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domenica 27 settembre 2009

Il rapporto SVIMEZ 2009. I nuovi migranti dal Sud al Nord


In tutte le statistiche e gli studi sul nostro Paese, il Sud rimane sempre indietro.
Come a riprendere le famose tesi sulla “questione meridionale”, nata con parto gemellare insieme all'Unità d'Italia compiuta sotto la corona sabauda, non c'è ricerca, studio, comparazione che non veda il Sud arrancare dietro al Centronord.(1)

A conferma dello stato di difficoltà del mezzogiorno d'Italia, arriva puntuale anche il rapporto SVIMEZ, che a questo proposito assume particolare rilevanza, vista l'impronta tipicamente “meridionalista” delle indagini che l'autorevole istituto ci propone regolarmente. Secondo lo Svimez, leggendo in senso diacronico i voluminosi e dettagliati studi dell'Istituto, nonostante tutti gli interventi di politica economica decisi dalla Repubblica, l'Italia è ancora un paese dualistico.
Il ritratto dell'Italia che ne esce è quello di un sistema con due facce, due modi di produrre e consumare molto diversi tra di loro.

Secondo lo Svimez, negli ultimi sette anni tutto il Sud cresce meno del Centro Nord. Ed è aumentato in modo notevole e poco avvertito il flusso migratorio interno, come un fiume carsico che riemerge a tratti alla coscienza del nostro Paese.
Tra il 1997 e il 2008, infatti, circa 700mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. Solo l'anno passato, sono stati oltre 122 mila i meridionali partiti verso il Centro-Nord a fronte di un rientro di circa 60 mila persone. Oltre l'87% delle partenze e' avvenuto da Puglia, Sicilia e Campania. In quest'ultima regione si e' registrata l'emorragia più forte (-25 mila), a seguire Puglia e Sicilia rispettivamente con 12.200 e 11.600 unita' in meno.

Ma la differenza di sistema più grande e più eclatante, su cui si sono soffermati alcuni organi d'informazione è però relativa all'emigrazione interna massiccia dei giovani laureati del Sud in direzione del Nord.
Non solo. Molti studenti si trasferiscono al Nord ancora prima del conseguimento della laurea e, soprattutto, ci rimangono una volta completato il ciclo d'istruzione. Come nel caso dei migranti che fuggono dalla guerra o dalla fame, e affrontano terribili viaggi della disperazione per afferrare una speranza di vita, così, con minor rischio e per altri scopi, ma con altrettanta determinazione, si spostano i più intraprendenti e i più capaci.
Per andare a utilizzare idee, capacità e competenze nel Nord del Paese o all'estero, un numero impressionante di giovani lascia la propria terra e affronta l'incognita di un nuovo inizio.
A questo proposito un indicatore utile è costituito dalla diminuzione dei laureati negli atenei meridionali. «Nel 2004 partiva il 25% dei laureati meridionali con il massimo dei voti - dice il Rapporto -; tre anni più tardi la percentuale è balzata a quasi il 38%».
Da notare, dicono gli analisti Svimez, che «i laureati meridionali che si spostano dopo la laurea al Centro-nord vanno incontro a contratti meno stabili rispetto a chi rimane, ma a uno stipendio più alto. Il 50% dei giovani "immobili al Sud" non arriva a 1.000 euro al mese, mentre il 63% di chi è partito dopo la laurea guadagna tra 1.000 e 1.500 euro e oltre il 16% più di 1.500 euro».
Su quest'ultimo punto, sulla migrazione interna dei cervelli, proviamo ad avanzare almeno due considerazioni.
La prima di esse riguarda la questione del calo demografico del Mezzogiorno. Questo continuo deflusso di giovani altamente scolarizzati e di altri lavoratori attivi, condizionerà in modo fortemente negativo l'evoluzione complessiva delle Regioni del Sud, tradizionale serbatoio demografico in attivo, almeno fino a pochi anni fa. Una pessima e fallimentare gestione dei fondi europei, quando non ha portato ad ingrassare le cosche criminali, ha avuto come esito nefasto un calo economico e un calo della natalità.
Come non mancano di rilevare i ricercatori dello Svimez, questo decremento demografico, se proseguirà con questi ritmi, “ in poco più di un ventennio porterà al declino demografico; il Sud, dagli attuali 20,8 milioni di abitanti diminuirà a 19,3 milioni e vedrà crescere considerevolmente il peso delle classi di età anziane e vecchie: una persona su tre avrà più di 65 anni e una su dieci più di 80 anni. Soltanto poco più di un meridionale su tre (il 36,7 %) avrà meno di 40 anni, e i giovani sotto i vent'anni scenderanno al 17%.”
La seconda considerazione, doverosa, riguarda l'interrogativo da porsi sulle strutture Universitarie del Sud prese nel loro complesso. Dal tipo di scelte compiute dai giovani meridionali, sembrerebbe profilarsi una predilezione marcata per le Università del Centro e del Nord.
Quando invece si scelgono le Università del Sud – e ci sono anche strutture eccellenti, almeno stando a quanto riportato dalle varie classifiche annuali del “Sole 24 Ore” e di “La Repubblica”- la ricerca di un posizionamento migliore sul mercato del lavoro ha come conseguenza, come abbiamo detto, la migrazione verso il Nord.(2)
Rimane da chiedersi quanto il sistema dell'istruzione – e il sistema Italia nel suo complesso - possa sostenere questo “lusso” di formare un numero rilevante di giovani per poi vederli andare altrove, sia al Centro Nord sia all'estero.


NOTE


1)I più acuti tra i meridionalisti, come Villari, hanno parlato di un'Italia riunificata senza aver affrontato e risolto i profondi squilibri economici e territoriali che già allora dividevano l'Italia tra un Nord con un modello di sviluppo simile a quello dei più avanzati paesi europei e un Sud in mano ai latifondisti e con una struttura sociale di tipo quasi feudale. Si possono leggere online le “Lettere meridionali” dell'illustre studioso a http://bepi1949.altervista.org/villari/villari.html.
2)I costi sostenuti per formare uno studente, stando ai dati Ocse, sono davvero ingenti. Vedi http://ocde.p4.siteinternet.com/publications/doifiles/962008041P1G011.xls.

giovedì 27 agosto 2009

Rapporto Istat 2008: Italia in difficoltà al Sud e sempre più multietnica


E' stato presentato a Roma, nello scorso mese di maggio, il consueto rapporto annuale ISTAT, relativo all'anno appena trascorso.(1)

Questo nuovo rapporto Istat del 2008 ci racconta di un'Italia dove cresce la disoccupazione, dove aumentano le differenze tra Nord e Sud e dove si registra un aumento della popolazione residente, soprattutto grazie all'arrivo di nuovi stranieri e all'alta natalità di quelli già residenti.

E' il ritratto di un paese in mutamento, disomogeneo territorialmente e con una sempre crescente presenza di stranieri.

Anche se la lettura delle cifre non è sempre appassionante, si tratta di una raccolta di dati preziosa e scientificamente accurata di molti fenomeni che sono spesso sovra o sottostimati, a seconda se si collocano o meno al centro delle attenzioni mediatiche e del dibattito politico.

Vediamo per grandi blocchi tematici le aree di maggior interesse.

DISAGIO ECONOMICO
Circa la metà delle famiglie (il 45% del totale, 10 milioni di nuclei familiari), a reddito alto o medio alto, che vivono nel Nord Italia non hanno avuto livelli apprezzabili di disagio economico, mentre circa il 10 % delle famiglie, circa due milioni e mezzo in tutto, soffrono difficoltà economiche sensibili, soprattutto in presenza di spese impreviste, stimate dall'Istituto di ricerca in una somma che si aggira intorno ai 700 euro.
Circa un milione e 330 mila, il 5,5 per cento, sono invece le famiglie occasionalmente in difficoltà per le spese alimentari, mediche e quelle per i trasporti.
Il 6,3 per cento, un milione e 500 mila circa, sono infine le famiglie con gravi problemi di bilancio, in lotta contro bollette, affitto, e spese di prima necessità.
In questo caso la prevalenza geografica del disagio, è da rintracciarsi al Sud, dove si addensa il maggior numero di famiglie con più di tre figli o con la presenza di un solo genitore o con il maggior numero di inoccupati.

OCCUPAZIONE
Rallenta l’occupazione, attestandosi intorno allo 0,8 per cento, ovvero solo circa 183 mila persone in più rispetto al 2007, dato per la prima volta inferiore ai livelli di disoccupazione. L’incremento ha interessato esclusivamente le regioni del Nord e del Centro, con variazioni rispettivamente dell’1,2 e dell’1,5 per cento, mentre nel Mezzogiorno l’occupazione è diminuita dello 0,5 per cento.
Il rapporto evidenzia anche una differenza tra i lavoratori «standard», cioè a tempo pieno e durata indeterminata, che sono circa 18 milioni, tra quelli «parzialmente standard», cioè a tempo parziale e con durata non predeterminata, che sono circa 2,6 milioni, e gli atipici, i dipendenti, a termine e i collaboratori, che sono quasi 2,8 milioni.
Aumentano i lavoratori stranieri, passando al 7,5 per cento, con un picco del 9 per cento nel Centro-Nord, nonostante la flessione dell’occupazione. In crescita anche il lavoro femminile, che si attesta al 39,9 per cento e a un tasso di occupazione salito al 47,2 per cento, ma siamo ancora lontani dal dato europeo, dove le donne rappresentano il 44,8 per cento dell’occupazione totale.
Si evidenzia una forte flessione degli occupati nell’industria, che rispetto al 2007 sono scesi di circa 63 mila unità, cioè dell’1,2 per cento, e nell’agricoltura, scesi del 3,1 per cento, pari a 28 mila persone, con un relativo aumento del ricorso alla cassa integrazione; risulta ancora in crescita il terziario.
E riappare una disoccupazione che investe anche gli stranieri, toccando l’8,5 per cento, due decimi di punto in più rispetto al 2007, portando cioè a 26 mila gli stranieri in cerca di lavoro in più rispetto all’anno precedente, pari a circa 162 mila unità.
Per quanto riguarda la perdita del lavoro il 2008 si distingue per una crescita del dato, rispetto all'anno precedente, del 54 per cento. Sette uomini su dieci dichiarano di aver perso il lavoro soprattutto nella trasformazione industriale e nelle costruzioni, dato confermato anche per i lavoratori stranieri.

POPOLAZIONE
Cresce la popolazione residente, con un aumento pari a 434 mila unità e con un tasso d’incremento del 7,3 per mille, dovuto esclusivamente, secondo il Rapporto Istat, agli stranieri, che salgono così a quasi 3 milioni e 900 mila unità, pari al 5,8 per cento della popolazione totale, con un massimo al Nord del l’8,1 per cento e un minimo al Sud, con un 2 per cento.
È di nazionalità rumena la comunità più numerosa, con circa 780 mila persone.
La gran parte degli stranieri circa l’87,5 per cento del totale, risiede al Centro e nel Nord Italia, interessando soprattutto l’Emilia-Romagna, la Lombardia e il Veneto.
Il 22,2 per cento degli stranieri residenti, invece, è costituito da minorenni, pari a 761 mila unità, in aumento di circa 94 mila unità rispetto al 2007.
Questo incremento è determinato per circa i due terzi dalle nascite in Italia da genitori entrambi stranieri, che nel 2007 sono state più di 64 mila, mentre nel resto dei casi si tratta di ricongiungimenti familiari.
Interessante il confronto sulla natalità. Nel 2007 il numero medio di figli è pari a 1,28 per le donne italiane e a 2,40 per le straniere. Durante il 2007 sono stati oltre 34 mila i matrimoni con almeno uno sposo straniero, il 13,8 per cento del totale dei matrimoni registrati in Italia, cioè circa 250 mila.

URBANIZZAZIONE
L'Istat continua a rilevare l'espansione delle aree urbanizzate in Italia, con un incremento preoccupante del cemento in media di 22 metri cubi per abitante. Il Rapporto constata che quest'espansione si è verificata «in assenza di pianificazione urbanistica sovracomunale».Tra le Regioni che hanno visto un incremento maggiore dell'urbanizzazione troviamo il Molise, la Puglia, le Marche, la Basilicata e il Veneto, aree in cui la corsa all'edificazione è più accentuata. In Veneto, che già dal 1991 condivideva con la Lombardia il primato della regione con più costruzioni in Italia, le superfici edificate sono cresciute ancora del 5,4%, «approssimando situazioni di saturazione territoriale».

SCUOLA
La crescita del numero degli stranieri nel nostro Paese ha cambiato in profondità anche la composizione delle popolazione scolastica.Nell'anno scolastico 2007-08 gli alunni stranieri presenti nelle scuole italiane sono a quota 574 mila, con un rapporto di 6,4 studenti non italiani ogni 100 iscritti. La maggior presenza di studenti stranieri si registra nelle scuole primarie, sia in termini assoluti (218 mila) sia relativi (7,7 ogni 100 iscritti). Nelle scuole secondarie di secondo grado, invece, l'incidenza di alunni stranieri è più contenuta con una media 4,3 ogni 100 iscritti.

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NOTE
1) Vedi http://www.istat.it/dati/catalogo/20090526_00/.