sabato 27 dicembre 2008

Come combattere le paure planetarie (seconda ed ultima parte)


Altro aspetto che il summit ha cercato di analizzare è quello relativo ai processi di globalizzazione in corso, soprattutto a partire dai flussi economici, di immigrazione e multiculturali nei rapporti tra il Nord e il Sud del mondo.

A questo proposito, Bill Emmott, economista inglese, ha osservato che gli eventi che si sono verificati negli ultimi tempi nei mercati internazionali hanno ulteriormente amplificato sui media un sentimento di paura per i processi della globalizzazione. Ciò significa che i processi di globalizzazione sono la causa delle crisi dei mercati finanziari? A parere di Emmott, i fenomeni attuali sono intrinseci al capitalismo e non sono generati dalla globalizzazione; ciò che è cambiata, invece, è la percezione di questi fenomeni, dato che si rimane spesso ancorati a livello locale o nazionale. Da paladino del liberismo, conclude che la globalizzazione produce e diffonde benessere con grande rapidità, ma le turbolenze del capitalismo sono dovute ai suoi meccanismi interni, solo parzialmente correggibili.

A Emmott sembra rispondere Cristine Loh, Cina, capo dell'ufficio esecutivo del Civic Exchange, che auspica lo sviluppo di sistemi di collaborazione per incrementare le possibilità di dialogo tra tutte le nazioni. A questo proposito, sostiene la diplomatica cinese, è indispensabile riprogettare molte delle organizzazioni internazionali coinvolgendo anche i paesi emergenti. Daniel Bell, uno dei primi teorici della globalizzazione, che attualmente insegna in Cina, nel suo intervento al summit, ha argomentato come proprio in Cina si sia scelta una strada completamente diversa rispetto all'Occidente per contrastare l'ansia, dato che si sta operando per il ritorno alla tradizione confuciana vista come rimedio significativo nel processo di “detotalitarizzazione” che sta vivendo il gigante asiatico.

Un altro prestigioso economista, Jacques Attali, francese, avanza il sospetto che si sia passati da un'economia dell'ottimismo e della crescita ad un'economia della paura; questa paura, sostiene Attali, è il portato di una precisa scelta storica, l'adesione ad un modello di crescita centrato sul mercato, fisiologicamente basato sulla libertà, ma anche sulla precarietà e sul rischio. Anche la crisi attuale è inevitabilmente connessa con la paura, dato che le dinamiche psicologiche e i sentimenti sociali influenzano nel profondo le dinamiche economiche.

Ashis Nandy, sociologo e psicologo del Center for the Study of Developing Societies, India, concordando con le analisi di Attali, nota però che anche in questo caso si è verificata un certa autoreferenzialità dell'Occidente e che quando si è parlato dell'era dell'ansia, a partire dalle celebri analisi di E. Fromm, con il suo individualismo e l'avvento di una civiltà urbano-industriale, la parola timore riconduceva alla paura della solitudine, dell'alienazione, dell'anonimato, della perdita della consapevolezza. Coloro i quali parlavano di queste paure non prendevano in considerazione le paure meno rispettabili che si percepivano nelle terre più lontane dall'Occidente, come la fame, la perdita di dignità, dell'identità, l'umiliazione: erano considerati come sottoprodotti, come conseguenze di una fase storica ormai superata.

Per Gary Becker, premio Nobel dell'economia, tra le altre cose quello di cui si ha paura oggi è la disoccupazione dovuta all’utilizzo della manodopera in Cina o in altri Paesi in via di sviluppo e il dilagare della crisi dei mercati finanziari. Per Becker, il fattore centrale su cui puntare è la formazione: l’ignoranza porta alla paura e al disorientamento. Le persone devono credere nel ruolo dell’istruzione e della formazione professionale, per rendersi utili alla società e al superamento delle ansie contemporanee.

Infine, tra i traguardi che il Summit si è posto c'è anche quello di immaginare quale potrebbe essere l'evoluzione futura del concetto della paura, soprattutto in relazione al ruolo che la tecnica e la scienza giocano nell'alimentarla o nel contrastarla.

Due ci sono sembrati gli interventi più interessanti: quello di A. Giddens, teorico della terza via, saggista e politologo e quella di E. Boncinelli, scienziato di grande notorietà.
Il primo, prendendo ad esempio i rischi dovuti al global warming, nota come gli atteggiamenti di reazione al problema siano sostanzialmente di tre tipi: gli scettici verso il rischio, i profeti di sventura e gli scienziati.
Gli scettici dicono che non c'è un rischio per l'umanità e sostengono che non è il caso di preoccuparsi. Poi c'è la visione dei profeti di sventura: più il gas serra resta nell'atmosfera, maggiori saranno i danni. Questo è l'atteggiamento più frequente nell'opinione pubblica. Si tratta di una visione convenzionale, influenzata dal movimento verde. C'è di fatto un terzo gruppo di opinionisti: i radicali. Loro non sono giornalisti, osservatori casuali, ma sono scienziati. Secondo questo gruppo, il fenomeno del surriscaldamento globale è inquietante e procede velocemente. Non seguirà un percorso graduale, una crescita esponenziale, ma sarà improvviso, con conseguenze drammatiche.
Uno dei motivi per cui si ha paura è che molti fraintendono la natura del rischio, come nei comportamenti paradossali seguiti all'attacco alle Twin Towers: la reazione a quegli attacchi è stata di smettere di volare; il risultato è che si è preferita la macchina e quindi ci sono stati molto più incidenti stradali, con vittime che prendendo l'aereo si sarebbero forse salvate. In definitiva, conclude Giddens, la percezione del rischio non è comparabile con il rischio reale.
C'è poi il tema dell'amplificazione delle paure da parte della politica e dei media. I politici le amplificano per il proprio tornaconto.
Come si risponde al rischio in modo proficuo, si chiede Giddens? Introducendo più politica, una migliore politica, oltre gli schemi consueti e a cui siamo abituati. Bisogna abbandonare la solita politica che non ci farà considerare il cambiamento climatico come problema primario. Il cambiamento climatico non rientra in una categoria di destra o di sinistra. Occorre una visione radicale, che sarà la chiave della politica del futuro.
Per Boncinelli, dell'università Vita-Salute di Milano, le promesse mirabolanti del positivismo ottocentesco non sono state mantenute e la scienza non ha garantito a tutti felicità e saggezza. Provoca invece, la scienza, un crescente timore se non addirittura paura ma la paura, dice lo scienziato, è la peggiore ricetta. La scienza è molte cose insieme: primo, non è definitiva ma è affidabile ed è fonte di molte applicazioni pratiche ed utili; chi ieri nasceva miope era handicappato, oggi no. In secondo luogo è – o dovrebbe far parte a pieno titolo del processo culturale – ma in Italia accade raramente. In terzo luogo, è una forma mentis che aiuta lo spirito critico e che aiuta a giudicare ed a essere giudicati. Poi, riferendosi al suo campo specifico di interesse, molto resta ancora da fare e da studiare, dice Boncinelli. Noi conosciamo del nostro patrimonio genetico solo il 3% e il resto deve essere ancora studiato e compreso. C'è ancora molto da conoscere; chi agita la paura è perchè spesso ha solo l'intenzione di esercitare un controllo sociale e di mantenere intatto il suo potere.

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Bibliografia essenziale

Bauman Z., Modus Vivendi. Inferno e utopia nel mondo liquido,Laterza, Bari, 2007

Becker G. S., Il capitale umano, Laterza, Bari, 2008

Bell D.A., China's New Confucianism: Politics and Everyday Life in a Changing Society, Princeton University Press, Priceton, 2008

E. Boncinelli, E. Severino, Dialogo su etica e scienza, Editrice San Raffaele, Milano, 2008

Castel R., La discriminazione negativa. Cittadini o indigeni? Quodlibet, Macerata, 2008

Furedi F., Invitation to Terror, Continuum Press, London, 2007

Furedi F., Politics of Fear, Continuum Press, London, 2005, second edition, Continuum Press, 2006

Giddens A., L' Europa nell'età globale, Laterza, Bari, 2007

Hillman J., Un terribile amore per la guerra, Adelphi, Milano, 2005

Maffesoli M., La trasfigurazione del politico. L'effervescenza dell'immaginario postoderno,Bevivino, Milano, 2008

Nandy A., Time Warps: The Insistent Politics of Silent and Evasive Pasts, Permanent Black, Delhi, 2001;

Natoli S., La mia filosofia. Forme del mondo e saggezza del vivere, ETS, Pisa, 2008

martedì 23 dicembre 2008

Rapporto Caritas sulla povertà e sull'esclusione sociale in Italia


Lo scorso 17 ottobre, come si fa da ormai 16 anni, si è celebrata la Giornata Mondiale della Povertà.
L'origine di questa ricorrenza risale a qualche anno prima, al 1987. In quell'anno, migliaia di persone si riunirono in un locale parigino – la città della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo - per ricordare al mondo le persone che soffrono la fame e che sono in condizioni di povertà.
Qualche anno dopo, nel dicembre del 1992, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, proclamò il 17 ottobre come la la ricorrenza dedicata alla Giornata Mondiale di lotta alla povertà.
E' importante sottolineare che l'organismo promotore sia l'ONU, perché solo con una visione globale, planetaria, si può comprendere il fenomeno della povertà e della sua estensione.

Pensare globalmente ed agire localmente, si è detto spesso in passato; questa ricorrenza, se non vuole rischiare di essere la solita celebrazione un po' retorica, va concepita non solo come la somma delle pur lodevoli azioni tese al contrasto delle situazioni che emergono come le più gravi e problematiche ma come l'occasione preziosa per operare un serio ripensamento della distribuzione delle risorse, anche in relazione alla considerevole diminuzione dei flussi di donazioni che provengono dal settore privato. (1)

In occasione della giornata mondiale della povertà, è stato presentato dalla Caritas italiana e dalla Fondazione Zancan anche il nuovo Rapporto sulla povertà e l'esclusione sociale in Italia.
Si tratta di un appuntamento ormai ricorrente e riguarda uno dei pochi osservatori privilegiati nel nostro paese sulla distribuzione delle risorse di assistenza per le fasce più a rischio della popolazione italiana.
Le cifre sono impressionanti e testimoniano una persistenza del fenomeno della povertà nel nostro paese e il sostanziale fallimento delle politiche di intervento assistenziale. Secondo questo nuovo Rapporto, è da considerarsi povero il 13% della popolazione italiana (7,5 milioni di persone), dovendo sopravvivere con meno della metà del reddito medio italiano, vale a dire con meno di 500-600 euro al mese. Ma ci sono almeno altrettante persone che sopravvivono con poco di più e che superano la soglia di povertà di una cifra compresa tra 10 e 50 euro al mese. Quindici milioni in tutto. E l’Italia, ci dice questo Rapporto, è diventato un paese dove le disuguaglianze si approfondiscono progressivamente e dove la «mobilità sociale» non esiste.
A tal punto che è il cosiddetto working poor ad essere diventato una realtà nel nostro paese; in una grossa ricerca commissionata dalla CGIL, e che ha coinvolto circa 100 mila lavoratori, oltre il 40% degli intervistati è sulla soglia della “povertà relativa” , soglia che l'ISTAT posiziona intorno ad un reddito disponibile di 1200 euro per un nucleo familiare di tre persone.
Le fasce di popolazione a maggior rischio sono oggi le persone non autosufficienti e le famiglie con più figli.
Avere più figli, in Italia, espone ad un maggior rischio di povertà, visto che nel nostro Paese è da considerarsi ufficialmente povero circa il 30% delle famiglie con 3 o più figli. La metà delle famiglie che si trova in questa situazione, peraltro, è concentrata al Sud. Se pensiamo alle scarse opportunità offerte a questi bambini e ragazzi, si vedrà che la situazione rischia di diventare drammatica. (2)

Operando un semplice raffronto con altri Stati europei, si vede che altrove accade esattamente il contrario, dato che la mano pubblica provvede alle famiglie numerose: più figli si hanno, minore è il tasso di povertà.
La situazione degli anziani non autosufficienti è più difficile soprattutto al Nord. Secondo gli ultimi dati disponibili, dal 2005 al 2006 la percentuale di poveri con 65 anni e più sul totale dei residenti (povertà cosiddetta relativa) è passata da un valore di 5,8 a 8,2.

Perché non si riesce a incidere su questi fenomeni, nonostante la conoscenza dei dati e degli studi sull'argomento? Secondo questo rapporto, ciò è dovuto a due cause principali, oltre all'insipienza degli interventi: la scarsità delle risorse e il loro cattivo utilizzo.
Presa nel suo complesso, la spesa per la protezione sociale in Italia è sotto la media Ue sia in termini di incidenza sul PIL ,sia in termini di spesa pro capite.
Nel complesso dei Paesi Europei, prendendo a riferimento l'Europa a 15, l'Italia è il paese europeo in cui i trasferimenti di risorse hanno il minor impatto nel ridurre il fenomeno della povertà, mentre altri paesi sono in grado di abbatterla della metà.
Poiché i trasferimenti monetari costituiscono la voce principale di spesa, il Rapporto suggerisce di percorrere una strada alternativa a quella praticata finora. Invece di affidare ai trasferimenti monetari il compito di intervenire sulle situazioni di bisogno, occorrerebbe invece aumentare le forme di aiuto attraverso i servizi, oltre che a decentrare la spesa sociale.(3)

Un elemento di particolare interesse del Rapporto che stiamo qui presentando sinteticamente, riguarda l'uso di indicatori per il confronto sulle diverse dimensioni della povertà e sulla comparazione operata tra diverse regioni. (4)
L'analisi comparativa ha mostrato con sufficiente precisione la conferma del divario tra Nord e Sud, pur in presenza di una certa eterogeneità all'interno delle diverse aree. In Sicilia, ad es., ha inciso favorevolmente la spesa per assistenza domiciliare, mentre in Sardegna lo sviluppo dei servizi sociali ha posizionato la Regione in alto nella graduatoria.

Nel caso della povertà infantile, troviamo la consueta polarizzazione Nord-Sud, con lo svantaggio maggiore del Sud rispetto a tutti gli indicatori, e in particolare rispetto alla disoccupazione femminile di lunga durata, alla condizione abitativa e alla mortalità infantile. Complessivamente, solo il Lazio ha avuto significativi miglioramenti nell'affrontare le situazioni di maggior disagio.

Le politiche di lotta al rischio di esclusione e le misure anti-povertà non sono un ambito di esclusiva pertinenza del governo centrale e per questo si è provveduto ad un monitoraggio sulla pianificazione sociale decentrata. Le strategie messe in atto dai sistemi amministrativi locali, relativamente a questo aspetto così in sofferenza del nostro welfare, vedono in prospettiva l'integrazione tra sistemi locali e una diminuzione di trasferimenti alla persona.
Tuttavia, ci sono territori in cui resta fuori da questa cornice di programmazione una discreta parte dei finanziamenti finalizzati alla gestione di azioni di welfare ed altri invece in cui il piano riveste una effettiva centralità e capacità di catalizzazione delle dotazioni finalizzate alle politiche sociali.

Le tipologie di servizio che più immediatamente possono riferirsi alla lotta all’esclusione possono identificarsi con i sussidi economici e con gli interventi volti a contrastare le emergenze sociali più acute, entrambi presenti in più di sei piani su dieci. (5)

Dalla varietà delle situazioni e delle strategie di intervento emerge la necessità di rivedere il nostro sistema di Welfare anche relativamente a questo settore, mentre si è sempre privilegiato, e più volte si è intervenuti, sul sistema previdenziale.

Se a questi dati si aggiunge la radicale trasformazione dei bisogni sociali negli ultimi decenni relativamente alla composizione demografica della popolazione, al suo invecchiamento progressivo, alle politiche di riduzione dei deficit pubblici anche con i tagli draconiani agli interventi, si vede quanto sia necessario immaginare un nuovo sistema di protezione sociale per le persone più in difficoltà e quanto sia indispensabile un riorientamento generale nell'acquisizione e nella distribuzione delle risorse.

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NOTE

(1)Qualche tempo fa il New York Times ha riportato la notizia, apparsa sul sito di Givin Usa Foundation, che riportava alcune stime su una drastica contrazione delle donazioni da parte dei privati. V. http://www.givingusa.org/gusa/mission.cfm.
Il 2010, su decisione del Consiglio dell'Unione Europea, sarà l'anno della lotta alla povertà e all'esclusione sociale, con l'obiettivo di riconoscere i diritti e la capacità delle persone escluse di svolgere un ruolo attivo nella società, di ribadire la responsabilità di tutti gli attori sociali nella lotta contro la povertà, di promuovere la coesione sociale e diffondere le buone pratiche in materia di inclusione.
(2)Vedi il nostro intervento sul n° 42 di Lavoro e Post Mercato del 16/7/08, “La condizione dei minori in Italia – Pubblicato il 4° rapporto del gruppo CRC.: http://www.lavoropostmercato.org/rivista.php?arg=3&art=383
(3)Per servizi si possono intendere forme strutturate di aiuto che vanno dagli interventi domiciliari a interventi intermedi o territoriali, come i centri diurni o i servizi educativi, a interventi residenziali, come le case famiglia, le residenze per persone non autosufficienti ecc. Per un esame più dettagliato delle proposte concrete, invitiamo a leggere direttamente il Rapporto, soprattutto in relazione alla possibilità di riallocare le risorse senza per questo aumentare la spesa pubblica.
(4)Questo confronto è stato reso possibile dall'uso degli indicatori elaborato dal Consiglio Europeo di Laeken-Bruxelles nel dicembre 2001 e poi diventati il punto di riferimento nell'analisi e nelle ricerche sull'esclusione sociale. Sono 18 indicatori statistici, suddivisi in primari e secondari, e prendono in esame, per citarne alcuni, i redditi disponibili dopo i trasferimenti pubblici, la loro distribuzione, il tasso di disoccupazione, la speranza di vita alla nascita, l'auto percezione dello stato di salute, ecc. Le definizioni esatte di questi 18 indicatori sono riprese in allegato al rapporto del Comitato della protezione sociale: http://europa.eu.int/comm/employment_social /soc-prot/soc-incl/indicator_fr.htm. Due "statistiche in breve" (8/2003 et 9/2003) recentemente publicate da Eurostat, l’ufficio statistico dell’UE.
(5)Per quanto concerne i trasferimenti monetari, il primato di una maggiore diffusione è detenuto dalle zone del Veneto (82,4%), dell’Emilia Romagna (80,8%) e della Liguria (77,8%). Superiore al dato medio anche la situazione degli ambiti lombardi (72,7%), abruzzesi (72%), e toscani (71,4%). Tra i dati disponibili per le aree meridionali, si può cogliere la netta diversificazione tra il dato pugliese, in linea con la media nazionale, e quello lucano, che fa registrare la percentuale più bassa (16,7%).

sabato 20 dicembre 2008

Sommario Rivista Lavoro e Post Mercato n° 52

Lavoro e Post Mercato
Quindicinale telematico a diffusione nazionale a carattere giornalistico e scientifico di attualità, informazione, formazione e studio multidisciplinare nella materia del lavoro


Rivista n. 52 - del 16-12-2008

Sommario

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Argomento: Laboratorio sociale

Il mestiere di vivere: il commercio elettronico ed il diritto di recesso.

Il Codice Civile all’articolo 1372 dopo aver statuito che “il contratto ha forza di legge fra le parti” dispone che esso “non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge...

La Redazione


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Argomento: Laboratorio sociale

Il diritto di accesso ai dati personali

Il diritto alla protezione dei dati personali sancito dall’articolo 1 del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, “Codice in materia di protezione dei dati personali”, di seguito Codice “Chiunq...

La Redazione (D.P.)

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Argomento: Laboratorio sociale

Come combattere le paure planetarie.(seconda ed ultima parte)

Altro aspetto che il summit ha cercato di analizzare è quello relativo ai processi di globalizzazione in corso, soprattutto a partire dai flussi economici, di immigrazione e multiculturali nei rapport...

Antonio M. Adobbato


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Argomento: Rete sociale

Le tecniche di comunicazione a distanza nel Codice del consumo

Per tecnica di comunicazione a distanza si intende qualunque mezzo che, senza la presenza fisica e simultanea del fornitore e del consumatore, possa impiegarsi per la conclusione del contratto tra le...

Rita Schiarea



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Argomento: Rete sociale

Rapporto sulla povertà e sull'esclusione sociale in Italia

Lo scorso 17 ottobre, come si fa da ormai 16 anni, si è celebrata la Giornata Mondiale della Povertà.
L'origine di questa ricorrenza risale a qualche anno prima, al 1987. In quell'anno, migliaia...

Antonio M. Adobbato


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Argomento: Formazione

La registrazione dei nomi a dominio: modalità e problematiche

Il nome a dominio, dall’Inglese “domain name”, è, dal punto di vista tecnico, l’espressione del protocollo che traduce in lettere/parole una serie di cifre, ovvero di un indirizzo IP.


Diego Piergrossi


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Argomento: Approfondimento

La tutela dei programmi per elaboratore (software)

Prima di affrontare le problematiche legate alla tutela giuridica del software è opportuno fornire alcune informazioni preliminari sul concetto stesso di software.

Un sistema di elaborazi...

La Redazione (R.S.)

martedì 9 dicembre 2008

Come combattere le paure planetarie.


Il Presidente degli Stati Uniti d'America Franklin Delano Roosvelt, all'inizio del suo primo mandato, nel 1933, pronunciò una celebre frase che sancì, con la sua immediata popolarità, l'inizio della rinascita dopo la depressione del 1929:”l'unica cosa di cui aver paura è la paura stessa”.
Questa semplice formula, comprensibile da tutti, a detta di molti osservatori ebbe il pregio di infondere nuova speranza e un crescente ottimismo dopo il collasso del sistema finanziario e produttivo della Grande Depressione iniziata qualche anno prima.
E ogni qualvolta si presenta una crisi di vaste proporzioni, quasi come se fosse un riflesso condizionato, si ripensa a quella frase e a quell'esperienza storica. C'è da chiedersi come mai un Presidente degli Stati Uniti, invece di affidarsi ai consueti strumenti a sua disposizione, normativi ed economici, si sia invece affidato alla psicologia. (1)
Molti osservatori ed esperti di cose economiche hanno sempre sottolineato che il vero motore dei mercati e degli scambi sia la fiducia reciproca tra debitori e creditori. Se passiamo per buona la forzatura concettuale – in realtà si scambia un bene attuale contro un bene futuro più grande, il cui valore si misura non sulla fiducia ma sul lavoro -, e se estendiamo il modello economico anche ad altri ambiti della vita sociale, si vedrà che il sentimento della paura, da semplice segnale di allarme per la propria incolumità personale o di gruppo si è via via ingrandito a tal punto da diventare un fenomeno ed un problema.

Come si cercherà di far vedere, esponendo in sintesi alcuni degli interventi che si sono tenuti ad un summit sulle paure planetarie, tenutosi a Roma, i piani di lettura possono essere diversi ma crediamo si possa concordare sulla rilevanza dell'atteggiamento della paura nei confronti del mondo.
Il filosofo B. Russell, nell'analisi delle credenze, ha efficacemente sostenuto che “un contenuto si considera creduto quando ci spinge ad agire”, cioè quando passiamo dalle intenzioni ai fatti e le nostre azioni derivano da ciò che crediamo.
Più forte è la convinzione, più l'azione prende il sopravvento.

Se rimaniamo in campo economico, possiamo chiederci quali azioni e decisioni prenderà ( o non prenderà...) un consumatore, un risparmiatore, un investitore, un imprenditore in preda alla paura?
E la politica, la più architettonica di tutte le scienze, come diceva Platone, come elabora e interviene sulle correnti di paura che troppo spesso alimenta invece di contrastare?

Se a ciò aggiungiamo anche l'imprevedibilità crescente del mondo e della sua poco comprensibile complessità, le molte aspettative sul futuro relativamente alla propria vita, il lavoro, la casa, i risparmi, lo stato del pianeta, il riscaldamento globale, il terrorismo, la globalizzazione e via elencando non fanno che aumentare a dismisura le correnti irrazionali e incontrollabili nel gioco delle azioni e retroazioni tra eventi paurosi e sentimento della paura.

Per fare un primo punto sul fenomeno delle paure e dei meccanismi che le alimentano, a Villa Miani, a Roma, nel mese di settembre, dal 24 al 26, su iniziativa della Fondazione Roma in collaborazione con la Fondazione Censis, si è tenuta la prima edizione del World Social Summit, dal titolo Fearless: dialoghi per combattere le paure planetarie. (2)

Si è trattato di un interessante e importante momento di confronto e di approfondimento a livello internazionale su varie tematiche che stanno segnando l'evoluzione sociale; sono stati chiamati a discuterne e a confrontarsi prestigiosi intellettuali, ricercatori e rappresentanti di istituzioni nazionali ed internazionali.

Il tema prescelto, la paura planetaria, cerca di fare il punto sul senso dell'incertezza, percepita o reale, che a diversi livelli fasce sempre più ampie di popolazione si trovano a dover gestire. Le paure vere o presunte sul terrorismo, sicurezza, epidemie, perdita del lavoro, ecc., sono state analizzate secondo varie dimensioni e da prospettive disciplinari diverse, unite però dal tentativo di circoscrivere un evidente paradosso.
Si è spesso detto, almeno dal secolo dei lumi in poi, che la conoscenza e l'informazione dovrebbero estinguere o combattere alla radice le pulsioni più irrazionali e i sentimenti più regressivi.
Se si analizzano invece i meccanismi di comunicazione attuale, al contrario, sembra che le notizie diffuse nella sfera mediatica globale tendano invece a generarle, le paure, piuttosto che contrastarle. Molte delle notizie propalate dai media, infatti, non sono sempre un racconto circostanziato sull'esistenza di minacce o rischi oggettivi, ma creano o alimentano gli eventi paurosi. Tra gli obiettivi che il Summit si è posto c'è quindi in primo luogo il tentativo di comprendere chi produce e come tale condizione di vulnerabilità e di allarme, chi ha specifici interessi (economici o politici) ad alimentarle e in quale modo si può impedire che i meccanismi della comunicazione alimentino le paure invece di contrastarle.

Tra i più interessanti, citiamo l'intervento di D. Altheide, analista della comunicazione della Arizona State University. Sostiene Altheide che il modo in cui i media producono una retorica della paura è dovuto al cambiamento profondo del linguaggio, che innova con nuovi simboli la visione del mondo. Quello che si è prodotto nel tempo è un discorso in cui la paura riveste un ruolo centrale, dove i rischi e i pericoli sono elementi centrali della vita quotidiana. Il meccanismo consiste nell'associare un problema alla paura, ad esempio la criminalità. Poi ci si allontana dal fenomeno e vi si associa un altro problema importante, come l'uso di droga ad esempio. In questo modo la parola paura sparisce ma i fenomeni connessi rimangono associati in modo indelebile nella psicologia e nel vissuto dei cittadini. Di qui nasce anche la politica della paura, dove si vedono all'opera i governi che diffondono la convinzione che tutti possono essere protetti, aumentando il controllo sociale e riducendo le libertà più elementari. La conseguenza di questo meccanismo di governo è che cambia la vita quotidiana e si compiono scelte sempre più dettate dal sentimento della paura: si va ad abitare in condomini chiusi, si comprano sempre più armi per difendersi, si sceglie di avere una vita sociale sempre più ridotta e controllata.

Frank Furedi, sociologo all'Università di Kent e giornalista, nota che parliamo di paure usando spesso dei rituali, come quando si fa una lezione in un'aula e per prima cosa si indicano le uscite di sicurezza. Ci sono sette regole, diremmo noi sette dimensioni della paura, secondo l'analista inglese. Tra queste, una riguarda il fenomeno, come diceva Altheide, di un sentimento che si stacca da un oggetto specifico. Un'altra, particolarmente importante, è che la paura naviga libera, si sposta con velocità da un ambito all'altro e per questo basta guardare i titoloni ansiogeni dei giornali: aviaria, obesità, cibi transgenici, terrorismo, ecc.
Un terzo elemento è che la paura è diventata un'ideologia, una prospettiva e la politica la usa come risorsa culturale. Le differenze tra i partiti, oggi, si basano sulle diverse paure su cui fanno leva. Attualmente, poi, cresce un carattere privato e paralizzante del timore: non parliamo con i vicini, viviamo nel nostro intimo. E poi anche la paura di se anche come collettività, addirittura come specie; leggiamo e sentiamo di un'umanità che inquina e distrugge: l'impatto umano ha assunto negli ultimi tempi un significato negativo, dato che per la prima volta nella storia c'è la consapevolezza che la specie umana, nella sua interezza, può portare al collasso del pianeta.

Un altro importante intervento, attento a cogliere gli elementi antropologici di gestione della paura è quello di Michel Maffesoli, filosofo e sociologo alla Sorbonne. Da dove viene questa paura, si chiede Maffesoli? Certo è importante combattere la paura della paura, ma normalmente noi ci muoviamo secondo due importanti paradigmi, che si condensano in un modello culturale secondo cui esiste una soluzione, e un altro modello, alternativo, che non prevede soluzioni. Il nostro mondo non ha più una visione drammatica dell'esistenza, come quella tipica della cultura giudaico cristiana, in cui la fatica e il dolore sono tappe di un percorso ascetico verso il bene. E' piuttosto simile al mondo classico, che ha invece una visione tragica, dove non c'è nessun lieto fine e dove non c'è una ricomposizione dei drammi della storia. Di qui viene la tentazione di rifugiarsi in un mondo altro, come nei mondi virtuali di Second Life, o nella droga, appiattendosi sul presente e manifestando una incapacità ormai strutturale di progettare a lungo termine.
Sull'idea che occorra non aver paura della paura, ma invece viverla, affrontare il processo in gioco, accettare un ritorno del tragico, dove non c'è più la soluzione, concorda anche il filosofo Salvatore Natoli, dell'Università degli Studi di Milano. E' solo problematizzando la paura che la si ridimensiona, dice Natoli. La paura ha una doppia natura: "paralizzante" ed "organizzatrice". E' necessario lavorare per fare emergere il lato organizzatore della paura.
La società contemporanea può essere rappresentata utilizzando il concetto di imponderabilità del mondo. Il mondo si è fatto più complesso, ma gli individui sono rimasti gli stessi. Il concetto di istantaneità oggi permea il sistema di relazioni tra gli individui, ma anche la loro capacità di relazionarsi con l'ambiente esterno e con le insidie che questo manifesta.
Occorre una grande rivoluzione morale, che sappia riportare in auge la logica dell'altro, per sconfiggere la paura. Gli individui devono riscoprire l'importanza dello scetticismo come pratica per affrontare la realtà sociale. Chi non è scettico, soffre d'immaginazione, e l'immaginazione dà vita a quello spazio interstiziale in cui si insidia la paura.
Per Zygmunt Bauman, sociologo dell'Università di Leeds, del regno Unito, è errato parlare di “paura” e sarebbe meglio parlare di “paure” al plurale.
Quella di oggi è spesso paura dell'inadeguatezza, sostiene il celebre teorico della società liquida. Perché oggi la società non fissa regole ma da possibilità che possono essere sfruttate. Se si perde l'opportunità, la responsabilità è dell'individuo che non ha avuto abbastanza energia, intelligenza e non ha provato abbastanza. C'è dunque una responsabilità personale che comporta in sé il rischio di non cogliere appieno le opportunità.
E poi c'è l'insicurezza sociale che viene dalla consapevolezza che così come ci viene dato un posto in società, a volte ci può essere tolto. Man mano che si va avanti si rimane attaccati a questa posizione sociale, perché abbiamo paura di perderla. La promessa dei governi e delle società organizzate era quella di liberare la gente da questo tipo di paura derivante dall'insicurezza sociale.
Un altro prestigioso teorico, Robert Castel, dell'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, Francia, proprio sulla paura della perdita di tutela come sentimento condiviso dei cittadini occidentali, nota che le fonti di produzione della paura, pur essendo molteplici, possono essere schematicamente ricondotte a due:
- la prima riguarda la perdita di potere dello stato nazione, soprattutto perché i Paesi hanno in gran parte perso il controllo sui parametri del loro sviluppo. La globalizzazione ha fatto sì che gli stati non siano più in grado di controllare i flussi degli scambi. In questo senso è fondamentale la progettazione ed il funzionamento di soggetti sovranazionali di controllo efficaci.
- Il secondo elemento di forte criticità è costituito dalla messa in discussione dello stato nelle sue modalità di funzionamento: in particolare lo stato perde le sue regolamentazioni collettive. Sia la disoccupazione di massa, per cui un numero sempre maggiore di cittadini si trovano al di fuori dalle tutele, sia la frammentazione dell'organizzazione del lavoro con un sempre maggior numero di soggetti esclusi dai sistemi di protezione, producono incertezza in una società che è sempre più società degli individui.
Di fronte ad una società mobile e liquida, il welfare deve aggiornare i propri strumenti e ripensare le forme di intervento e tutela. Se il welfare state tradizionale adempiva alla domanda di tutela che fino agli anni settanta veniva espressa dai cittadini, oggi deve essere profondamente ripensato, una sfida complessa per la quale non esistono soluzioni semplici.
(continua)


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Note

(1) Se lo chiede ad es. un grande psicanalista, J. Hillman, nel suo intervento al summit, che richiamando magistralmente gli interventi di alcuni pensatori e moralisti, ha ricordato la positività del sentimento della paura, per la funzione che essa svolge nel richiamare virtù importanti come la speranza, la fiducia, il coraggio e la disciplina. Per leggere un ritratto sintetico di Roosevelt, vedi http://it.wikipedia.org/wiki/Franklin_D._Roosevelt.
(2) Vedi http://www.worldsocialsummit.org/

sabato 6 dicembre 2008

Sommario Rivista Lavoro e Post Mercato n° 51

Lavoro e Post Mercato
Quindicinale telematico a diffusione nazionale a carattere giornalistico e scientifico di attualità, informazione, formazione e studio multidisciplinare nella materia del lavoro


Rivista n. 51 - del 01-12-2008

Sommario


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Argomento: Laboratorio sociale


Compensazione territoriale e collocamento mirato dei disabili: pubblicata la nota operativa.


Novità in tema di Compensazione territoriale e collocamento mirato, il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali ha disposto , con una nota firmata il 17 novembre 2008, il contenuto...



Diego Piergrossi


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Argomento: Laboratorio sociale


Come combattere le paure planetarie.
Il Presidente degli Stati Uniti d'America Franklin Delano Roosvelt, all'inizio del suo primo mandato, nel 1933, pronunciò una celebre frase che sancì, con la sua immediata popolarità, l'inizio della r...



Antonio M. Adobbato



continua...



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Argomento: Rete sociale


Bene comune, impegno politico e Dottrina Sociale della Chiesa: la 3 Giorni Toniolo.


Si è svolta nella splendida cornice di San Miniato (PI) dal 27 al 29 novembre us la 3 Giorni Toniolo: un seminario di studi organizzato dalla Fondazione Toniolo ed avente ad oggetto, quest'anno, il te...



La Redazione (D.P.)



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Argomento: Evoluzione normativa


Investigatori privati: al via il codice di deontologia per il trattamento dei dati acquisiti


Importanti innovazioni per gli investigatori privati giudiziari, l'Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali con Deliberazione n.60 del 6 novembre 2008 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale ...



Henri Lazzeri



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Argomento: Evoluzione normativa


Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa


La nostra rivista si è occupata più volte della grave crisi economica che ha colpito il mondo industrializzato, e particolarmente l’Occidente, e dei provvedimenti che i diversi governi dell’Unione Eur...



Rita Schiarea



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Argomento: Evoluzione normativa


Imprese marittime approvato il modello per la tonnage tax


È stato approvato, con Provvedimento del 26/11/2008, il modello per la comunicazione relativa al regime di determinazione della base imponibile delle imprese marittime "tonnage tax" (artt. 155-161 TUI...



Pierfrancesco Viola


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Argomento: Approfondimento


Autotrasportatori: istallazione a posteriori di specchi sui veicoli commerciali pesanti


Importanti novità per gli autotrasportatori, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con il Decreto Ministeriale 11 novembre 2008 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.278 del 27 novembre 2...



Giuseppe Formichella

sabato 22 novembre 2008

Lavorare stanca? Pratiche e significati del lavoro


Capita spesso che nella vita quotidiana, incontrando persone nuove, ci si presenti agli altri con il proprio nome e, come capita di consueto, si informino i nuovi conoscenti del lavoro che si fa per vivere. Sono scene usuali e ci sembra del tutto naturale aspettarsi anche un commento sul lavoro che si fa e che l'altro ha dichiarato di fare. Perché ci sembra così naturale, appunto?

Quando si parla di lavoro si dovrebbe anche considerare che intorno ad esso e ai significati che gli sono stati attribuiti nel corso della storia si sono svolte battaglie culturali e politiche di primaria importanza e che al suo capezzale molti medici si sono pronunciati con diagnosi differenziate, spesso contrastanti. La storia delle idee testimonia come i vari pensatori che hanno focalizzato l'attenzione sul lavoro hanno sempre riconosciuto l'importanza e la centralità del lavoro per l'esistenza degli individui, anche se l'aspetto privilegiato è stato di gran lunga quello della querelle, mai risolta del tutto, della supremazia del lavoro intellettuale su quello manuale, traduzione materiale della superiorità della vita contemplativa sulla vita attiva. Anche la distinzione attualizzata della diversità del lavoro immateriale rispetto a quello materiale, testimonia come alcune concezioni sopravvivano anche nella nostra epoca che si configura, in prima battuta, come un'epoca in cui convivono aspetti arcaici, moderni e post moderni del lavoro.
In modo simile si ripresenta il dualismo tipico tra tempo di lavoro e tempo libero, all'origine inteso come tempo liberato.(1)

E' evidente, sulla base di questi brevi accenni, che il lavoro non è solo fatica e che nel suo dispiegarsi nel corso della storia si riflettono e si strutturano le relazioni umane, individuali e collettive.

Nella cultura classica, greca e romana, il lavoro fu associato ad uno stato di necessità, se non addirittura di pena e di fatica. Per la nostra sensibilità, invece, oltre ad essere un “percorso” obbligato per la sopravvivenza materiale, si è via via aggiunta, ma sarebbe meglio dire giustapposta, la concezione che si potesse provare piacere nell'attività lavorativa o addirittura che il lavoro potesse rappresentare un sistema di realizzazione personale.

La remunerazione del lavoro, su cui continuano ad affannarsi economisti, politici, sindacalisti, legislatori, si sdoppia proprio per inseguire questa duplice natura dell'attività lavorativa, connotandosi come retribuzione e come reputazione, riconoscimento economico e realizzazione personale.

Nell'età moderna, come ci ha insegnato Weber, è stata la cultura protestante a promuovere l'etica del lavoro, visto come strumento in grado di superare la condanna del peccato originale e idoneo a manifestare nella storia l'espressione e la realizzazione dei talenti donati da Dio. (2)
Solo nella sua ultima fase, con l'accentuarsi della divisione sociale del lavoro, ci si è staccati da questa concezione, e l'etica individualistica ha posto l'accento sulla soddisfazione e sulla gratificazione personale, generando l'idea del lavoro adatto a ciascuno e in relazione ai talenti personali.
Questa diversità di concezione modifica anche il concetto di tempo libero, un tempo non più così rigidamente separato dal lavoro ufficiale e invece posto quasi come modello per l'attività lavorativa, alla quale si chiede di essere il più simile possibile al tempo libero, per estrarne il valore di realizzazione e di compimento.

Quale lavoro si fa, come lo si fa, diventa un metro di misura della realizzazione individuale e per l'intera società. E' l'attuale divisione del lavoro sociale, con i problemi derivanti dalle diseguaglianze di accesso alle risorse materiale e intellettuali, a rendere drammaticamente irrisolta la tensione tra remunerazione e gratificazione. Differenziare e specializzare le attività, con l'aumento del fattore tecnico, se fa crescere la produttività e il valore del lavoro, come già aveva detto A. Smith, comporta anche un aumento esponenziale di lavori ripetitivi e alienanti, a fronte di un numero sempre più esiguo di lavori appaganti. Questa continua separazione tra lavoro appagante e lavoro di sopravvivenza, derivante dalla diseguale distribuzione del lavoro, è all'origine di molti problemi del mondo del lavoro, ivi compresa la tanto discussa questione della flessibilità e precarietà del lavoro, a seconda che si voglia sottolineare il senso di libertà e di opportunità di crescita professionale (flessibilità) o che invece si vogliano evidenziare gli aspetti più drammatici di un'occupazione a tempo determinato senza diritti e senza prospettive (precarietà).
A questo proposito, per venire ai dibattiti più prossimi a noi sulla forma che sta prendendo il “mercato del lavoro”, ci sarebbe da chiedersi se è davvero accettabile che i giovani, la parte più attiva e creativa della collettività, sia costretta in una condizione lavorativa connotata in modo così marcato come priva di speranza e di realizzazione personale.

Una sistema sociale autenticamente democratico non può e non deve disinteressarsi della qualità del lavoro e dovrebbe preoccuparsi di organizzare servizi sociali e formazione scolastica tali da distribuire equamente le opportunità di accesso e non a seconda della classe o del ceto culturale o professionale di appartenenza. Deve essere offerta una maggiore attenzione sulle condizioni materiali di partenza e si deve cercare di offrire maggiori opportunità per i giovani di aspirare ad un lavoro dignitoso e soddisfacente, invece di una realtà in cui spesso si scambia una fatica a tempo con la disponibilità a racimolare qualche soldo per sopravvivere. (3)

Per molti la prospettiva è di avere un'attività lavorativa mal remunerata, deprofessionalizzata e sottoposta ai ricatti e ai capricci della contingenza economica e dell'umore del datore di lavoro; per alcuni, pochi, la possibilità di avere un lavoro prestigioso e significativo (conquistato magari con favoritismi o clientele).

E' davvero preoccupante questa generale svalutazione del lavoro, della formazione e della cultura, se si pensa ai tanti interessati dibattiti sulla produttività e sul merito che riempiono “le gazzette”. L'esito di questo percorso, se non corretto, perverrà ad una società ancora più diseguale, più escludente, più ingiusta.

_________________

Note
(1)Cfr. F. De NARDIS, L’irreversibilità del moderno, SEAM, Roma, 2001. Vedi anche F. JAMESON, Il postmoderno e la logica culturale del tardo capitalismo, Garzanti, Milano, 1989.Interessante lo studio di C. SPARACO che tratteggia un percorso filosofico e culturale sul confronto tra moderno e postmoderno: C. SPARACO, Postmoderno tra frammentarietà e urgenza etica, in Dialeghestai, 2003. Reperibile alla URL: http://mondodomani.org/dialegesthai/cs01.htm.
Sul rapporto tra vita attiva e vita contemplativa vedi H. ARENDT, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano, 1997.
(2)Vedi il fondamentale saggio di M. WEBER, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, Einaudi, Torino, 1976. Sulla divisione sociale del lavoro vedi E. DURKHEIM, La divisione del lavoro sociale, Einaudi, 1999 e K. MARX, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino, 1980.
(3)Vedi l'interessante lavoro di S. BOLOGNA, Ceti medi senza futuro, Derive Approdi, Roma, 2007. L'A. ha esplorato con acume i nuovi lavori autonomi e le nuove forme di soggettività che ne scaturiscono. V. anche AA.VV., Condizioni e identità nel lavoro professionale, Derive Approdi, Roma, 2008. reperibile anche in rete sul sito www.deriveapprodi.org.

Sommario Rivista Lavoro e Post Mercato n°50

Lavoro e Post Mercato
Quindicinale telematico a diffusione nazionale a carattere giornalistico e scientifico di attualità, informazione, formazione e studio multidisciplinare nella materia del lavoro

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Sommario

Rivista n. 50 - del 16-11-2008

Sommario



Argomento: Laboratorio sociale

Eutanasia: si salvi Eluana subito con un Decreto Legge



La Redazione (D.P.)



*

Argomento: Info lavoro

Pubblico impiego: ancora precisazioni su assenze ed esonero



Diego Piergrossi



*

Argomento: Rete sociale

Giovani precariato e povertà

Rita Schiarea



Argomento: Evoluzione normativa

Interventi di sostegno per i concorsi di PMI

Pierfrancesco Viola



*

Argomento: Evoluzione normativa

Misure urgenti per il rilancio competitivo del settore agroalimentare


Giuseppe Formichella



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Argomento: Università & lavoro

Università: al via il secondo Decreto Gelmini

...

Alba Caiazzo



*

Argomento: Approfondimento

Lavorare stanca? Pratiche e significati del lavoro
Antonio M. Adobbato

mercoledì 12 novembre 2008

Quanto vale una laurea? Curriculum ed esperienze di lavoro



La forma moderna che hanno preso le autobiografie professionali, in specie i curriculum vitae , di cui esistono ormai mitiche versioni on line, mette in luce come negli innumerevoli esemplari di CV che circolano per le aziende si strutturi in modo del tutto peculiare il legame tra una pletora di titoli e una desolante mancanza di esperienza. (1)

Anche non prendendo molto sul serio la paradossale domanda sul mercato di giovani laureati a cui si chiedono esperienze degne di manager di alto profilo, e a cui si offrono al massimo degli stages non retribuiti , come se la retribuzione non fosse un argomento abbastanza nobile per parlarne, di stages non retribuiti c'è una richiesta altissima, per la nota legge della scarsità in economia: visto che di lavoro vero e retribuito ce n'è poco, ci si accontenta con un surrogato. Poi si propala la notizia che c'è una relazione tra lo stage e l'occupazione e voilà, il gioco è fatto: ci si è assicurati quel che un tempo si chiamava forza lavoro qualificata a un prezzo quasi irrisorio.

In tutto ciò risalta la risposta che i giovani laureati offrono alla richiesta di esperienza con una specie di mossa del cavallo, vantando un impressionante accumulo di titoli e di specializzazioni.
Siccome non si sa cosa può andar bene, oltre alla laurea e ai post laurea, ci si mette dentro il servizio militare, la patente di guida (regalata dalla nonna), lo stage estivo presso il villaggio turistico e via elencando. Poiché spesso si ritiene che essere laureati e specializzati sia sempre troppo poco, si infiocchetta la “proposta di collaborazione” - eufemismo socialmente accettato al posto di assunzione o contratto a tempo indeterminato - con una auto attestazione di “particolari attitudini relazionali” o con la dichiarazione “arma fine di mondo”, che si spera possa fare breccia nel gelido cuore dei selezionatori, quando si dichiara di prediligere i lavori di gruppo (scrivendo rigorosamente team working, locuzione magica) ma di essere anche pronti ad assumere su di sé il cilicio dell'autonomia....

Quando poi si va a spulciare nel catalogo delle lauree, dei master e delle specializzazioni che i candidati offrono speranzosi per non farsi cestinare al primo colpo d'occhio, risalta la difficoltà a specializzarsi realmente in un definito settore di lavoro. Si procede per tentativi ed errori, in un itinerario della speranza o della paura e non in quello irregolare e confuso di una creatività che cerca faticosamente se stessa.

In questo sistema i tentativi di specializzazione professionale non servono per stare sul mercato, evidenziando il circolo vizioso del regime del lavoro professionalizzato nel nostro paese, dove contano e comandano gli ordini e le corporazioni professionali, le caste sconosciute e non stigmatizzate quanto quelle politiche o sindacali. Si può qui vedere, quasi allo stato nascente, come ci siano moltitudini di persone che si affacciano sul mercato del lavoro vantando nei loro curricula un grado di specializzazione, e di varietà di competenze, di gran lunga maggiore della generazione che li ha preceduti; tuttavia, esso non basterà loro per garantirsi un tipo di reddito non diciamo dignitoso ma una remunerazione che sarà invece molto somigliante a quei casi che in passato sarebbero spettati ai soggetti marginali del mercato del lavoro, con occupazioni instabili e senza alcuna specializzazione.(2)

Classicamente, la laurea valeva come rito di passaggio nell'età adulta, nella responsabilità professionale e nella collocazione di status. Di tutto questo non è rimasto molto, visto che l'ingresso nel mondo adulto (ma possiamo dire gerontocratico, parlando dell'Italia) è rinviato a tempo imprecisato e come rito di passaggio la laurea sembra quasi valere al contrario: invece di conseguire un'identità e un ruolo sociali, si acquisisce uno status di incertezza e di instabilità, economica e di ruolo. Oggi, il rito della professionalizzazione si compie ancora in qualche modo ma, a differenza del passato, termina con la riduzione ad incertezza dell'iniziato e non con un suo accrescimento o una modifica evolutiva del suo status.

Allora, davvero, ci si deve chiedere: a che vale la laurea?

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NOTE

(1)Il curriculum vitae, spesso abbreviato in CV, di solito compilato nella ricerca di un primo o di un diverso lavoro, è l'abbreviazione di curriculum vitae ed studiorum, quindi comprende l'esperienza di vita e di lavoro insieme al corso di studi e di specializzazioni professionali.
Per farsi un'idea del peso che si attribuisce al CV e ai consigli su come stilarlo si può dare un'occhiata qui: http://www.ottimizzare.com/curriculum_vitae/, uno dei tanti siti che offrono consigli e “dritte”, gratuitamente e non. Per vedere come si compila un CV con standard europeo, v. http://www.europass-italia.it/.
Secondo uno studio dell' Ires-Cgil, tra il 2002 e il 2006 gli operai hanno subìto una riduzione del reddito disponibile pari a 2050 euro, mentre liberi professionisti e dirigenti si sono ritrovati 12.200 euro in più. Dunque la classe media e bassa ha perso potere d' acquisto. E i giovani? Sono sempre più sacrificati. «Chi ha sotto i 32 anni guadagna in media 800 euro netti al mese - spiega Agostino Magale, direttore dell' Ires Cgil - e chi ha una laurea in tasca oggi ha una paga inferiore rispetto a chi è andato a fare l' operaio anni prima». E i dati di OD&M lo confermano. Gli stipendi dei neolaureati sono andati giù del 7,8 per cento. Peggio ancora per chi ha dai tre ai cinque anni di esperienza (che ha visto diminuire la retribuzione in termini reali del 13,1 per cento), essendo entrato nel mercato del lavoro proprio quando l' economia andava male. Ma il dato sorprendente è che oggi i neolaureati guadagnano in media 23mila euro, dunque poco più di un operaio (22.736 euro l' anno comprensivi però di premi e straordinari). «La laurea non paga più perché si sta abbassando il livello di ingresso»- spiegano a Od&M - Soprattutto le piccole aziende, per ridurre i costi, preferiscono assumere diplomati. è vero però che nel lungo periodo un diploma di laurea è quello che fa scattare gli aumenti e dunque crescere la retribuzione». Nell' universo giovani solo stati infatti solo i non laureati (con uno o due anni di esperienza) che tra il 2001 e il 2006, sono riusciti a difendere un po' il potere d' acquisto. Che cosa è accaduto in questi anni? Per Agostino Megale la risposta è una sola. «Dal 1993 al 2003 - spiega il direttore dell' Ires Cgil - su 21 punti di aumento della produttività solo 3 sono andati ai lavoratori, gli altri sono andati tutti ai profitti. è giunta l' ora di invertire la tendenza»
(2)Secondo uno studio dell' OD&M del 2007 sulle retribuzioni in Italia, i giovani sono sempre più penalizzati in ambito retributivo. “Chi ha sotto i 32 anni guadagna in media 800 euro netti al mese, dice Agostino Megale, direttore dell'IRES-CGIL commentando questi dati, e chi ha una laurea in tasca oggi ha una paga inferiore rispetto a chi è andato a fare l'operaio l'anno prima.”.I dati OD&M lo confermano.

SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE E SVILUPPO DELL’E-GOVERNMENT (Ultima parte)


I Centri Regionali di Competenza (CRC)

Il Piano d’azione sull’e-government nel nostro paese, così come è stato proposto nel Primo Avviso, ha configurato una metodologia d’intervento orientata a privilegiare un’aggregazione virtuosa tra amministrazioni e a richiedere una progettualità finalizzata alla realizzazione di servizi on-line e alla costruzione di meccanismi di riuso delle soluzioni, con lo scopo di favorire lo scambio di esperienze e competenze tra Amministrazioni.
Il numero di progetti presentato, come si legge nel Primo Rapporto sull’innovazione nelle regioni d’Italia, è piuttosto elevato: 377. Dopo una lunga valutazione, il numero di progetti co-finanziati definitivo è di 134.

L’attuazione dell’e-governement locale si è sviluppata grazie ad una stretta cooperazione tra le Regioni e le autonomie locali e ad una positiva collaborazione con le strutture centrali, tramite l’attivazione di strutture nazionali e regionali.
Le strutture nazionali sono state individuate nel DIT e nel Centro Tecnico, al fine di garantire un supporto politico e tecnico efficace alla prima fase del piano di e-government in Italia; a livello locale, invece, sono stati costituiti, a partire dal 2002, assieme alle Regioni e con il sostegno del Dipartimento della Funzione Pubblica, i Centri Regionali di Competenza per l’e-government e la società dell’informazione (CRC).(28)

I Centri regionali di competenza sono strutture di carattere operativo, diffuse sul territorio regionale, con il ruolo di facilitatori nell'attuazione dei processi di innovazione attraverso la realizzazione di piani di attività formative, informative e di assistenza agli Enti Locali nell’attuazione dei progetti di e-government e in generale dei piani per la società dell’informazione. (29)
Gli obiettivi stabiliti per i CRC sono così sintetizzabili:
- supportare e rafforzare le competenze degli Enti Locali nello sviluppo di iniziative per l’e-government e la SI, in coerenza con gli obiettivi fissati dalle Linee Guida del Governo;
- aumentare l’attenzione e comprensione dei decisori pubblici rispetto ai problemi da affrontare, al ruolo propulsivo che possono assumere per il cambiamento, e l’importanza di “fare sistema”;
- diffondere modelli, approcci e strumenti condivisi su aspetti critici (organizzativi, gestionali, culturali, ecc.) dei processi di innovazione nell’amministrazione pubblica;
- sviluppare la cooperazione su questi temi nei sistemi regionali e su scala interregionale;
- garantire una informazione tempestiva e efficace sullo stato di attuazione e sui risultati delle politiche regionali e nazionali per la SI”.

Sotto il profilo organizzativo, si è scelto di avviare in ogni regione un Team di Progetto; da parte delle strutture centrali si mette a disposizione un consulente senior e 1-2 figure junior, in genere professionisti con competenze multi-disciplinari, già operanti nel contesto locale; beni strumentali per il Team di Progetto; servizi di varia natura gestiti dallo staff centrale presso il Formez, a supporto delle attività sul territorio e della creazione del network nazionale dei CRC. Le Regioni, a loro volta, mettono a disposizione proprio personale, in grado di partecipare con continuità alle attività dei Team di Progetto, lo spazio per ospitarli e i servizi connessi.

Il ruolo dell’Osservatorio

Nell’ambito del piano di attività dei Centri Regionali di Competenza importanti funzioni sono attribuite all’’Osservatorio sull’e-government e la società dell’informazione. Tale Osservatorio si occupa di monitorare la diffusione delle nuove tecnologie nei contesti territoriali e in modo particolare nel funzionamento della pubblica amministrazione locale, nonché l’utilizzo dei servizi pubblici innovati da parte dei cittadini e delle imprese.
L’obiettivo dell’Osservatorio, è quello di ricostruire, attraverso contributi locali e opportune rielaborazioni, una visione nazionale coerente delle dinamiche evolutive dell’e-government e della società dell’informazione a livello locale. Allo stesso tempo, l’Osservatorio propone anche una lettura e approfondimenti “regionalizzati” di dati e fenomeni che sono spesso considerati solo in modo aggregato a livello nazionale.
Nell’ottica di una costruzione graduale del patrimonio informativo e dei meccanismi organizzativi della rete, l’Osservatorio, nella fase attuale, non pretende di fornire un quadro esaustivo di tutte le dimensioni della Società dell'Informazione - commercio elettronico, capitale umano, ricerca e innovazione nelle imprese, ecc.- né di riuscire a rappresentare tutti i processi di sviluppo a livello di realtà regionale.

Il primo macro-ambito tematico su cui si è raggiunta una dimensione organizzativa e operativa stabile è quello dell’innovazione nella Pubblica Amministrazione locale che viene osservata nelle diverse fasi che la caratterizzano:
§ la programmazione e attuazione delle politiche regionali e locali
§ la progettazione di infrastrutture e servizi in base agli obiettivi delle politiche di innovazione
§ l’offerta effettiva dei servizi innovati
§ le infrastrutture e la cooperazione applicativa
In linea con il modello organizzativo del progetto CRC, le attività dell’Osservatorio sono realizzate nei CRC a livello regionale e nella struttura di coordinamento centrale, presso il Formez. (30)

I CRC, nell’esercizio della loro funzione di Osservatorio Regionale, sono impegnati nella raccolta di informazioni e dati, in buona parte aderenti ad un modello comune e condiviso di analisi rispetto alle altre regioni.
Lo staff di coordinamento dell’Osservatorio all’interno dello staff centrale stimola il processo di definizione e condivisione di quei modelli comuni che permettono l’omogeneizzazione dei dati raccolti a livello regionale, ed opera approfondimenti tematici su scala nazionale e letture trasversali dei dati e delle dinamiche rilevate nelle diverse regioni.

Nelle sue azioni di ricerca e di studio, l’Osservatorio prevede anche di promuovere collaborazioni con altri centri di ricerca e con l’Università per indagini di tipo qualitativo e quantitativo.

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NOTE

(28) Vedihttp://www.innovazione.gov.it/ita/egovernment/entilocali/centrireg.shtml.

Ciascun CRC è costituito sulla base di apposite convenzioni tra il Ministro per l'innovazione e le Tecnologie e i Presidenti delle Regioni.
(29) Per ulteriori approfondimenti cfr. www.crcitalia.it Ciascun centro regionale sviluppa un piano di attività con modalità operative e finalità proprie, adeguate alle esigenze della realtà locale, e, al tempo stesso, è in rete con gli altri centri regionali e beneficia di servizi e supporti comuni.
(30) Relativamente al tema della fruizione dei servizi l’Osservatorio CRC al momento si pone in posizione di attesa e segue attentamente la reportistica e l’evoluzione delle metodologie a livello nazionale nonché i benchmarking multiregionale in ambito UE


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Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie, Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, Dipartimento delle Funzione pubblica per l’efficienza delle amministrazioni, Formez, Centri Regionali di Competenza

Primo Rapporto sull’innovazione nelle regioni d’italia, 2002
Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie, Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, Dipartimento delle Funzione pubblica per l’efficienza delle amministrazioni, Formez, Centri Regionali di Competenza

Secondo Rapporto sull’innovazione nelle regioni d’italia, 2003
Presidente del Consiglio dei Ministri
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martedì 4 novembre 2008

Sommario Rivista Lavoro e Post Mercato n° 49

Lavoro e Post Mercato
Quindicinale telematico a diffusione nazionale a carattere giornalistico e scientifico di attualità, informazione, formazione e studio multidisciplinare nella materia del lavoro
Rivista n. 49 - del 01-11-2008
Sommario
Argomento: Laboratorio sociale
Emergenza giustizia: nuovi interventi urgenti.
Come già anticipato in altro editoriale (il n.48/2008) la situazione della Giustizia in Italia è fortemente drammatica ed una delle cause è costituita proprio dall’attuale organizzazione e struttura d...
La Redazione (R.S.)
continua...
Argomento: Laboratorio sociale
Pubblico impiego e Terzo settore: un binomio alla prova.
La Nostra Rivista ne aveva già trattato nel n.44 del 2008 allorquando aveva anticipato le novità introdotte dal Decreto Legge 112/2008 (ora L.n.133/2008) all’articolo 72, e della sua ratio ispiratr...
Diego Piergrossi
continua...
Argomento: Info lavoro
Vigili del fuoco: importanti novità in tema di disciplina dell'accesso
Importanti novità per l’accesso al Corpo dei Vigili del Fuoco, come noto con il decreto del Ministro dell'Interno dell’ 11 marzo 2008, n. 78 era stato emanato il nuovo «Regolamento concernente i requi...
Giuseppe Formichella
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Argomento: Rete sociale
SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE E SVILUPPO DELL’E-GOVERNMENT (Ultima parte)
I Centri Regionali di Competenza (CRC) Il Piano d’azione sull’e-government nel nostro paese, così come è stato proposto nel Primo Avviso, ha configurato una metodologia d’inter...
Antonio M. Adobbato
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Argomento: Evoluzione normativa
Extra UE: novità in tema di ricongiungimento e status rifugiato
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 247 del 21 ottobre 2008 il Decreto Legislativo 3 ottobre 2008, n. 160 contenente “Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 8 gennaio 2007...
Henri Lazzeri
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Argomento: Evoluzione normativa
Misure urgenti per contenere il disagio abitativo di particolari categorie sociali
E' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.246 del 20 ottobre 2008il Decreto Legge, 20 ottobre 2008 appunto, n. 158 inerente le "Misure urgenti per contenere il disagio abitativo di partico...
Alba Caiazzo
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Argomento: Evoluzione normativa
Scuola ed Università: tra occupazioni e scontri il Decreto Gelmini diventa Legge.
Non è la prima volta che la nostra rivista affronta il tema scuola-università ed in particolare, da ultimo, il cd Decreto Gelmini, oggi, però, è realmente difficile anche solo parlarne in termini non ...
Rita Schiarea
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Argomento: Università & lavoro
Ricerca e sviluppo: sottoscritto il Protocollo sulla valutazione economica dei brevetti
Sottoscritto in data 21 ottobre 2008 dal Ministero dello Sviluppo economico, l'Associazione bancaria italiana, Confindustria e la Conferenza dei Rettori delle Università italiane il Protocollo d'intes...
Pierfrancesco Viola
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Argomento: Università & lavoro
Quanto vale una laurea? Curriculum ed esperienze di lavoro
La forma moderna che hanno preso le autobiografie professionali, in specie i curriculum vitae , di cui esistono ormai mitiche versioni on line, mette in luce come negli innumerevoli esemplar...
Antonio M. Adobbato
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domenica 26 ottobre 2008

Il lavoro di nuovo sullo schermo: la sicurezza sui luoghi di lavoro alla 65° Mostra di Venezia


Ci sono voluti troppi morti perché il mondo della cultura e il cinema si accorgessero di nuovo del mondo del lavoro.Adesso il cinema sembra rispondere agli appelli lanciati dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano sin dal 2006 e alle tante richieste di non dimenticare dopo le stragi sul lavoro di Torino alla Thyssenkrupp, di Marghera, di Genova, di Molfetta e di tutti quelli che con un atroce stillicidio scandiscono i numeri di una ecatombe silenziosa. Sembra ritornare, almeno in alcune operazioni culturali, e con le dovute cautele dovute al contesto sociale completamente cambiato, quello spirito della cultura impegnata, engagée, che aveva contraddistinto per alcuni decenni il cinema italiano nell'immediato dopoguerra, innervato di passione civile e di sensibilità ai problemi sociali. Al cinema, come alla letteratura, si assegnava un compito educativo, pedagogico, come a tentare un legame realtà-rappresentazione-trasformazione, con l'esplicita intenzione di partecipare al generale movimento di ricostruzione e di rinascita dopo l'esperienza del fascismo e della guerra. (1)
Film come “Ladri di Biciclette” (1948 - De Sica), sul tema della disoccupazione e della povertà o “Rocco e i suoi fratelli” (1960 -Visconti), sul tema dell'immigrazione interna in Italia, per citare due tra i più celebri, e che descrivono la parabola del movimento neorealista dall'inizio alla fine del suo percorso, sono i capofila di un nutrito gruppo di opere che avevano portato la realtà sociale più difficile e controversa sul grande schermo, compiendo un'operazione culturale di grande prestigio e di grande influenza sulla società italiana.
Tornando al tema della sicurezza sui luoghi di lavoro, così come si è diffuso nell'opinione pubblica un segno di attenzione e di sensibilità intorno ad un tema colpevolmente dimenticato, rimosso per troppo tempo dalla coscienza collettiva, anche il mondo del cinema torna ad interessarsi della realtà e dei problemi della sicurezza sui luoghi di lavoro, riportando fuori dal cono d'ombra dei mezzi d'informazione la condizione durissima in cui si trovano molte realtà lavorative, tra precarietà e insicurezza.Inoltre, a testimonianza di un nuovo clima di interesse intorno a questo tema, come a voler operare più nella sfera simbolica e culturale che in quella normativa, l'associazione “Articolo 21 Liberi di” ha presentato l'iniziativa ” Carovana per il lavoro sicuro”, coordinata da Cesare Damiano, ex Ministro del Lavoro, e che ha avuto l'adesione di molte personalità del giornalismo e della cultura.Si tratta di un viaggio che unisce varie iniziative che coinvolgeranno il mondo del cinema, della musica, del teatro e del giornalismo e che farà tappa nei luoghi dove si sono consumate alcune stragi sul lavoro, da Torino a Marghera, da Molfetta a Campello sul Clitunno. “L'obiettivo dell'iniziativa, ha precisato Damiano, non è solo di commemorare queste tragedie ma anche di mettere in rete come punti simbolici questi luoghi e ribadire che non bisogna abbassare la guardia rispetto alle morti bianche e agli infortuni.”(2)
La Carovana per il Lavoro sicuro è partita i primi di settembre e durerà fino a dicembre.Tra le tappe previste c'è stata anche la mostra del Cinema di Venezia, che ha dedicato quest'anno una sezione al fenomeno delle morti bianche.(3)
Proprio nel corso dell'ultima Mostra di Venezia, giunta alla sua 65° edizione, sono stati presentati due film ( ma sarebbe meglio dire due docu-fiction), dedicati esplicitamente a questo tema.Il primo di essi, del regista Mimmo Calopresti, calabrese, famiglia operaia alla Fiat di Torino, dal titolo significativo “La fabbrica dei tedeschi”, è stato presentato alla sezione Orizzonti il 4 settembre 2008 come evento speciale, per sottolineare l'urgenza e l'importanza del tema della sicurezza.In questo film-documentario, in cui sono compresenti elementi di fiction e materiali d'archivio, si ricostruisce l'ultimo giorno di lavoro prima dell'incendio alla Thyssenkrupp di Torino che costò la vita a sette operai nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007. Con un prologo interamente di fiction, si mescolano in questo emozionante lavoro le interviste di repertorio ai parenti delle vittime, ai vigili del fuoco, ai sopravvissuti e la recitazione di attori e attrici famosi che nel film interpretano familiari e colleghi delle vittime.Come ha dichiarato lo stesso regista alla conferenza stampa, “la sicurezza nei luoghi di lavoro è un'utopia per cui vale la pena di battersi. Ho sentito un impeto fisico davanti alla tv, mentre quei ragazzi morivano. Dovevo fare qualcosa, andare lì per stare vicino a loro: alle madri, alle mogli, ai sopravvissuti.(...) A me mancano molto gli operai, quel mondo di personaggi con stipendi di m....(sic!) e condizioni di lavoro dure, mancano nel dibattito politico quasi sempre inutile, nel ping pong delle dichiarazioni, mancano sui giornali troppo pieni di gossip. Vicende come quella della Thyssenkrupp, che pure accadono spesso, trovano posto solo il giorno della tragedia.”Il cinema, ha precisato Calopresti, “ci porta dentro la realtà in maniera potente, più di qualsiasi altro mezzo” [sono un] cineasta che crede in questo mezzo per elaborare il dolore, per emozionare.”(4)
Il film, oltre che in distribuzione nelle sale, sarà trasmesso in tv in esclusiva su La 7, l'8 dicembre prossimo, all'interno di una puntata speciale de 'L'Infedele' di Gad Lerner.
Il giorno dopo, il 5 settembre, è stato presentato “Thyssen Krupp Blues”, opera di Pietro Balla e Monica Repetto. Le riprese di questo film documentario sono iniziate alcuni mesi prima della tragedia del 6 dicembre 2007. L'intento degli autori era quello di raccontare la città di Torino e la rinascita della Fiat dopo una lunga crisi. Cambiando in corso d'opera, il documentario che voleva essere il racconto della crisi e della ripresa di due aziende storiche, Fiat e Bertone, si trasforma nella cronaca di una tragedia annunciata.Il protagonista di questo documentario è Carlo Marrapodi, operaio, che, insieme ai suoi colleghi ed amici, racconta storie semplici di gente semplice, alle prese con turni massacranti e condizioni di lavoro durissime. Ma malgrado le denunce e gli appelli, nella linea 5 dell'acciaieria, in un terribile rogo, si compirà la tragedia, la morte di sette operai. Il titolo del film, dicono gli autori, è perchè tutta questa “storia ricorda un blues: melanconica, dove nessuno ha ragione, a parte quelli che sono morti. E' una storia tristissima che sottolinea la necessità delle cose che mancano, con un andamento straziante e senza nessuna possibilità di recupero.(...) E poi è una storia che potrebbe succedere a chiunque, il protagonista è un ragazzo trentenne, normale, felice che improvvisamente di fronte alla morte, per la prima volta, tocca con mano una tragedia che non ha possibilità di essere risolta, che rappresenta la fine.”Come si vede anche dal tenore delle dichiarazioni degli autori, sembra riemergere, pur se in vesti differenti rispetto al movimento neorealista, l'idea che l'espressione artistica possa contribuire a gettare luce su problemi sociali gravi e che possa contribuire a creare maggiore sensibilità e stimolare interventi intorno ad eventi che riguardano le condizioni materiali di vita di milioni di persone.C'è da augurarsi che il sistema distributivo cinematografico dia la possibilità a queste due opere di circolare e di essere viste dal maggior numero possibile di spettatori, ricavando almeno un posticino accanto ai più scanzonati cinepanettoni.
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Note
(1)Vedi
http://www.italica.rai.it/cinema/index.htm. Per inquadrare il neorealismo in letteratura, cfr. C. Muscetta, Realismo, neorealismo, controrealismo, Garzanti, Milano, 1976.
(2)Vedi
http://www.articolo21.info/notizia.php?id=7288.
(3)Vedi
http://www.labiennale.org/it/cinema/
(4)Il film, oltre che in distribuzione nelle sale, sarà trasmesso in tv in esclusiva su La 7, l'8 dicembre prossimo, all'interno di una puntata speciale de 'L'Infedele' di Gad Lerner.Vedi anche il sito dedicato alla rassegna cinematografica Cinema &/è Lavoro che si tiene a Terni dal 14 al 18 ottobre 2008, dove ci sarà anche la carovana per il lavoro sicuro:
http://www.cinemaelavoro.com/

venerdì 24 ottobre 2008

Sommario Rivista Lavoro e Post Mercato n° 48

Lavoro e Post Mercato
Quindicinale telematico a diffusione nazionale a carattere giornalistico e scientifico di attualità, informazione, formazione e studio multidisciplinare nella materia del lavoro
Rivista n. 48 - del 16-10-2008
Sommario
Argomento: Laboratorio sociale
Emergenza educativa: la morte a Derby non può essere dimenticata
I lettori della nostra rivista ci perdoneranno se anche in questo numero vogliamo trattare di quello che a parere di chi scrive è il problema dei problemi o se volete il vero quesito per il progredir...
Diego Piergrossi
continua...
Argomento: Laboratorio sociale
Il mestiere di cittadino: storie di ordinaria giustizia(?)
Il Processo di Kafka è certamente una delle letture più suggestive e più drammatiche allorquando si voglia affrontare il tema della giustizia a qualunque latitudine ci si trovi, quel che si richiedere...
La Redazione (D.P.)
continua...
Argomento: Laboratorio sociale
Il lavoro di nuovo sullo schermo: la sicurezza sui luoghi di lavoro alla 65° Mostra di Venezia
Ci sono voluti troppi morti perché il mondo della cultura e il cinema si accorgessero di nuovo del mondo del lavoro.Adesso il cinema sembra rispondere agli appelli lanciati dal Presidente della...
Antonio M. Adobbato
continua...
Argomento: Rete sociale
Assicurazioni sociali: Rivalutazione delle prestazioni economiche per infortunio sul lavoro e malattia professionale
Importanti provvedimenti quelli pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 238 del 10 0ttobre 2008 ci riferiamo a ben quattro decreti, due del 23 luglio e due del 30 luglio uu.ss. rispettivamente in tema ...
Henri Lazzeri
continua...
Argomento: Rete sociale
5 per mille 2006: iniziati i versamenti al terzo settore!!!
Tanto tuonò che piovve!!! Alla fine il tanto "vexato" 5 per mille 2006 sta raggiungendo i suoi legittimi destinatari!La nostra Rivista ha sempre affrontato in maniera e con to...
Pierfrancesco Viola
continua...
Argomento: Evoluzione normativa
Misure urgenti per la stabilità del sistema creditizio
L’attuale sistema economico finanziario è in una fase di crisi: tutti i giornali dagli ecomici, ai generalisti a quelli sportivi, come è d’uopo in casi di straordinario rilievo, non parlano d’altro, d...
Rita Schiarea
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Argomento: Evoluzione normativa
Codice dei contratti pubblici: si cambia ancora!
Non ha tregua la disciplina del settore strategico della contrattualistica pubblica, è stato pubblicato sulla gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 231 del 2 ottobre 2008 il Decreto Legislat...
Giuseppe Formichella
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Argomento: Evoluzione normativa
Lavoratori della sicurezza: novità per la Polizia Penitenziaria e le Guardie Giurate
Rilevanti novità per gli operatori della sicurezza:- in data 6 ottobre nella Gazzetta Ufficiale n. 234/2008 è stato pubblicato il DPR 4 agosto 2008, n. 153 contenente il "Regolamento recante mo...
Alba Caiazzo
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sabato 11 ottobre 2008

Autorità degli insegnanti ed educazione


Capita sempre più spesso, nelle discussioni più disparate, o nei talk show più corrivi, di sentire risuonare la frase “non ci sono più gli insegnanti di una volta”, immancabilmente seguita (o preceduta, poco importa) da quella che afferma: “ ai miei tempi si, che si studiava sodo”.

Come accade frequentemente quando si affrontano di petto i luoghi comuni, una breve analisi critica è in grado di smontare con facilità gli stereotipi.

E anche in questo caso, questa fraseologia un po’ stantia mostra in filigrana quel deposito di conoscenze irriflesse e di pregiudizi infondati che circondano molti fenomeni. Così accade a proposito della perdita di autorità da parte degli insegnanti.

Eppure, mai come in questi anni, si invoca e si chiede più formazione, più educazione, più diffusione della conoscenza. In nome della competizione economica o in riferimento all’aumento e alla specializzazione delle conoscenze necessarie per vivere nelle società complesse, da molte parti si percepisce un crescente deficit di istruzioni, di competenze, di abilità, quali cause di esclusione sociale.
Con grande affanno, ma dedicandovi risorse finanziarie e intellettuali sempre più risicate, tutti però concordano sulla centralità della formazione e dell’educazione per l’accesso da posizioni di forza al “mercato del lavoro” e per evitare il rischio di marginalità economica in relazione alla competizione tra sistemi paese. (1)
Inoltre, si percepisce che tutte le agenzie educative, in primis scuola e sistema universitario, non sono più in grado di far fronte a questo aumento della domanda di formazione e di educazione e si ricorre a quella proliferazione di corsi, master, alte specializzazioni, stages, corsi di perfezionamento ecc. che inseguono o determinano una richiesta di formazione professionalizzata e tendenzialmente già impiegabile su un mercato del lavoro mutevole e complesso. Fenomeno tipico di questi ultimi anni è anche la richiesta di “supplenza educativa” della scuola o di vero e proprio maternage su questioni che prima erano attribuite alla competenza esclusiva delle famiglie. Così vediamo proliferare le educazioni alla salute, le educazioni alla legalità, le educazioni stradali, tutte le educazioni variamente assortite che la fertile fantasia ministeriale o l’emergenza di turno suggeriscono ai Ministri della Pubblica Istruzione.
Si intuisce, con questo sistema basato sull’accumulazione delle educazioni, che un meccanismo di trasmissione di vecchie e nuove conoscenze si è interrotto, ma la progettazione degli interventi o addirittura la modifica dei curricoli rimangono sempre di là da venire.
Da ultimo, al di la dell’inadeguatezza delle istituzioni educative, si lamenta una generica manchevolezza degli insegnanti a trasmettere e a costruire un nucleo solido di conoscenze adeguato alla richieste della società, a causa di una altrettanto generica perdita d’autorità che sarebbe alla base dei molti mali della scuola e del sistema della formazione. Senza considerare la vaghezza e la parzialità di queste accuse (dove stanno infatti, in questo generale sfacelo, le istituzioni e le famiglie?), dove starebbe il fondamento di questa presunta incapacità degli insegnanti a occuparsi della funzione più preziosa di ogni sistema sociale, la trasmissione delle conoscenze?
A chi attribuire, dunque, quella che viene da molti definita la mancanza di autorevolezza degli insegnanti? All’avvento della scolarizzazione di massa? Ai movimenti antiautoritari del ’68? Alle varie riforme della scuola succedutesi nel tempo? All’abolizione del voto di condotta per la promozione?Alla perdita di considerazione sociale del ruolo degli insegnanti?
E se tutto questo non fosse che l’effetto e non la causa di una più generale perdita del principio d’autorità, riguardante in special modo le società occidentali?
Ricordiamo tutti che il principio d’autorità è un potente principio ordinatore, un architrave sul quale edificare le istituzioni, gli ordinamenti legislativi, l’ordine sociale, la conoscenza, l’educazione, la trasmissione del sapere e persino l’attribuzione dei ruoli rispetto al genere. (2)Senza voler rifare a ritroso la storia delle idee a proposito del concetto d’autorità, basti ricordare qui che l’autorità, come concetto, va distinto sia dal potere politico che da quello militare. (3)
Essa ha a che fare con una dimensione quasi sacrale, religiosa, fondativa di ogni potere costituito. Anche in questo caso, non dobbiamo ripercorrere le svolte teoriche e politiche che si sono prodotte nella nostra cultura rispetto alle metamorfosi del principio d’autorità.Ricordiamo qui, per nostra comodità, che relativamente alla concezione del potere dello stato, solo con Machiavelli prima, e con Hobbes e Locke poi, si è affermata una concezione tipicamente moderna dell’autorità, svincolata dai legami religiosi e sacrali. (4)
L’opera di “laicizzazione” dello Stato è stata poi proseguita da Rousseau che, nella sua critica dell’assolutismo, fondava la legittimità dello Stato e delle istituzioni nella volontà popolare. E’ a partire da queste idee fondative, da queste nuove concezioni del principio d’autorità, che si è inaugurata l’età moderna.Cosa c’entra, si chiederanno i lettori, la crisi dell’autorevolezza degli insegnanti e delle istituzioni educative con la teoria dello Stato? In casi come questo ci si confronta con le idee fondanti della nostra civiltà, dove i fondamenti teorici che sono alla base della nostra fisionomia culturale in ambito filosofico, scientifico e letterario, interagiscono fino a delineare una figura precisa, un’autentica dimensione di antropologia culturale.
Quel che qui si intende sostenere è che la crisi del principio di autorità degli insegnanti, dei maestri, dei precettori, dei tutori (e anche dei mâitres a penser ) si radica nel più generale contesto di trasformazione del principio di autorità che ha coinvolto le moderne società occidentali. Processi di questo genere, tuttavia, sono di lunga durata, per cui risulta difficile coglierne le dimensioni e gli effetti. Se ci limitiamo a verificare i sintomi di crisi in settori prepolitici quali la pedagogia o l’istruzione, si vedrà che l’età moderna, nei suoi passaggi storici principali, si è configurata spesso come critica del principio d’autorità, definendosi come moderna proprio in opposizione a princìpi ritenuti antiquati e autoritari.Solo per citarne alcuni, la Riforma luterana, la rivoluzione scientifica di Galilei e Bacone, la nascita degli Stati Nazione e della supremazia della legge, le rivoluzioni liberali e giacobine, le teorie darwiniane, freudiane e marxiane, ecc. sono processi storici, religiosi e teorici che nella loro diversità sono unificati dalla critica del principio d’autorità: tutto deve essere sottoposto al vaglio della critica, della ragione e della sperimentazione. (5)
Allo stesso modo, anche la morale è sottoposta al vaglio della ragione e l’individuazione di ciò che è giusto e ingiusto si misura con i procedimenti razionali. Similmente, anche la configurazione dei ruoli e delle posizioni all’interno dei gruppi sociali si modifica in relazione a queste dinamiche di razionalizzazione e di secolarizzazione. (6)
Il passaggio successivo, che è importante per il discorso che stiamo conducendo, è che i processi di critica al potere autoritario, nelle sue più ampie accezioni – politico, religioso, culturale - , portano ad una trasformazione dei ruoli attribuiti a tutti coloro che per la loro attività si fondano sull’autorità o sull’autorevolezza, come nel caso degli insegnanti.L’autorità funzionale degli insegnanti, per essere veramente efficace, ha bisogno di una asimmetria e una superiorità riconosciute e mantenute come tali, sia in ambito strettamente conoscitivo che in quello più largamente educativo. I ruoli che si stabiliscono nel set educativo non possono essere sottoposti a negoziato, pena il fallimento o l’inefficienza del processo educativo. Ebbene, questo è esattamente ciò che accade. La rottura di questo schema deriva dal lungo processo di critica cui è stato sottoposta ogni forma di potere, ivi compreso il sistema educativo.
Sarebbe abbastanza fuorviante, quindi, riproporre princìpi di autorità ormai consegnati al passato, ampiamente screditati, fuori dalla sensibilità contemporanea, che li considererebbe antistorici; il compito che occorrerà assegnarsi per il futuro è piuttosto quello di ricostituire un’autorevolezza senza autorità e senza autoritarismi. Compito certo non facile.
Esso richiede, per funzionare, che coloro che si confrontano nel campo dell’apprendimento e della trasmissione del sapere, si riconoscano a vicenda e che rispettino i propri ruoli e le rispettive sfere di autonomia. Il riconoscimento reciproco, basato su un piano di uguaglianza sostanziale, oltre che formale, comporta uno scambio negoziale aperto e trasparente. Nulla si toglierebbe, in questo modello, alla superiorità conoscitiva e di esperienza degli insegnanti; allo stesso modo, nulla si toglierebbe, in termini di identità e di autonomia conoscitiva agli studenti, con un modello educativo basato sul rispetto dei ruoli. Un buon insegnante riconosce per primo i limiti delle conoscenze trasmesse, poiché ne conosce il senso complessivo di avventura intellettuale sempre aperta e sottoposta a continua revisione; un docente attento e consapevole sa anche che la scuola non è l’unica agenzia educativa, per quanto conservi ancora una sua centralità. Come dice Seneca, “gli uomini, mentre insegnano, imparano”.
La differenza, davvero rilevante e significativa, rispetto al passato, è che questa relazione aperta e problematica, è sottoposta a revisione di continuo, non è mai data una volta per tutte e va conquistata e costruita ogni giorno. Quanto agli alunni, dovrebbero sapere che la “fatica” della conoscenza e del rispetto delle prerogative degli adulti, saranno ripagate dalla comprensione del proprio ruolo sociale e della propria identità individuale, oltre che da un mondo meno ostile e incomprensibile.
Anche le ultime prese di posizione ministeriali rispetto al voto in condotta, manifestazione materiale del ripristino dell’autorità, non fanno che sottolineare questa distorsione prospettica, dettata più dalla paura e dalla nostalgia che non da una vera comprensione del problema.
Come dice giustamente un grande scrittore francese, Daniel Pennac, “il voto di condotta non è espressione della vera autorità, che nella scuola può essere solo di ordine intellettuale ed esemplare. Viviamo in un periodo segnato da una paura costitutiva cui vengono date risposte autoritarie, formali, insufficienti e chi le propone ha più paura di tutti.”A esemplificare queste parole di Pennac, il libro "La classe", di imminente pubblicazione presso Einaudi, edizione italiana di "Entre les murs", caso letterario che in Francia, grazie ad un passaparola sotterraneo, ha avuto un inaspettato successo, conquistando anche il premio France Culture-Télérama. Il tragicomico resoconto delle vicende dell'autore-prof alle prese con i suoi alunni tra le mura del liceo Mozart ha fatto molto discutere alla sua uscita nel 2006 e da quelle pagine è nato anche l’omonimo film diretto da Laurent Cantet, vincitore quest'anno della Palma d’oro e che vedremo nelle nostre sale a ottobre. Le singole giornate dell'anno scolastico, passano fra scontri e scambi surreali, alle prese con i tentativi degli alunni di districarsi tra gli ausiliari, futuri anteriori e pronomi, e quelli dei professori di trasmettere qualcosa, con un minimo di autorevolezza. Entrambi fallimentari, in un crescendo di frustrazione e situazioni tragiche, che la ripetitività rende comiche, in una scuola descritta con distacco e con l’intento di non emettere giudizi troppo frettolosi.
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NOTE
(1) Si tratta, com’è evidente, di una posizione non neutra, ideologicamente orientata, intorno al rapporto tra conoscenza e lavoro, ma è una tematica che richiederebbe uno studio apposito e che non possiamo affrontare qui.
(2) Con il termine autorità, dal latino auctoritas, derivato a sua volta da augeo, accrescere, si intende quell'insieme di attributi propri di una istituzione, di una singola persona o di gruppi rispetto ai quali i singoli individui si assoggettano in modo volontario (o in modo coercitivo, con l’autoritarismo) per raggiungere finalità eticamente ritenute superiori o degne di particolare attenzione. Come spesso accade è a Platone che va fatta risalire la prima problematizzazione del termine autorità: per il filosofo greco, la vera autorità derivava dalla conoscenza e quindi il fondamento del potere doveva essere in mano ai filosofi. Successivamente, mitiga questa concezione con il richiamo alla necessità di obbedire alle leggi. Aristotele, invece, sostiene che è la natura a stabilire chi è il governante o il governato, tentativo di pari importanza a quello platonico. Per lo stagirita, la natura stabilisce la differenza tra giovani e vecchi; i primi sono destinati ad essere governati e i secondi a governare.Cfr. Platone, La Repubblica, Mondadori, Milano,1990 e Id. Leggi e Aristotele, Politica, Laterza,Roma-Bari,1983. Sulla funzione svolta dall’autorità nelle società complesse, Vedi N.LUHMANN, Potere e complessità sociale, Il Saggiatore, Milano,1979.
(3) La prima, che i romani chiamavano potestas, si riferiva al potere dei magistrati di emanare editti e di farli rispettare; il potere militare, invece, pur provenendo da magistrati, ha caratteristiche più spiccatamente militari.C’è un secondo significato, nella parola auctoritas, “innalzare, elevare”, che specifica la peculiarità della concezione dell’autorità dell’età classica romana: il nucleo centrale di questa concezione è la sacralità della fondazione, nel senso del vincolo che essa rappresenta per tutte le generazioni future. Così i senatores, le autorità del tempo, ricevono l’autorità per tradizione e trasmissione da coloro che avevano posto le fondamenta. Cfr. su questo punto H. ARENDT, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano, 1991. Sulla sacralità dell’autorità, cfr. il fondamentale lavoro di R. GIRARD, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Adelphi. Milano,1983. Al di là del contesto strettamente politico, la parola auctoritas (e degli auctores) aveva un valore intrinseco perché proveniente dalle sacre scritture e dalla rivelazione divina o, nel caso dei romani, dalla fondazione della città. Essendo oggetto di fede, e di osservanza per tradizione, esse erano il riferimento indiscusso ed indiscutibile per ogni campo del sapere e per ogni forma di conoscenza. La forza di questo principio della fondazione e della tradizione viene fatta propria dalla Chiesa cristiana, erede politica e spirituale di Roma.L’auctoritas, infine, era il principio su cui si basava la conoscenza prima del cambio di paradigma rappresentato dalla conoscenza scientifica di Galilei e di Bacone. (4) Vedi N. BOBBIO-M.BOVERO, Società e Stato nella filosofia politica moderna, Il Saggiatore, Milano, 1979. Cfr. N. MACHIAVELLI, Il Principe. Si può leggere l’opera integralmente in formato elettronico all’indirizzo: http://www.liberliber.it/biblioteca/m/machiavelli/il_principe/html/. Cfr. anche Il testo di T. HOBBES, Leviatano, Editori Riuniti, Roma, 2005. Per Hobbes, il potere si fonda interamente sul patto tra popolo e sovrano assoluto, per LOCKE nella libertà ed eguaglianza di tutti gli individui.(5) Relativamente all’accesso e alla trasmissione delle conoscenze, La Riforma Luterana, com’è noto, ha contrastato il primato della Chiesa nell’interpretazione dei testi sacri, dando la possibilità di avvicinarsi autonomamente alle scritture. Quanto alle teorie darwiniane, freudiane e marxiane, con la loro ricerca di princìpi esplicativi tratti dalla natura stessa o dalla cultura umana, è evidente che esse hanno contribuito in modo sostanziale ad un’opera di demistificazione e di razionalizzazione.
(6) Vedi G. MARRAMAO, Potere e secolarizzazione, Editori Riuniti, Roma, 1983.