dati elaborati dal Censis, gli omicidi sono passati da 1042 casi registrati nel 1995 ai 663 nel 2006 (-36,4%). (4)
Sono numeri imponenti ma sensibilmente più bassi dello spaventoso tributo pagato dai lavoratori in termini di vite umane: nel 2007 sono stati 1.170 i decessi per motivi di lavoro in Italia, di cui 609 in infortuni «stradali», ovvero lungo il tragitto casa-lavoro («in itinere») o in strada durante l’esercizio dell’attività lavorativa. L’Italia è di gran lunga il Paese europeo dove si muore di più sul lavoro. Se si escludono gli infortuni in itinere o comunque avvenuti in strada, non rilevati in modo omogeneo da tutti i Paesi europei, si contano 918 casi in Italia, 678 in Germania, 662 in Spagna, 593 in Francia (in questo caso il confronto è riferito al 2005).I decessi - e il senso di impotenza - aumentano in modo parossistico se si guardano le cifre delle vittime per incidente stradale. Nel 2006 in Italia i decessi sulle strade sono stati 5.669, più che in Paesi anche più popolosi del nostro: Gran Bretagna (3.297), Francia (4.709) e Germania (5.091). (5)
Eppure il peso che si assegna a queste cifre in tema di politiche della sicurezza non tiene conto né dell'utilità, considerandone i costi sociali ed economici, né dell'aspetto etico, con i suoi pesanti tributi in termini di perdita e di lutti, né dell'adeguamento del concetto di sicurezza di fronte al tipo di rischi che si corrono in un paese che aspira al rango di potenza europea.
Come dice Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, presentando questi dati, “gran parte dell’impegno politico degli ultimi mesi è stato assorbito dall’obiettivo di garantire la sicurezza dei cittadini rispetto al rischio di subire crimini violenti. Tuttavia, se si amplia il concetto di incolumità personale, e si considerano i rischi maggiori di perdere la vita, risalta in maniera evidente la sfasatura tra pericoli reali e interventi concreti per fronteggiarli.Il luogo di lavoro e la strada mancano ancora di presidi efficaci per garantire la piena sicurezza dei cittadini, e spesso si pensa che perdere la vita in un incidente stradale sia una fatalità. I dati degli altri Paesi europei dimostrano che non è così».Se proprio si devono impiegare i militari, mandiamoli a vigilare nelle fabbriche e nei cantieri, visto che i numeri degli incidenti mortali sul lavoro sono quelli di una guerra. Quanto agli incidenti stradali, forse non basta neanche un esercito a modificare le abitudini del popolo degli automobilisti e di un sistema di trasporti che si può definire autocentrico.
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Note

(1) In Italia sono oggi impegnati nelle forze dell'ordine un totale di circa 280.000 uomini, di cui 101 mila appartenenti alla Polizia di Stato, 108 mila all'Arma dei carabinieri e 64 mila alla Guardia di finanza, con una media nazionale di un operatore di polizia ogni 450 abitanti. A questi vanno aggiunti i circa 60 mila addetti alla polizia municipale, ai quali può essere affidato, tra l'altro, anche il compito di effettuare vigilanza e controllo del territorio. Con la polizia municipale il numero degli addetti sale a 333 mila unità, con una conseguente ripercussione, com'è ovvio, anche sul rapporto medio. (Dati del Ministero dell'Interno).
(2)L'operazione Vespri Siciliani si è tenuta in Sicilia dal 25 luglio 1992 all'8 luglio 1998, a seguito dell'assassinio dei giudici Falcone e Borsellino e delle loro scorte, avvenuti nel 1992.Com'è noto, l'esercito italiano, da qualche anno, è un esercito sostanzialmente di professionisti. I compiti istituzionali dell'esercito, in una repubblica democratica come l'Italia, stabiliti dall'art. 11 della Costituzione, dovrebbero riguardare la salvaguardia delle frontiere e le missioni di peacekeeping, adeguatamente votate ed autorizzate dal Parlamento.
(3)Vedi http://www.censis.it/.
(4)Sono molti di più negli altri grandi Paesi europei, dove pure si registra una tendenza alla riduzione: 879 casi in Francia (erano 1.336 nel 1995 e 1.051 nel 2000), 727 casi in Germania (erano 1.373 nel 1995 e 960 nel 2000), 901 casi nel Regno Unito (erano 909 nel 1995 e 1.002 nel 2000).(5) Gli altri Paesi europei hanno fatto meglio di noi negli interventi tesi a ridurre i decessi sulle strade. Nel 1995 la Germania era «maglia nera» in Europa, con 9.454 morti in incidenti stradali, ridotti a 7.503 già nel 2000, per poi diminuire ancora ai livelli attuali. Nel 1995 in Francia i morti sulle strade erano 8.892, ridotti a 8.079 nel 2000, per poi decrescere ai livelli attuali. La riduzione in Italia c’è stata (i morti erano 7.020 nel 1995, 6.649 nel 2000, fino agli attuali 5.669), ma non in maniera così rapida, tanto da diventare il Paese europeo in cui è più rischioso spostarsi sulle strade.

lunedì 18 agosto 2008

Sommario - Rivista Lavoro e Postmercato n°44

Lavoro e Post Mercato
Quindicinale telematico a diffusione nazionale a carattere giornalistico e scientifico di attualità, informazione, formazione e studio multidisciplinare nella materia del lavoro
Rivista n. 44 - del 16-08-2008
Sommario
Argomento: Laboratorio sociale
ONLUS avanti tutta lo Stato scopre il Terzo Settore
Non solo criticità dall'avvenuta conversione in Legge del Decreto Legge n. 112/2008, in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale al momento della stampa del presente articolo, è stato, infatti...
Rita Schiarea
continua...
Argomento: Laboratorio sociale
Ossezia: quando gli errori vengono al pettine
In periodo non sospetto, più di cinque mesi fa, la Nostra Rivista, nel numero 33 del 1° marzo 2008, ha preso posizione sul frettoloso riconoscimento come “Stato” conferito al Kosovo da parte di mol...
La Redazione (D.P.)
continua...
Argomento: Laboratorio sociale
Sicurezza e allarme sociale: dati a confronto in una ricerca Censis
In questo torrido clima agostano, con gli italiani a casa perché non possono permettersi una vacanza, intontiti dal caldo e abbattuti dal caro vita, ecco almeno una lieta notizia: ci sentiamo tutti pi...
Antonio M. Adobbato
continua...
Argomento: Info lavoro
Confermata la decontrattualizzazione del pubblico impiego. Si torna agli anni ottanta!
Chi l'avrebbe detto? Che nel 2008 a quasi sedici anni dalla Legge n. 421/1992 introduttiva della contrattualizzazione nel pubblico impiego si sarebbe sostanzialmente reintrodotto il regime previsto...
Diego Piergrossi
continua...
Argomento: Formazione
La scienza e l’opinione pubblica. Il ruolo della conoscenza scientifica nella vita quotidiana
Dal nostro inviatoNell'ambito del Festival di Spoleto, giunto quest'anno alla 51° edizione nella sezione di Spoleto Scienza, curata come di consueto dalla Fondazione Sigma Tau, è stato d...
Antonio M. Adobbato
continua...
Argomento: Disagio lavorativo
Lavoro subordinato: ritenuta di acconto e saltuarietà delle prestazioni non sono criteri escludenti.
La presenza di ritenuta di acconto e la saltuarietà delle prestazioni non costituiscono criteri per una sussunzione automatica del rapporto di lavoro come "autonomo".E' questa la massima...
Alba Caiazzo
continua...
Argomento: Disagio lavorativo
La richiesta di molteplici visite fiscali non costituisce mobbing
Importante pronuncia della Cassazione in tema di mobbing quella del 1 agosto 2008 n. 21028 (1).E' stata, infatti, non riconosciuta fondata come prova della persecuzione supposta ai danni...
Giuseppe Formichella
continua...
Argomento: Evoluzione normativa
La vita buona nella società attiva: il libro verde
Il futuro del Welfare in Italia. Con il libro verde prodotto recentemente dal Ministero del Lavoro, Salute e Politiche sociali si è dato avvio ad un dibattito pubblico sul futuro del sis...
Pierfrancesco Viola

giovedì 14 agosto 2008

Esperienze di Benessere Organizzativo in INAIL: il Consigliere di fiducia contro le molestie sessuali

Il lento processo di trasformazione che ha investito le Pubbliche amministrazioni in merito alla gestione delle risorse umane, è approdato, soprattutto nell’ultimo decennio, all’analisi e agli interventi sui contesti lavorativi. Anche nella PA, applicando metodologie nate in altri contesti lavorativi e progettate per le analisi di organizzazione, si è assistito ad un crescente interesse verso la conoscenza dei nuclei culturali e delle pratiche organizzative interne agli ambienti di lavoro, soprattutto in vista dell’accrescimento delle migliori condizioni per la maggiore efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa.(1)
Il mutamento d’approccio è importante, e va sottolineato, anche in contrapposizione ai detrattori disinformati e superficiali della PA, giacchè si è via via focalizzato anche dentro le varie realtà della Pubblica Amministrazione il concetto di Benessere Organizzativo, inteso come la risultante dinamica di un corretto rapporto tra le persone e l’organizzazione; esso sembra in grado di offrire maggiori strumenti di comprensione in tema di qualità del lavoro e di benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità di lavoro.Da questo punto di vista, una corretta comprensione del clima interno delle organizzazioni risulta necessaria ed ineludibile per investire su relazioni interpersonali che si basino su valori condivisi e anche per conoscere ed agire sull’attività ordinaria.
Nonostante qualche incertezza dovuta ai diversi metodi di approccio, il livello di conoscenza raggiunto da alcune discipline sui processi, sull’innovazione tecnologica e sulle culture organizzative è tale da consentire la progettazione nell’ambito di tutte le organizzazioni - in particolare in quelle pubbliche, per le quali la responsabilità verso l’intera collettività è centrale – di piani di sviluppo organizzativo volti a salvaguardare il benessere collettivo nell’ambiente di lavoro. Tale approccio costituisce oggi una sfida complessa ed un valido elemento di stimolo per operare trasformazioni culturalmente innovative all’interno delle amministrazioni pubbliche.(2)

E’ in questo complesso contesto che si colloca l’esperienza “pilota” da parte di una grande e articolata organizzazione quale è l’INAIL, estesa e radicata su tutto il territorio nazionale.
L’INAIL, con un innovativo progetto (3), ha istituito al proprio interno la figura del Consigliere di fiducia contro le molestie sessuali, la cui competenza è per il momento circoscritta ai soli casi di “molestia” sessuale.
Con il preciso intento di realizzare al proprio interno le migliori condizioni di benessere nell’ambiente di lavoro (4), attivando una concreta politica di parità di trattamento tra uomini e donne nell’ambito del lavoro, l’INAIL ha emanato un proprio “Codice di condotta” (5) interno, prevedendo l’istituzione di un Consigliere di Fiducia con l’obiettivo di promuovere corrette relazioni interpersonali, basate su regole d’uguaglianza e di rispetto reciproco.
Prima di entrare nel merito della collocazione organizzativa e delle specifiche attribuzioni del Consigliere, è opportuno ripercorrere velocemente le tappe progettuali e normative che hanno portato all’istituzione di questa innovativa figura.La prima e decisiva fase d’avvio per la creazione di questa figura è da rintracciare nell’ambito delle politiche comunitarie. Il Codice e il Consigliere di fiducia sono stati ritenuti dagli esperti europei prima, e dai legislatori europei poi, degli strumenti fondamentali per contrastare fenomeni di discriminazione e di violenza nei contesti lavorativi, in grado di far fronte alle minacce più o meno gravi al clima lavorativo. Inoltre è opportuno sottolineare l’utilità rappresentata dalla creazione di questi nuovi “sensori”, in vista di un più attento monitoraggio della gestione dei conflitti e del malessere organizzativo. In particolare il Codice e il Consigliere di fiducia sono stati introdotti e disciplinati:
- dalla Raccomandazione della Commissione Europea ‘92/131 relativa alla tutela della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro;
- dalla Dichiarazione del Consiglio del 18.12.1991 relativa all’applicazione della raccomandazione stessa con la quale si invitano gli stati membri a sviluppare e ad applicare politiche integrate volte a prevenire e a lottare contro molestie sessuali nel mondo del lavoro;
- dalla Risoluzione A3 – 0043/94 del Parlamento Europeo relativa alla “Designazione di un Consigliere nelle imprese o consigliere di fiducia”;
- dalla Risoluzione del Parlamento Europeo A5 – 0283/2001 che affronta il fenomeno del mobbing sul posto di lavoro.
Tali fonti di regolazione non vincolanti sono state integrate da fonti di regolazione vincolanti, come l’intera serie di direttive comunitarie antidiscriminatorie, recepite in ambito nazionale, che hanno lasciato inalterato il quadro normativo relativo al Codice di condotta ed al Consigliere di fiducia, istituendo un nesso significativo tra discriminazione, molestie e mobbing.(6)
In linea generale, ogni codice di condotta nasce come uno strumento normativo ed operativo di garanzia.(7)
E’ un atto auto - normativo con cui un datore di lavoro, in ottemperanza ai disposti normativi, intende affrontare il problema del “benessere organizzativo”, nel tentativo di promuovere un clima favorevole al rispetto della dignità dei lavoratori.
Quanto al Codice di condotta dell’INAIL, esso prevede all’art. 7 la figura del Consigliere di fiducia, una sorta di mediatore interno, un consulente esperto della materia, di cui vengono definite la sfera d’azione e delimitate le competenze, volte in via sostanziale alla prevenzione, gestione e risoluzione di casi di molestie, secondo le possibilità di intervento disciplinate dal codice stesso. Il Codice di condotta specifica, poi, i tempi e le modalità di individuazione ed attribuzione del ruolo al Consigliere di fiducia, che nel caso dell’Inail è una figura interna, individuata tra i dipendenti, attraverso l’espletamento di una procedura disciplinata nell’art. 8, il cui mandato ha durata quadriennale, rinnovabile una sola volta. Le caratteristiche che dovrebbero connotare la figura del Consigliere sono: riservatezza, affidabilità e autonomia di giudizio. L’attività del Consigliere, investito di un ruolo attivo per la concreta attuazione del Codice di condotta, prevede un certo numero di azioni specifiche:
- l’informazione ai colleghi con la presentazione del ruolo;
- la progettazione di azioni di monitoraggio per rilevare e valutare il clima interno;
- la pianificazione di interventi organizzativi e/o individuali per assicurare il concreto raggiungimento del benessere organizzativo auspicato.
La cifra sostanzialmente operativa e propositiva del ruolo del Consigliere di fiducia, si evidenzia anche in relazione alle modalità di intervento previste dal Codice, definite come procedura formale e procedura informale. Proprio la procedura informale è, se vogliamo, lo specifico del ruolo del Consigliere di Fiducia. Con questa procedura, così come è stata disegnata dall’amministrazione all’art. 10, il Consigliere cerca di intervenire – in via preventiva o a crisi avvenuta – su episodi e contesti in cui si verificano situazioni di malessere o di discriminazione. Gli strumenti che il Consigliere può concretamente utilizzare sono in via principale l’ascolto, la mediazione ed eventualmente la proposta di soluzioni organizzative e logistiche idonee al ristabilirsi di un clima lavorativo sereno.La procedura formale, invece, è ampiamente nota e già praticata dalle amministrazioni, visto che essa si estrinseca sostanzialmente in ambito disciplinare e sanzionatorio. Si ricorre a questa procedura, su volontà del dipendente che si ritiene danneggiato, con le consuete modalità previste dai disciplinari, con la denuncia all’Ufficio Di Disciplina e/o alle Autorità Giudiziarie. Essa rimane come ultima risorsa quando non sono più ipotizzabili tentativi di soluzione informale della crisi; il ruolo del Consigliere, in questo frangente, è quello di assistere la persona danneggiata nelle operazioni di denuncia.
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Note
(1) Vedi a questo proposito F. AVALLONE, M. BONARETTI, Il Benessere Organizzativo.Un approccio per migliorare la qualità del lavoro nelle amministrazioni pubbliche, Rubbettino, Cosenza, 2003 e F. AVALLONE, A. PAPLOMATAS, Salute organizzativa. Psicologia del Benessere nei contesti lavorativi, Raffaello Cortina, Milano, 2005
(2) Nella realtà italiana, l’esigenza del benessere organizzativo è uscita dall’ambito strettamente teorico, trovando un primo riconoscimento in una direttiva del Ministero della Funzione Pubblica del 2004. (
http://www.funzionepubblica.it/dipartimento/documentazione/circolari_direttive/documentazione_archivio_2004.htm)
(3) L'impulso fondamentale per questo progetto si deve al CPO, Comitato Pari Opportunità, attivo nell'INAIL già da molti anni. Si è deciso recentemente di attribuire ai consiglieri interni anche la competenza sul mobbing.Su questo punto ritorneremo con un intervento specifico.Sull’istituzione della figura dei Consiglieri di fiducia, vi sono diversi progetti a livello di enti locali e per di più concentrati nell’area nord-est dell’Italia.
(4) Sono queste le parole riportate nel preambolo al “Codice di condotta” adottato dall’Inail.
(5) CdA INAIL. Deliberazione n. 9 dell'11 gennaio 2005.Codice di condotta da adottare nella lotta contro le molestie sessuali.
(6) Si veda la relazione, non pubblicata, dell’Avv. Laura Damiani, dell’Avvocatura Generale INAIL, tenuta in occasione della giornata di studio organizzata dal C.S.M. presso la Corte d’Appello di Roma, nel gennaio 2008, sul tema della Sicurezza sui luoghi di lavoro. I riferimenti giuridici citati sono tratti da questa relazione.
(7) Un interessante lavoro di ricognizione sui codici di condotta emanati da varie amministrazioni è stato compiuto nell’ambito del Corso di Perfezionamento presso l’Università di Verona, tenuto dalla Prof.ssa Laura Calafà.

E’ possibile un mondo senza violenza? Un workshop sulla violenza e le sue metamorfosi


Dal nostro inviato

Si sente forte il bisogno, di questi tempi, di uno sguardo approfondito e ampio intorno ai temi fondamentali della cultura, di approcci meno frettolosi e superficiali di quelli che spesso ci offrono i quotidiani ed i settimanali.Solo l'analisi culturale seria e rigorosa, infatti, con i suoi movimenti lenti e prudenti, è in grado di proporre ipotesi e di offrire argomenti razionali su temi e problematiche che troppo spesso non si riesce a comprendere nella loro vera portata. E' il tipo di offerta culturale che ci si aspetterebbe di trovare nei tanti (troppi) festival culturali che si celebrano in Italia.
E' quindi con vero interesse che abbiamo assistito agli incontri culturali organizzati nell'ambito della Sezione Idee del Festival di Spoleto, edizione 2008. (1)
Il Festival di Spoleto, giunto quest'anno alla sua 51° edizione, in collaborazione con L'Istituto di Scienze Umane di Alta formazione (SUM), ha organizzato un interessante ciclo di incontri-dibattiti aventi per tema la metamorfosi della violenza. (2)
Il tema proposto, che si pone all'incrocio degli interessi di molte discipline e che riverbera i suoi effetti su molteplici fenomeni individuali e sociali, è un caratteristico “nodo” in grado di farci cogliere i punti di contatto tra natura e cultura, tra mito e storia e, inoltre, di offrirci un osservatorio importante per tutti gli intrecci tra i comportamenti individuali e quelli collettivi.Diversi esponenti di varie discipline delle scienze umane, si sono confrontati intorno a questo tema, offrendo spunti e riflessioni preziosi su un tema così affascinante e impervio. Di seguito, riportiamo in sintesi alcuni di questi interventi. Moltissimi sono stati i testi e gli autori citati; per non appesantire il testo, abbiamo preferito ridurre al minimo i riferimenti per riportare l’essenziale di ogni intervento.
Il prof. Aldo Schiavone, docente di diritto romano, direttore del SUM, propone di focalizzare la riflessione delle scienze umane intorno al concetto di violenza per almeno due ordini di ragioni: a) per l'evidenza del fenomeno nel corso di tutto il Novecento e a tutt'oggi; b) per la sua problematizzazione attuale e per il fenomeno che vediamo realizzarsi per la prima volta in questa parte del pianeta dove siamo di fronte ad un lungo intervallo storico, dato che almeno dalla fine del secondo conlitto mondiale ci consente di sperimentare un mondo privo di violenza almeno nelle sue forme più estreme, come per i conflitti bellici. Che in questo piccolo angolo di mondo, l'Europa, possa tornare la guerra sembra quasi folle, realizzando almeno in parte il sogno Kantiano della pace universale.(3)
Eppure, per restare all'età moderna, proprio in Europa, più che altrove, sono nati i grandi catalizzatori della violenza, come la nascita e lo scontro degli Stati-Nazione, la divisione e la violenza di classe, lo scontro e le scissioni delle grandi religioni monoteiste. Solo il lavoro salariato moderno, in condizioni di parità formale tra datore di lavoro e lavoratore, ha affievolito quella produzione di conflitti e di violenza che il lavoro arcaico schiavizzato, produttore di violenza e di coercizione fisica estrema, ha immesso nella storia.Tutti questi produttori di violenza – Stati Nazione, scontro di classe, dissidi religiosi, lavoro, continua Schiavone, stanno affievolendo la loro influenza, tanto da far intravedere che la violenza, elemento consustanziale della condizione umana, sia per la prima volta problematizzata e tenuta a distanza. Si può aprire, almeno concettualmente, lo spiraglio di un'antropologia dell'umano con una minore presenza di violenza o addirittura di un mondo senza violenza. Quale lavoro concettuale e psicologico comporta per i singoli individui e per la società un mondo senza violenza?
Altri pensatori, tra cui il prof. Marramao, docente di Filosofia Politica, non sono così certi che la violenza derivi dall'aggressività originale, tipica degli esseri umani. Secondo Marramao, infatti, la radice delle guerre e della violenza è invece riconducibile a postulati normativi inconciliabili, su idee di futuro e di sviluppo divergenti e differenti, ed è probabile che una totale assenza di violenza sia impossibile o impensabile. E' vero, afferma Marramao, che la crisi degli stati nazione comporta un minor ricorso alle guerre, almeno in Occidente, tuttavia l'ordine internazionale così faticosamente creato rischia di aprire altre forme di conflitto. Che è come dire che noi siamo in un interregno, costituito dal non più del vecchio ordine e il non ancora del nuovo ordine internazionale. Un ulteriore segno di preoccupazione per il riaffacciarsi della violenza riguarda gli attuali conflitti cosiddetti identitari, legati all'appartenenza etnica o religiosa, piuttosto che ai nazionalismi. E' importante, per Marramao, giungere ad una ridefinizione simbolica della violenza, ripensando relazioni e valori, altrimenti si corre il rischio di essere nuovamente schiacciati dai conflitti che si agitano nel mondo. Senza il legame della politica ad un sistema valoriale e ad un'idea condivisa di bene comune, non è possibile uscire dai conflitti identitari. La violenza non è inestirpabile, purché si ritorni ad una grande politica. La sfida rappresentata dai processi di globalizzazione deve essere vista in chiave di emersione dei conflitti di valore, derivati dai conflitti identitari. L'Europa, se non vuole rimanere schiacciata dai colossi asiatici e statunitensi, mettendo a rischio la sua stessa identità, deve provare a ridefinire appunto una Grande politica.
Il prof. Bettini, docente di filologia classica, richiamando le riflessioni proposte dall’antropologo Girard ne La violenza e il sacro, constata il venir meno dei modelli antichi di simbolizzazione della violenza, come nei sacrifici.(4)
Per i greci, sostiene Bettini, il cratos, rappresentava la forza fisica, individuando il violento come un uomo con un eccesso di forza, mentre noi la intendiamo in termini psicologici e simbolici. Con la dichiarazione dei diritti umani del '48, abbiamo tentato nell'età moderna di definire che cos'è umano e ciò che non lo è. Tuttavia, essi si presentano in modo simile a ciò che conosciamo del mondo omerico, dove i diritti degli uomini (mangiare, dormire, riposare, ecc.) erano garantiti dal dio. Un interessante fenomeno moderno per uscire dal ciclo ripetitivo della violenza è quello della riconciliazione, così come si è storicamente mostrata in Sudafrica. Attraverso il meccanismo dell'oblio, più che del perdono, si è visto che se si ricorda ciò che unisce e non ciò che divide, è possibile uscire dal cerchio oscuro della violenza.La prof.ssa Manuela Fraire, psicoanalista, ha invece richiamato all'attenzione i temi proposti dal movimento femminista e dal pensiero della differenza, dove il tema della violenza viene visto anche in termini di genere e di scambio sessuale. Tra l'altro, proprio nel pensiero femminile, si è esplicitamente tematizzata la specificità dell'autorità rispetto al potere e alla violenza, che invece si tende a ritenere inscindibili.
Il prof. Roberto Esposito, filosofo, non ritiene che sia possibile espellere la violenza, dato che essa è il mezzo più semplice per la risoluzione dei conflitti. Per certi versi, essa serve anche ad uscire da uno stato intollerabile di dominio, con una dimensione liberatoria. Il problema della violenza nasce quando da strumento diventa fine, tanto più nell'età contemporanea, allorchè si presenta una nuova forma di politica, la biopolitica, in cui la conservazione e lo sviluppo della vita, diventa obiettivo centrale del potere, elemento di inclusione e di esclusione tra i gruppi e quindi fulcro di efferate violenze. Il nemico si patologizza, diventa un cancro da estirpare. In ogni caso, siamo di fronte a metamorfosi della violenza, dato che come hanno mostrato Darwin e Freud, la violenza è caratteristica della specie umana ed è inscindibile dal suo destino.
Mons. Giovanni Ravasi, teologo e Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, intervenendo nel dibattito, cerca di mostrare come il cristianesimo risponde a questo pessimismo. Condividendo il realismo crudo di chi descrive la violenza come un carattere umano sostanziale, propone vari richiami testuali al fratricidio, presenti nella Bibbia e ne mostra la relazione con la fondazione della città e della società.Solo la conoscenza del bene e del male, prosegue Mons. Ravasi, la libertà di muoversi in queste dimensioni dell'essere, può far vedere il legame del male con la finitezza e la caducità. E se si è caduti nel male si può ricominciare dal bene. E' nell'ottica del perdono che si esce dalla violenza, nel momento in cui Dio, perdonando chi ha fatto il male, contemporaneamente gli rivela il male che ha commesso.Riportando sinteticamente alcuni degli interventi, ritenuti tra i più significativi, si è cercato di dar conto di un dibattito alto e proficuo intorno ad uno dei temi più controversi e affascinanti. Ascoltando queste dotte dissertazioni, non c'è quasi modo di sfuggire all'idea che le forme in cui continuamente si incarna la violenza sono appunto metamorfosi di un evento che tende a ripetersi e a ripresentarsi sempre, contrariamente alla nostra idea che sia possibile esorcizzarla con le nostre conquiste di civiltà.Alla cultura spetta di affrontare gli eventi della storia senza moralismi e senza pregiudizi, con l'unico interesse di verificare in quali termini, e a quali condizioni, sia possibile ipotizzare un progresso veramente degno di questo nome. Luglio 2008.
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NOTE
(1) Usualmente, il Festival di Spoleto, ha sempre puntato sulla proposta di spettacoli, performances e opere innovative in tutti i campi espressivi: prosa, teatro, lirica, mostre, ecc.. Quest’anno, il Festival fondato da Gian Carlo Menotti nel 1947, in occasione di un suo rilancio sulla scena nazionale ed internazionale dopo le ultime deludenti edizioni, ha proposto una sezione dedicata al confronto di idee su argomenti generali, in grado di rappresentare una sfida conoscitiva interessante e di alto livello. Il curatore di questa prima edizione della Sezione Idee del Festival è il prof. Ernesto Galli Della Loggia, storico. Vedi il sito
http://www.festivaldispoleto.com/.
Per conoscere la storia del festival, v.
http://it.wikipedia.org/wiki/Festival_dei_Due_Mondi.
(2) L'Istituto Italiano di Scienze Umane (SUM) è un'istituzione pubblica dedicata all'alta formazione e alla ricerca nei diversi ambiti delle scienze umane e sociali. Ha sede a Firenze e a Napoli ed è strutturato con un sistema a rete, articolato su cinque Scuole di alta formazione insediate presso le Università di Bologna, Firenze, Napoli "Federico II", Napoli "L'Orientale", Napoli "Suor Orsola Benincasa", Roma "La Sapienza", Siena. Vedi
http://www.sumitalia.it/ITA/index.php.
(3) I. Kant, Per la pace perpetua, Feltrinelli, Milano, 2005. Cfr. in particolare la Prefazione di Salvatore Veca.
(4) R. Girard, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano, 2000. Girard in sostanza sostiene che il sacro sia la maschera della violenza originaria e fondatrice alla base delle società umane.

domenica 10 agosto 2008

Sommario Rivista on line Lavoro e Post Mercato n° 43

Quindicinale telematico a diffusione nazionale a carattere giornalistico e scientifico di attualità, informazione, formazione e studio multidisciplinare nella materia del lavoro

Rivista n. 43 - del 01-08-2008
Sommario
Argomento: Laboratorio sociale
Diritti umani e convenienza economica: il caso Cina
Ha ancora senso per il mondo occidentale, per Organizzazioni mondiali come ONU, FAO, CIO, UE parlare di diritti umani, diventarne paladini, proprio nell'anno della ricorrenza della Dichiarazione Unive...
Henri Lazzeri
continua...
Argomento: Laboratorio sociale
Globalizzazione e Postmercato da Rifkin a Tremonti
Quando due personalità di alto valore scientifico, ma di ideologie e visioni assolutamente antitetiche giungono a conclusioni affini in ordine all'attuale crisi mondiale non è mai un caso, ma un segno...
La Redazione (R.S.)
continua...
Argomento: Laboratorio sociale
La moratoria sulla pena di morte non vale per Eluana!
Strano paese l'Italia, si batte perchè l'ONU approvi una moratoria sulla pena di morte, ed il 18 dicembre 2007 l'Assemblea Generale delle Nazioni unite ratifica una mozione proposta proprio dall’I...
Diego Piergrossi
continua...
Argomento: Formazione
E’ possibile un mondo senza violenza? Un workshop sulla violenza e le sue metamorfosi
Dal nostro inviato
Si sente forte il bisogno, di questi tempi, di uno sguardo approfondito e ampio intorno ai temi fondamentali della cultura, di approcci meno frettolosi e superfi...
Antonio M. Adobbato
continua...
Argomento: Disagio lavorativo
Esperienze di Benessere Organizzativo in INAIL: il Consigliere di fiducia contro le molestie sessuali
Il lento processo di trasformazione che ha investito le Pubbliche amministrazioni in merito alla gestione delle risorse umane, è approdato, soprattutto nell’ultimo decennio, all’analisi e agli interve...
Antonio M. Adobbato
continua...
Argomento: Evoluzione normativa
Magistratura onoraria: riordinata nel ruolo e nelle funzioni
Forse non tutti conoscono l'importanza della magistratura onoraria nel pianeta giustizia italiano e della varietà tipologica in cui la stessa si sostanzia, con l’ espressione “magistratura onoraria” s...
Pierfrancesco Viola
continua...
Argomento: Evoluzione normativa
Professione giornalista: pubblicato il nuovo Regolamento
Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 164 del 15 luglio 2008 il Decreto del Presidente della Repubblica del 13 giugno 2008, n. 122 contenente il Regolamento recante modifiche al decreto del President...
Giuseppe Formichella
continua...
Argomento: Evoluzione normativa
Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie
In vigore dal 27 luglio 2008 la Legge 24 luglio 2008, n. 126 che ha convertito in legge con modificazioni il Decreto-Legge 27 maggio 2008, n. 93, recante disposizioni urgenti per salvaguardare il pote...
Rita Schiarea
continua...

La condizione dei minori in Italia – Pubblicato il 4° rapporto del Gruppo CRC

Anche quest’anno, in occasione dell’anniversario della ratifica della CRC(1), sottoscritta dall’Italia nel maggio del 1991, il Gruppo CRC Italia, composto da 73 organizzazioni ed associazioni, ha pubblicato un rapporto sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia.(2)
Un dato impressionante balza prepotentemente all’attenzione di chi si avvicina a questi dati: un minore su quattro, nel nostro Paese, è esposto al rischio povertà. In termini percentuali, “in Italia è esposto a rischio di deprivazione il 24% dei minori.
Tale percentuale – aggiunge il rapporto - sale al 35% se si considerano i minori che vivono in famiglie numerose e raggiunge il 40% nel caso di minori che vivono in famiglie monoparentali.
I minori a rischio non sono tanto figli di genitori disoccupati, ma si trovano spesso in famiglie con entrambi i coniugi lavoratori ma i cui bassi livelli di reddito non riescono ad essere una garanzia di benessere.”
Prima di procedere ad un’analisi più dettagliata dei concetti di povertà e di deprivazione, è opportuno fare una breve precisazione.Anzitutto, dati così allarmanti contribuiscono a gettare una luce fosca sulla sofferenza del sistema famiglia, preso nel suo insieme e nel dettaglio di tutte le sue complesse manifestazioni. L’immagine della famiglia idealtipica, quella che hanno in mente gli ideologi maldestri della famiglia pre-industriale, deve essere scomposta e aggiornata secondo i criteri di un’analisi materiale e simbolica che tenga conto di un panorama sociale completamente mutato.(3)
A considerare una semplice fenomenologia del variegato universo delle situazioni di convivenza e di comunità di affetti, ci sono infatti molte famiglie, tante quante sono le condizioni di vita nella società postindustriale e tante quante sono le forme di relazioni affettive: quelle mononucleari, quelle multigenerazionali, quelle con un unico genitore divorziato, quelle numerose, quelle numerose con monoreddito, quelle degli incapienti, quelle composte da fratelli che condividono la stessa casa, ecc.I problemi di classificazione si specchiano nelle difficoltà d’intervento delle politiche pubbliche e nei dibattiti che si raccolgono intorno al tema, drammaticamente generico, degli aiuti alle famiglie. Fin qui, occorrerà pur dirlo, ha funzionato solo il welfare familiare.
La famiglia multi-generazionale allargata, laddove esiste, quella in cui convivono nonni, figli e nipoti, con i suoi trasferimenti in beni e servizi compensa lo scarso e insufficiente intervento dei governi a supporto dei genitori che vivono in situazioni di vulnerabilità lavorativa o economica.Dunque la famiglia allargata, anch’essa sempre più in difficoltà, risulta davvero determinante nel creare una rete di protezione aggiuntiva per ammortizzare le difficoltà economiche, organizzative e di cura parentale. (4)
Rimangono enormi problemi per chi non si trova in questa condizione.
Anche avere dei figli comincia a risultare un “lusso” e non deve davvero stupire se i tassi di natalità dell’Italia sono tra i più bassi del mondo. Quel che manca è un adeguato livello di protezione sociale strutturata, pubblica, con dei meccanismi istituzionali ed amministrativi in grado di sostenere i livelli di vita delle famiglie e provvedere con politiche redistributive ad un reddito minimo in caso di disoccupazione o di un adeguato sostegno al reddito di coloro che hanno dei figli.(5)

A livello europeo, al fine di comparare i dati tra sistemi economici e sociali tra loro molto differenti, si è ricorso ad una serie di indicatori ricavati dai livelli di reddito presi tra i Paesi aderenti all’OECD. Così, nell’ambito EU, l’indicatore “rischio di povertà” viene definito come :a) l’attestarsi al 60% del livello reddito medio nazionale;b) il reddito è la risultante della somma dei guadagni di tutti i membri della famiglia, compresi i trasferimenti sociali individuali o comunitari e i redditi da capitali; c) il reddito è reso equivalente sulla base della scala OECD per tenere conto dei differenti bisogni tra adulti e minori, la cui ampiezza e composizione riflettono gli standard di vita;d) le percentuali di rischio di povertà nazionali analizzati congiuntamente con la soglia di povertà relativa espressa dai livelli di potere di acquisto del reddito mediano di ogni Paese equivalenti tra le differenti monete.
Secondo il rapporto Istat annuale del 2007, i cui dati certi si riferiscono al 2005, “Il reddito netto delle famiglie residenti in Italia nel 2005 è pari in media a 2.300 euro mensili, inclusi gli effetti dei trasferimenti monetari. […] Tuttavia, prosegue il rapporto, a causa della distribuzione disuguale dei redditi, se si fa riferimento al valore mediano, il 50 per cento delle famiglie ha guadagnato meno di 1.900 euro al mese.“
E’ una cifra che non ha bisogno di troppi commenti, soprattutto se si considera che essa si lega anche alle caratteristiche socio-demografiche dei componenti della famiglia, che il Rapporto 2007 analizza in dettaglio. “La distribuzione del reddito equivalente – precisa il Rapporto - offre un’ulteriore informazione sul livello di disuguaglianza: il venti per cento delle famiglie con i redditi più bassi percepisce circa l’8 per cento del reddito totale; come prevedibile, vi si concentra l’80 per cento delle famiglie in cui non sono presenti percettori di reddito da lavoro o da pensione. Per contro, il venti per cento delle famiglie con i redditi più elevati percepisce una quota pari a circa il 38 per cento e ha un reddito medio equivalente circa cinque volte superiore.” (6)
Mettendo insieme i due indicatori, si può avere una stima abbastanza precisa della reale condizione di vita di moltissime famiglie reali, non quelle che immaginano i pubblicitari o gli ideologi. Parlare della condizione dei minori, dunque, è come illuminare un altro lato delle questioni che riguardano le condizioni delle famiglie e dei livelli della spesa sociale idonei a combattere le disuguaglianze. Si tratta, in sintesi, di riuscire a porre in primo piano le relazioni e le differenze tra povertà, vulnerabilità ed esclusione sociale.
Un così alto livello di disagio minorile, anche al di là della stessa relazione tra il reddito familiare e il benessere dei minori, si riflette su tutte le dimensioni non economiche della vita materiale e dell’inclusione/esclusione sociale e che considerate nel loro insieme danno una misura realistica della qualità della vita.S’intende qui, per citarne solo alcuni, una maggiore esposizione ai rischi sanitari, vivere in condizioni abitative precarie e inadeguate, essere maggiormente esposti al rischio di abusi, avere maggiori probabilità di abbandono scolastico, correre il rischio elevato di scarso sviluppo delle proprie potenzialità e avere forti probabilità di carriere lavorative a basso salario, ovvero di arrivare nell’età adulta a infoltire le file dei working poor. (7)________________________________
Note

(1) Acronimo di “Convention on the Rights of the Child” la cui traduzione ufficiale in italiano è «Convenzione sui diritti del fanciullo»; in Italia si preferisce utilizzare la denominazione di uso corrente «Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza». Il Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Gruppo CRC) è un network di associazioni italiane che opera al fine di garantire un sistema di monitoraggio indipendente sull’attuazione della CRC e delle Osservazioni finali del Comitato ONU in Italia. Questo network è coordinato in questa ricerca dall’associazione Save The Children.
(2) 4° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’adolescenza in Italia. 2007-2008. E’ visibile al seguente indirizzo: http://www.savethechildren.it/2003/download/Pubblicazioni/imp_Rapporto_CRC.pdf
Nel 2007 la Commissione Europea e gli Stati membri hanno eletto la povertà minorile come una tematica prioritaria del Metodo Aperto di Coordinamento sulla protezione e inclusione sociale. Tale metodo ha l’obiettivo di istituire modalità di confronto e di scambio di esperienze in tema di esclusione sociale per creare e definire un set di indicatori concordati su scala europea. Vedi http://europa.eu/scadplus/glossary/open_method_coordination_it.htm
(3) Vedi C.SARACENO, M.NALDINI, Sociologia della Famiglia, Il Mulino, Bologna, 2007, 2° ed. Sulla difficoltà di definire l’oggetto famiglia, si noti la definizione operativa che ne propone l’ISTAT: “Famiglia: insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune. La famiglia può essere costituita anche da una sola persona.” (Tratto da http://www.istat.it/dati/catalogo/italiaincifre2008.pdf)
(4)Ancora dal 4° rapporto CRC: “ La vera preoccupazione è che i mutati orizzonti del mercato del lavoro […] stiano già indebolendo questa rete di protezione informale e che nel contempo non ci sia la costruzione di un adeguato sistema pubblico di protezione.”
(5) Secondo questo rapporto, infatti, “esiste una correlazione forte tra il rischio di povertà minorile e l’investimento percentuale in spesa sociale. Facendo riferimento al Prodotto Interno Lordo, escludendo le pensioni, la media europea di investimento sociale si attesta intorno al 14% ed ad essa corrisponde un 19% di rischio di povertà minorile; nel nostro Paese dove si investe meno del 10% il rischio di povertà minorile balza al 24%. L’Italia rientra dunque nel gruppo dei Paesi europei in cui si rileva una bassa efficienza di spesa sociale (non dedicata alle pensioni) e alti tassi di povertà minorile.”(6)
Vedi http://www.istat.it/dati/catalogo/20080528_00/
(7) Cfr. SEN, AMARTYA K., La Disuguaglianza. Un riesame critico, Il Mulino, Bologna, 2000. A proposito dell’abbandono scolastico, il 12 giugno, durante le celebrazioni per la giornata mondiale contro il lavoro minorile, dedicata quest’anno proprio al tema dell’istruzione, sono state diffuse delle cifre impressionanti sul lavoro minorile: nel mondo ci sono 218 milioni di minori tra i 5 e i 17 anni costretti a lavorare. Così il Direttore Generale dell’ILO, Juan Somavia: “ “We must work for every child’s right to education so no child has to work for survival. The goal is quality education for children and decent work for adults”.Vedi http://www.ilo.org

sabato 2 agosto 2008

SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE E SVILUPPO DELL’E-GOVERNMENT (Seconda parte)

L’e-government: le amministrazioni on line

Nell’ambito delle politiche generali dei singoli paesi coinvolti nell’azione, la questione dell’e-government, nel passaggio dalla prima alla seconda azione, subisce una significativa accelerazione e viene sottoposta ad una sostanziale revisione soprattutto nelle modalità organizzative.
Se in eEurope 2002 si assegna all’e-government il compito di aumentare la visibilità istituzionale e di sviluppare i processi di erogazione delle informazioni da parte delle istituzioni pubbliche , con eEurope 2005 si introducono la ristrutturazione del back office per la migliore erogazione dei servizi e la creazione di un accesso unico, ma in multipiattaforma, alle amministrazioni pubbliche.
Se operiamo una semplice comparazione dei due documenti troveremo nel dettaglio questo spostamento di accenti e di rimodulazione operativa:

eEurope 2002 :
Rendere accessibili on-line i dati pubblici essenziali,comprese le informazioni di tipo giuridico,amministrativo,culturale, sull'ambiente e sul traffico. Gli Stati membri devono garantire un accesso elettronico generalizzato ai servizi pubblici di base.
eEurope2005:
Servizi pubblici interattivi. Entro la fine del 2004, gli Stati membri devono provvedere affinché i servizi pubblici di base siano, se necessario, interattivi, accessibili a tutti e sfruttino le potenzialità della banda larga e dell’accesso multi-piattaforma. Sarà necessario a tal fine procedere alla ristrutturazione dei servizi di back-office, ristrutturazione sulla quale verteranno le attività in materia di buona prassi. Dovranno altresì essere risolte le questioni relative all'accesso da parte delle persone con esigenze particolari quali i disabili e gli anziani.La Commissione e gli Stati membri definiranno un elenco di servizi per i quali è auspicabile una totale interattività. (10)

Con il Piano eEurope 2002 si era previsto di mettere in rete i servizi fondamentali entro la fine del 2002; si prevedeva di operare per un accesso più rapido, sicuro ed economico alla rete. Solo con il piano eEurope 2005, si è operativamente definita la necessità di consentire l’accesso ai servizi on line anche da parte di coloro che rischiano di scontare una nuova forma di esclusione, in cui il digital divide si declina in termini di mancata alfabetizzazione digitale o di disabilità sensoriali e cognitive. (11)
Entro l’anno terminale, stabilito nel 2005, gli Stati membri dovranno organizzarsi per offrire servizi pubblici on line (e-governement, e-learning, e-health, e-business). Non dovrà essere dimenticato l’aspetto infrastrutturale per consentire un effettivo sviluppo dell’amministrazione on line: la velocità e la sicurezza di accesso sono da considerare elementi fondamentali e vanno quindi sviluppati con la diffusione della banda larga a prezzi accessibili e con un‘adeguata protezione delle interazioni (privacy) e delle transazioni economiche.
L’ ultimo passaggio di questo complesso e ambizioso progetto europeo, alle prese con i primi segni della crisi, si colloca nell’anno 2005, allorchè si compie un primo bilancio dell’attività e si tracciano le linee di sviluppo per gli anni che rimangono alla scadenza del decennio.
Nel giugno del 2005, infatti, la Commissione delle Comunità Europee presenta il nuovo piano “i2010 – Una società europea dell’informazione per la crescita e l’occupazione”. (12)
La parola chiave è “rilanciare”. Ribadendo la centralità della conoscenza e dell’innovazione come motori dello sviluppo (senza tuttavia provare a precisare a quali condizioni e con quali strumenti), vi si annuncia il legame sostanziale tra la convergenza digitale ormai compiuta e l’adeguamento e la convergenza delle politiche. Che è come ammettere la sostanziale ancillarità della politica rispetto agli sviluppi tecnologici e organizzativi e il cui compito residuale è, al fondo, quello di regolatore o di facilitatore, con investimenti mirati e con adeguati interventiu legislativi.Per la prima volta si prende atto dei segnali di crisi della costruzione europea e del crescente disagio espresso da ampi settori delle opinioni pubbliche europee, cercando di correre ai ripari. Lo si fa nel solito modo delle tecnocrazie europee (sciolte dagli affanni dei rinnovi dei parlamenti per mezzo della legittimazione popolare), con ampie indagini e progetti con orizzonti pluriennali.Il nuovo piano strategico prevede il ripensamento di tre priorità, in modo da elaborare un approccio integrato alle politiche di sviluppo.
La prima priorità dovrebbe riguardare la costruzione di uno spazio unico europeo dell’informazione, in grado di offrire un mercato ampio e competitivo alla Information Society e ai media;la seconda priorità riguarderebbe un nuovo impulso agli investimenti nella ricerca sulle ICT;la terza, che ci riguarda più da vicino, dovrebbe avere come obiettivo la costruzione di una società europea dell’informazione basata sull’inclusione sociale, dando risalto al miglioramento dei servizi pubblici, allo sviluppo sostenibile e alla qualità della vita.Sulla base di questo ultimo ambizioso – quanto generico – obiettivo, emerge la centralità del digital divide tra le varie regioni dell’Europa, tale da imporre un piano articolato e variegato per consentire la piena partecipazione dei cittadini e per un rafforzamento della coesione sociale.
Quanto ai servizi pubblici, la Commissione si manifesta sensibile a tutti quei servizi basati sulle ITC con forti caratteristiche di trasparenza, di accessibilità e di efficacia, soprattutto in relazione ai costi.Come si vede, niente di nuovo sotto il profilo concettuale, se non la consapevolezza delle resistenze, dei ritardi e delle vischiosità del sistema, inaugurando una fase meno autoreferenziale e più pronta al dialogo con tutti i soggetti coinvolti.(continua)

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NOTE
(10) L’interattività dei servizi determina il grado di relazione che si riesce ad instaurare tra cittadino e amministrazione in termini di erogazione del servizio. Si tratta di una delle questioni chiave nelle metodologie d’analisi per valutare il grado di innovazione dei servizi on line. Una definizione chiara la troviamo in Web-based Survey on Electronic Public services, ricerca curata da Cap Gemini Ernst &Young per conto dell’UE e pubblicata nell’ottobre del 2002; Si tratta di uno studio comparativo sui servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche dai 15 Stati membri dell’Unione più Islanda, Norvegia e Svizzera. “Stage 1-Information: The information necessary to start the procedure to obtain this public service is available on-line. Stage 2- One-way Interaction: The publicly accessible website offers the possibility to obtain in a non-electronic way (by downloading forms) the paperform to start the procedure to obtain this service. An electronic form to order a non-electronic form is also considered as stage 2. Stage 3- Two-way Interaction: The publicly accessible website offers the possibility of an electronic intake with an official electronic form to start the procedure to obtain this service. This implies that there must be a form of authentication of the person (physical or juridical) requesting the services in order to reach stage 3. Stage 4- Full electronic case handling: The publicly accessible website offers the possibility to completely treat the public service via the website including decision and delivery. No other formal procedure is necessary for the applicant via "paperwork"”. Ivi, p.7.. Di seguito vediamo invece i livelli stabiliti da eEurope (v. http://europa.eu.int/information_society/eeurope/2002/action_plan/ pdf/egovindicators.pdf) :Ø Stage 1 Information: online info about public services,Ø Stage 2 Interaction: downloading of forms,Ø Stage 3 Two-way interaction: processing of forms, incl. authentication,Ø Stage 4 Transaction: case handling; decision and delivery (payment).
(11) Cfr. su questo punto P. TARALLO (a cura di), Digital Divide, Franco Angeli, Milano, 2003; in particolare il saggio di A. BUONGIOVANNI, Il digital divide in Italia e il saggio di F. MARZANO, E-government,. Vedi anche Linee Guida per l'organizzazione, l'usabilità e l'accessibilità dei siti web delle Pubbliche Amministrazioni, Circolare n°3 del 13 marzo 2001, Dipartimento della Funzione Pubblica.
(12)Vedi http://ec.europa.eu/information_society /eeurope/i2010key_documents /index_en.htm#i2010_Communication

Free TIBET







Per quanto la notizia dei morti in Tibet si aggiunga alle centinaia di morti in altre parti calde del mondo (Iraq, Afhghanistan, ecc.), la drammaticità della situazione tibetana, dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, che le politiche di potenza seguono sempre gli stessi sentieri: occupazione, repressione, cancellazione di ogni traccia della cultura e di ogni minimo dissenso.
Come è sempre accaduto nella storia, anche in questo caso, la RealPolitik sconsiglia o impedisce agli stati democratici di prendere una netta posizione contro la superpotenza cinese: qualche vago appello al dialogo, qualche pressione diplomatica, una velata minaccia di non partecipare alla cerimonia di apertura alle olimpiadi e niente più. Ancora una volta, l'Europa produce solo la propria afasia...



La repressione dei tibetani da parte del regime cinese, peraltro, non è una novità di questi giorni.




C'è un documento del Tribunale Permanente dei popoli del l 20 novembre 1992, in cui il Tribunale emetteva una sentenza di condanna della Repubblica Popolare Cinese e dove veniva dimostrato che le autorità cinesi perseguono da sempre una politica di repressione, perpetrando gravi violazioni dei diritti fondamentali del popolo tibetano, come la privazione dell’esercizio della libertà di religione e di espressione, la pratica degli arresti arbitrari e delle condanne senza processo, la pratica della tortura, la rottura dell’omogeneità etnica e culturale del Paese attraverso trasferimenti coatti.La sentenza è consultabile per intero alla pagina web:http://www.internazionaleleliobasso.it/dtml/tribunale_permanente/sentenze/18_tibetit.pdf


Poichè non ci sarà nessuna reazione degna di nota a questo genocidio, nè proteste di piazza nè boicottaggi delle Olimpiadi, propongo di fare qualcosa che può essere connotato come semplice testimonianza e senso di indignazione: non guardare nemmeno un minuto delle Olimpiadi di Pechino che si terranno tra qualche mese e boicottare le aziende che sponsorizzano l'evento.



Per quel poco che servire, si può anche inviare una mail al governo italiano e al CONI per chiedere il ritiro della delegazione italiana alle Olimpiadi.