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sabato 3 aprile 2010

Un esercito di volontari. Riflessioni sulla cultura del dono: le motivazioni


Nella prima parte di questo intervento abbiamo visto le cifre che riguardano la percezione del fenomeno del volontariato presso l'opinione pubblica italiana in comparazione con altre istituzioni sociali ed è emerso con chiarezza il dato di una grande fiducia assegnata alle organizzazioni di volontariato. Da alcuni questo fenomeno è stato interpretato come una sorta di riflusso verso il generico altruismo, soprattutto da parte di coloro che in tempi passati preferivano impegnarsi in attività politiche o sindacali, come a sottolineare una perdita dell'orizzonte civile e un riflusso, appunto, verso il puro servizio alla persona sofferente o bisognosa.
E' una sensazione che avrebbe bisogno di un'indagine a sé, considerando che spesso coloro che sono attenti al sociale e alla collettività spesso si impegnano su più fronti, affiancando all'attività politica o sindacale anche l'attività di volontariato.
Ma fin qui ci siamo occupati della percezione che si ha di questo fenomeno, fornendo qualche cifra di riferimento anche per la dimensione imponente che assume in ambito sociale.
Tuttavia, questa impressionante propensione al dono non ha trovato, finora, una giustificazione univoca e raramente ci si è chiesti il perché di questa scelta che coinvolge una così gran numero di persone. Per tacere della disinvoltura, per non dire peggio, con cui si usa il termine di volontario. Con la stessa parola si designano coloro che offrono gratuitamente qualcosa di sé, le ronde di “volontari”che controllano il territorio …. , persino i soldati impegnati in missioni all'estero sono definiti come volontari!

Vi sono molte teorie, e una notevole gamma di posizioni, intorno alle motivazioni a favore del dono di sé; sono vari, infatti, i motivi che spingerebbero gli individui e/o i gruppi organizzati a offrire gratuitamente una parte dei propri beni, materiali o immateriali, per scopi non strettamente economici, basati cioè sullo scambio di equivalenti.
Il comportamento che è possibile catalogare come donazione di sè è spiegabile in base a tre principali categorie di motivazioni: motivazioni intrinseche, incentivi estrinseci e reputazione. Le separiamo per comprenderle meglio, ma può darsi che i comportamenti pro sociali siano la risultante di una qualche forma di combinazione tra questi.
Nelle motivazioni intrinseche l'atto del donare si spiega con le motivazioni che si trovano in interiore homine, all'interno di un complesso sistema di norme morali, a diverso livello di coscienza. Quando si compie un'azione di solidarietà, la persona che la compie, in questo sistema, non riceve nessuna forma di ricompensa materiale.
Nata in ambito filosofico e poi fatta propria dalla psicologia sociale, questa teoria è stata applicata anche nella scienza economica. Già da qualche anno, ha avuto un certo successo la teoria proposta da un economista, Andreoni, Per tentare di spiegare le motivazioni intrinseche sottostanti la scelta di donare.(1)
Questi ha suggerito che gli individui quando donano non esprimono solo preferenze per la causa o bene collettivo a cui la donazione è rivolta, ma più direttamente acquisiscono una soddisfazione morale che è paragonabile ad un bene consumato privatamente. Questo effetto, chiamato di warm glow (guanto caldo) indurrebbe le persone a donare anche in contesti dove il risultato della donazione non è chiaramente tracciabile o facilmente calcolabile, dato che risulterebbe sufficiente l'atto della donazione in sé.
Insomma l'autogratificazione (warm glow) disinteressata, continua a funzionare nonostante l'apparente vittoria del modello dell'homo oeconomicus, sfidando l'utilitarismo, l' individualismo metodologico e la logica dello scambio tra equivalenti, come dicono gli economisti di stretta osservanza.
Una spiegazione abbastanza convincente fa riferimento ad una sorta di kantismo mitigato. Ciò che spiegherebbe i comportamenti solidali potrebbe essere il principio di reciprocità. Pur non essendo una obbligazione morale assoluta come quella celebre del non usare gli esseri umani come mezzi, una persona che ha un riferimento morale sente un'inclinazione all'obbligo della solidarietà quando si attende che anche gli altri membri del gruppo si conmporteranno allo stesso modo. In questo caso, la reciprocità non è da intendersi diretta tra due persone dove il dono svolge un ruolo relazionale di scambio, ma deve essere intesa come un principio generale che spinge ad azioni utili alla collettività e che solo indirettamente genereranno benefici a chi le compie.
In definitiva, la motivazione intrinseca sembra privilegiare la spiegazione del comportamento solidale come la risultante di norme interiorizzate e con un interesse indiretto e non dal bisogno o dal desiderio di raggiungere un obiettivo specifico.
Quanto alle motivazioni che possiamo definire estrinseche, un certo seguito ha trovato l'idea che in fondo le azioni di solidarietà o le donazioni di denaro per scopi di utilità sociale trovino la loro spiegazione definitiva nella presenza di incentivi economici o ricompense di carattere materiale. Vi rientrano, ad esempio, i casi delle deduzioni fiscali per le donazioni in denaro. Tutto sarebbe il frutto di un semplice calcolo economico, per cui l'ammontare delle donazioni sarebbe la risultante delle agevolazioni monetarie che se ne riceverebbero in cambio. E' un'idea che ha attratto i policy makers, coloro che prendono decisioni politiche e che disegnano i sistemi fiscali per tutte le politiche di sostegno fiscale delle donazioni in molti paesi.
Tuttavia, anche in questo caso, l'automatismo di una relazione diretta tra aumento delle agevolazioni fiscali e aumento delle donazioni, non funziona come dovrebbe, a riprova che le motivazioni estrinseche non spiegano tutto.
E' stato infatti dimostrato che un sistema di compensazione monetaria possa non solo non essere legato alle motivazioni che stanno alla base delle donazioni ma che addirittura possa danneggiare il senso civico e di solidarietà. Secondo un celebre studio, infatti, nel caso delle donazioni di sangue, si è visto che negli Stati Uniti il sistema basato sull'acquisto del sangue donato allontanava i donatori che invece erano intenzionati a procedere alle donazioni mossi esclusivamente da motivazioni altruistiche. Invece, in altri paesi europei, in cui si è scelta la strada diversa delle donazioni gratuite, si è assistito ad una maggiore offerta di sangue donato e di qualità migliore di quello acquisito a pagamento.(2)
Questo paradossale effetto di straniamento motivazionale si verifica anche in altri contesti, dove è forte il radicamento del senso civico delle persone, come nel caso dei luoghi di lavoro, dove è più facile osservare che la mera incentivazione economica non raggiunge effetti positivi in merito all'integrazione ed al senso di appartenenza, visto che l'attività lavorativa è fatta anche di relazioni e di investimenti affettivi ed emotivi.
Un terzo movente generale sulle azioni di solidarietà può essere ricondotto alla ricerca di visibilità e al riconoscimento sociale, vale a dire della reputazione.
I comportamenti pro sociali, essendo in genere accompagnati da un'aurea di positività, riverberano su chi li fa un'immagine e una considerazione sociale positivi, facendo accrescere in modo consistente la buona reputazione di chi li compie.
E' un sistema razionale, basato sulla segnalazione dello status di donatore o di volontario, dal quale si ottiene un riscontro positivo e un riconoscimento sociale.
Da qui discende la considerazione che le donazioni anonime siano le più lodevoli, perché esse non andrebbero alla ricerca di visibilità e non andrebbero ad incidere sulla reputazione del donante.
C'è da chiedersi, a questo punto, quale sia il significato intrinseco dell'azione gratuita, a quale bisogno corrisponde, quale funzione essa svolge nel campo delle relazioni sociali.

NOTE

1) Vedi J. Andreoni e l'articolo sul warm glow a http://www.altruists.org/f469.
2)R.M. Titmuss, The Gift Relationship from Human Blood to Social Policy (1970, ripubblicato nel 1997 da The New Press a c


Tratto da Rivista Lavoro e Post Mercato n° 80

domenica 21 febbraio 2010

L'esercito dei volontari. Riflessioni sulla cultura del dono


C'è un “esercito” silenzioso di volontari che si impegna in modo discreto tutti i giorni e da il proprio prezioso contributo a coloro che esprimono necessità di una qualche forma di aiuto, rifuggendo dal solito rumore mediatico, attratto più dalle cattive notizie che da quelle buone.

Secondo l'EURISPES, che ha condotto una ricerca sulla cultura del dono in Italia nel consueto Rapporto Italia che presenta ogni anno, sono un milione e centomila i volontari in servizio permanente effettivo, con impegni formali e turni da rispettare in gruppi strutturati.(http://www.eurispes.it/index.php)
Davvero rilevante è il numero di coloro che si impegnano più saltuariamente: sono altri quattro milioni quelli che almeno una volta all'anno offrono qualche ora del proprio tempo per fare azioni di solidarietà non considerabili e non misurabili economicamente: donazioni di sangue, assistenza agli anziani, ecc.
Per questo abbiamo parlato di esercito, anche se la semantica guerresca non è la più appropriata per definire un impressionante numero di persone (circa 1 su dieci, secondo le rilevazioni dell'Eurispes) che offre gratuitamente qualcosa di sé (tempo, denaro, attenzioni, cure, solidarietà) per donarlo agli altri.
Spesso si tratta di una moltitudine di persone che, in modo più o meno organizzato, arriva a sostenere ciò che un sistema di welfare, anche il più sofisticato, non riesce ad intercettare o a conoscere.
Benchè questo fenomeno non goda di buona stampa, nel senso che le bad news sono meglio delle good news, presso l'opinione pubblica la reputazione dei volontari ha una valutazione elevatissima.

Il volontariato, in tutte le sue molteplici forme, è una componente strutturale e apprezzata del panorama sociale italiano. Ed è l'unica, secondo l'Eurispes, a mantenere alto il proprio livello di apprezzamento e di fiducia.

Ben il 71,3% degli italiani, infatti, ha detto di credere nell'associazionismo, ben più che nelle Forze dell'ordine (69,6%), Carabinieri (63,3%), Polizia (62,7%) e del Presidente della Repubblica (62,1%). Notevole il divario rispetto ad istituzioni come scuola (47,2%), magistratura (44,4%), istituzioni religiose (38,8%), ed ancor maggiore quello rispetto alle istituzioni politiche.
Tra le regioni più impegnate ci sono l'Emilia Romagna (14,4% del totale nazionale) e la Toscana (l'11,5%). Quelle con la percentuale più alta di cittadini che dedicano tempo al volontariato sono l'Alto Adige (19,1%), il Veneto (13,8%) e l'Emilia Romagna (12,3%). Il Sud, invece, resta il fanalino di coda, con la Sicilia (4,8%), la Campania (5,2%), la Calabria (5,4%) e, a sorpresa, il Lazio (5,5%)
Per quanto riguarda il capitolo delle donazioni, i valori si attestano intorno al 20% per ogni fascia di età, escluse quelle che, per ovvi motivi di età, non hanno grandi disponibilità economiche, cioé gli under 18 e gli ultra 75enni. In testa rimangono i 55-59enni tra gli uomini (24,3%) e delle 45-54enni tra le donne (21.9%).
La fonte di finanziamento principale per le onlus rimane l'attività istituzionale (61%), le donazioni contano solo per il 3% e le risorse pubbliche per il 36%. Un dato molto basso rispetto alla media europea, dove l'intervento del pubblico risulta l'entrata più rilevante: in Francia tocca il 58%, in Germania il 64%. (continua)


Tratto da Rivista Lavoro e Post Mercato n° 79

domenica 10 gennaio 2010

Un nuovo Rapporto sulla condizione dell'infanzia (seconda ed utlima parte)


Tra i tanti temi proposti, un altro tema che sembra dominante in questo rapporto è una presenza importante di ansia e di paura nelle giovani generazioni. Il profilo dei giovani e giovanissimi italiani che viene fuori da questa analisi è quello di una generazione condizioanata dall’ansia e dalla paura.

Entrando nei dati, emerge che per il 22,6% dei bambini italiani la paura più grande è di essere rapiti. Segue un 16,3% che ha paura di essere avvicinato da sconosciuti, mentre il 16,2% teme di essere coinvolto in attentati terroristici.

Rispondendo alle domande relativa ai “pericoli vissuti” si nota come l'enfatizzazione mediatica dell’emergenza sicurezza nelle città abbia influenzato anche i piccoli italiani.
Il 39,2%, infatti, non si è sentito al sicuro andando in giro per la città. Ma anche la propria abitazione (23,8%) e la scuola (10,1%) sono luoghi che non trasmettono sicurezza.
Per quanto riguarda gli adolescenti, la paura più frequente è quella di essere vittima di violenze sessuali (17%), seguita dal timore di essere importunati da sconosciuti (11%) e di essere rapiti (9,7%). Tuttavia, il 51,6% degli adolescenti italiani ha detto di non essersi mai sentito in pericolo.

Un capitolo davvero interessante, tra gli altri, riguarda la proiezione dei ragazzi verso il futuro.
Se c'è un tempo che di necessità appartiene ai giovani, esso è il futuro.
Eppure, dal tenore delle risposte, la speranza nel futuro, di trovare un lavoro o di avere una vita soddisfacente, non emerge come un dato importante. Semmai, sembra presentarsi una diffusa consapevolezza della difficoltà dei tempi e una certa disillusione per un futuro che appare nebuloso, problematico, incerto.
Infatti, il 56,7% dei giovani si dice abbastanza (43,6%) o molto fiducioso (13,1%) di trovare un lavoro sicuro ed economicamente soddisfacente, contro un 42,2% che invece nutre poca o addirittura nessuna speranza.
Il 65,1% degli intervistati, poi, si è detto molto (21,4%) o abbastanza (43,7%) convinto che il futuro riservi la possibilità a ciascuno di trovare il lavoro che più piace mentre il 34% non è così ottimista.

Insomma sembra mancare un deciso ottimismo verso il futuro, come a rimarcare la mancanza di un progetto di progresso e di emancipazione che riguarda non solo i giovani ma tutti quanti.
D'altronde, un orizzonte di questo genere, misurato sul complesso della società italiana, offre un segnale non certo incoraggiante sulla qualità dei progetti sul futuro.
Senza entrare troppo nell'attualità politica e nelle parole d'ordine che si rincorrono sui principali mezzi d'informazione, Rete compresa, la proiezione sul futuro e sui progetti complessivi di società sembra carente o addirittura mancare del tutto. Perché, dunque, dovremmo meravigliarci se la disillusione e l'attenzione al presente sembrano dominanti nella lettura della realtà e nelle scelte di vita delle giovani generazioni?

Tratto da:Rivista Lavoro e Post mercato n° 76

sabato 26 dicembre 2009

Un nuovo Rapporto sulla condizione dell'infanzia e dell'adolescenza


E' stato presentato a Roma il nono Rapporto nazionale sulla condizione dell'infanzia e dell'adolescenza realizzato dall'Eurispes e da Telefono Azzurro.(1)

Sono dunque dieci anni che l'Istituto di ricerca sociale e l'ente che si occupa della protezione dell'infanzia si pongono nella posizione di osservatori qualificati dei fenomeni più rilevanti che interessano il mondo dell'infanzia e dell'adolescenza.

Si tratta di una raccolta di istantanee che cercano di individuare, nel rimescolarsi continuo di temi e di nuclei critici, quelli che sono gli aspetti più significativi di un mondo che spesso è trattato con forme ansiose o con superiore disinteresse.
Stupisce, infatti, che per quanto si tratti di ricerche metodologicamente rigorose, con campioni significativi, i risultati, per quanto parziali ed ipotetici, sembrano interessare poco o punto la pubblica opinione e coloro che sono chiamati a elaborare adeguate politiche sociali. Al più si strappa qualche titoletto di giornale, un richiamo in qualche notiziario e poi tutto scorre verso l'oblio.(2)

La questione risulta ancora più significativa se si pone attenzione al fatto che nonostante le roboanti prese di posizione e gli alti lamenti intorno alla crisi dei valori, l'attenzione verso i bambini e gli adolescenti in carne ed ossa è assai carente. Si preferisce attenersi ai saperi consolidati e, con una certa aria di superiorità, trattare con sufficienza le nuove generazioni. Non sembra, in sostanza, che le istituzioni, la politica, la collettività nel suo complesso vogliano appropriarsi di conoscenze realistiche e di strumenti adeguati d'intervento.
Le politiche formative, quelle del lavoro, le scelte di orientamento del welfare dovrebbero tener conto di queste conoscenze, ma in linea di massima ciò non avviene.

Le 40 schede che compongono il Rapporto approfondiscono macro-tematiche che vanno dall’abuso al disagio,dal bullismo al lavoro minorile, dal consumo di sostanze stupefacenti all'obesità. E ancora i temi dell'affido familiare, il rapporto tra i più giovani e la politica, le tutele dei bambini rom, ecc.

Vediamo alcuni temi generali che emergono da questo interessante rapporto.

Ricerca di identità. Si tratta di uno dei temi tipici, costitutivi delle giovani generazioni e degli adolescenti in particolare. Il contesto in cui vivono i ragazzi e gli adolescenti è quello di una “crisi” di certezze e di difficoltà nel reperire modelli positivi di sviluppo. Le famiglie, la scuola, i gruppi di pari, le realtà associative sono i luoghi in cui ragazzi ed adolescenti cercano la propria identità e in cui, però, gli adulti sembrano incapaci di fornire adeguate risposte.
Lo scarto tecnologico sembra essere uno dei punti di crisi del rapporto tra i cosiddetti “nativi digitali” e il mondo degli adulti o dei genitori.
Le apparecchiature tecnologiche sempre più complesse, la possibilità di vivere la propria esistenza attraverso percorsi e realtà virtuali, l’accesso ad una mole enorme di informazioni, fanno dei bambini e degli adolescenti una sorta di “tecno-formatori” per i propri genitori e per gli adulti in preda ai dubbi, per un gap che è insieme generazionale e tecnologico.
I genitori in primis, e gli adulti nel loro complesso, sono percepiti come non aggiornati, in genere incapaci di fornire risposte certe e plausibili.
Come è spesso accaduto in passato, per avere risposte adeguate ci si rivolge al gruppo dei pari, anche se in forme inedite e ancora non del tutto esplorate, dato che siamo alla presenza di una appropriazione naturale di strumenti relazionali complessi come le chat o i social network.
Ma le caratteristiche della Rete sono, come sappiamo, ambivalenti.. Se da un lato è lo spazio dello scambio, della conoscenza, dell’incontro, dall’altro rischia di essere un luogo di solitudine, di persone che sole stanno davanti al proprio pc o al display del telefonino. (continua)

NOTE
1)Il 20 novembre di ogni anno ricorre la Giornata internazionale dei Diritti dell'infanzia e dell'adolescenza. Si tratta del giorno in cui nel 1989 l'Onu ha ratificato "La Convenzione sui diritti dell'infanzia"). Vedi http://www.eurispes.it/index.php e http://www.eurispes.it/index.php/Rapporto-Nazionale-sulla-Condizione-dell-Infanzia-e-dell-Adolescenza/sintesi-10d-rapporto-nazionale-sulla-condizione-dellinfanzia-e-delladolescenza.html.
2)L'indagine è stata condotta nelle scuole, su un campione di quasi 6.000 bambini e ragazzi di età compresa tra i 7 e i 19 anni.Più nel dettaglio, i dati dell’indagine sono stati elaborati a partire dalle informazioni fornite, per mezzo di questionari, compilati da 2.812 bambini tra i 7 e gli 11 anni, e da 2.991 adolescenti di età compresa tra i 12 e i 19 anni. 41 le scuole interessate, di ogni ordine e grado, dalle elementari alla scuola secondaria di II grado, telefono azzurro