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domenica 15 maggio 2011
Accesso a Internet nella Costituzione. Una proposta legislativa
Nel corso degli ultimi anni la dimensione della “policy” nella gestione tecnica della rete delle reti è diventata sempre più centrale nelle sedi politiche internazionali come nei contesti nazionali, nel tentativo di allineare i tempi delle decisioni politiche con la crescita tumultuosa della società della conoscenza.
Come da più parti è stato osservato, non è possibile misconoscere le enormi potenzialità legate a Internet in termini di diffusione di conoscenza come non è possibile, per altri versi, esimersi dalla regolazione democratica e trasparente del’intero sistema di garanzie e diritti che la rete richiede.
Nei mesi scorsi, presso la sede italiana dell'Internet Governance Forum (1) che annualmente riunisce attorno a tavoli di lavoro tematici i diversi soggetti (cittadini, enti locali, università e imprese) coinvolti nell'utilizzo e nello sviluppo della rete, è stato presentato il testo di un articolo di modifica della Costituzione italiana, l’art. 21 bis, che espande e precisa il senso della libertà d’espressione e del diritto all’informazione alla luce delle profonde modifiche tecnologiche introdotte dalle reti di telecomunicazione e, in particolar modo, del ruolo di Internet per la conoscenza e l’informazione.
Questo il testo dell’articolo proposto, frutto di un accurato lavoro che ha coinvolto anche il linguista professor Tullio De Mauro: “Tutti hanno eguale diritto di accedere alla Rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale”.
Per chi ha dimestichezza con la Costituzione si vede che si tratta di un intervento di tutto rispetto, visto che va a incidere sulla Prima Parte della Carta Costituzionale, quella dei diritti e doveri dei cittadini.
Essendo una materia ancora da plasmare, il dibattito tra gli stakeholders e gli esperti si è fatto abbastanza serrato e non sono mancate critiche e distinguo. Prima di affrontarle, è bene capire qual è la ratio di una norma di rango costituzionale come questa.
La collocazione nell’alveo dell’art. 21, infatti, “trasformerebbe” Internet in un diritto fondamentale, una precondizione tecnologica necessaria per la completa applicazione della libertà d'espressione e del diritto ad essere informati, a loro volta condizioni fondamentali per il pieno esercizio della cittadinanza.
Per rendere effettivo questo “complesso” di diritti, diventa indispensabile un intervento pubblico finalizzato a intervenire sul digital divide, il divario digitale.
Com’ è noto il divario digitale ha fondamentalmente due aspetti, uno tecnologico ed uno formativo. Con il primo aspetto si individuano le difficoltà nelle possibilità di accesso alla rete tra cittadini italiani più o meno serviti da connessioni a banda larga; con il secondo aspetto si individua la capacità degli utenti di essere più o meno in grado di utilizzare proficuamente le risorse informative e conoscitive offerte dalle reti di comunicazione.
Come si diceva, le reazioni a questa proposta non sono mancate. Tra i più severi critici coloro che considerano questo tipo di norme come una forma di interventismo statale, inefficace per la natura transnazionale delle reti e pericoloso per le libertà democratiche. Altri l’hanno criticata per la sostanziale inutilità, poiché la lettura combinata degli artt. 21 e 3 della Costituzione sarebbe più che sufficiente a tutelare la libertà di accesso alla Rete.
Per concludere, va detto che la costituzionalizzazione di Internet avrebbe il pregio di offrire una cornice generale alla legislazione ordinaria, evitando i rischi di normative scollegate tra di loro e in contraddizione con i principi democratici fondamentali. Questo tipo di tematiche, però, stenta a trasformarsi in un argomento di dibattito centrale per l’opinione pubblica, come se in fondo si trattasse di mere questioni tecniche che non incidono profondamente sul concreto esercizio dei diritti di cittadinanza e sullo sviluppo degli individui e della società nel suo complesso.
Dovrebbe essere sempre più chiaro, però, che Internet riguarda o riguarderà tutti.
NOTE
1) Vedi http://www.igf-italia.it/. La proposta è stata elaborata dal giurista Stefano Rodotà, attento conoscitore delle problematiche apportate da Internet alle società democratiche. La proposta è approdata in Parlamento ed è contenuta nel disegno di legge 2485 presentato da 16 senatori. La rivista Wired Italia ha lanciato da qualche tempo una petizione online sull’argomento: http://mag.wired.it/news/diritto-internet2911.html.
Tratto da:
Rivista Lavoro e post mercato n. 104
domenica 27 luglio 2008
Il “mercato” del lavoro. Per una concezione non mercantile del lavoro.

L’anno 2008 è il 60° anno dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Numerose e varie sono state e saranno le celebrazioni, fin qui piuttosto rituali. Un così lungo intervallo di tempo consente un qualche consuntivo sui decenni trascorsi, almeno per le promesse che la Carta Costituzionale portava con sé, in termini di democrazia e di difesa dei diritti.
E non v’è dubbio che la “costruzione” dell’Italia repubblicana ha portato, nel corso della vita istituzionale e nel tessuto vivo della democrazia italiana, un segno profondo in termini di giustizia e di libertà civile. Più difficoltoso risulta invece operare un bilancio e un progetto condiviso sul futuro della Costituzione e sulle cosiddette “riforme costituzionali”. Qua e la, nel media mainstream, si sente spesso anche il richiamo alla necessità, letta nella chiave del presente e nella prospettiva delle maggioranze parlamentari di turno, di “ammodernare” le vetuste e polverose istituzioni repubblicane.
Più coerentemente, il costituzionalista G. Zagrebelsky, forte dell’esperienza compiuta nei numerosi incontri con gli adolescenti delle scuole e con gli uditori più disparati, per sottolineare l’importanza e la centralità della Costituzione, ha sempre sottolineato l’ethos piuttosto che la dottrina, la fatica della comprensione intima e dell’applicazione del costume democratico invece della celebrazione retorica e paludata della Carta.(1)
Sulla scia di una lunga e prestigiosa tradizione intellettuale, il Presidente emerito della Corte Costituzionale ha sempre voluto far emergere l’elemento della introiezione del dettato costituzionale, fin nei minimi comportamenti quotidiani e nelle scelte concrete della vita, piuttosto che l’elemento conoscitivo e di astrazione intellettuale, peraltro importante. (2)
E tuttavia, non occorre sfuggire al lavoro ermeneutico intorno alla relazione tra i dibattiti attuali intorno al tema del lavoro e i valori e i principi legislativi della nostra Costituzione.Proprio in riferimento ai vari dibattiti in corso sul mondo del lavoro, in auge da oltre un ventennio, sui diritti intermittenti dei lavoratori precari, sulla giusta retribuzione, sulla rappresentanza sindacale, sulla fine dell’era fordista e l’avvento del postfordismo, sulla ristrutturazione del sistema del Welfare, la Carta ha sempre posto argini molto precisi intorno alla “giusta” retribuzione, ovvero garantire un’esistenza libera e dignitosa ai lavoratori, tanto più di fronte ai tentativi, in verità piuttosto maldestri e subito respinti, di introdurre la libertà d’impresa nel novero dei principi costituzionali. Anche lo stucchevole e ipocrita dibattito sulla difficoltà di molti lavoratori dipendenti di “arrivare alla quarta settimana”, dimentica lo sforzo progettuale, prima ancora che normativo, dei costituenti, il cui intento principale era quello di collegare alla categoria del lavoro quello della dignità e della libertà, al posto di una reductio economicista, improntata al ciclo produzione-consumo. Visto in quest’ultima prospettiva, il reddito da lavoro diventa variabile interna e dipendente del ciclo economico, misurata con il minuzioso sistema di attribuzione ed estrazione di valore economico, inclusa interamente nelle categorie di mercato e di domanda-offerta di beni. Il lavoro diventa interamente merce e come tale sussunto entro una logica di scambio di valore. Tutto ciò che sta al di fuori, confligge culturalmente, prima che politicamente o sindacalmente, con la logica “mercatista”.Eppure, sia detto qui in termini non esaustivi, una lettura anche superficiale degli atti dell’assemblea costituente evidenzia la grande lungimiranza e lo straordinario senso di equilibrio di una visione dei rapporti di lavoro sottratti ad una logica puramente mercantile, appunto mercatista(3), con la proposta di un compromesso “alto” tra iniziativa privata e la salvaguardia della “sicurezza, della libertà e della dignità umana”.
Nei decenni successivi alla creazione della Repubblica, negli anni cioè della formazione della Repubblica e del suo costituirsi come organismo vivo, dopo lo sviluppo tumultuoso e quasi selvaggio del “miracolo economico”, le lotte sindacali e politiche del decennio 1960-70 hanno rinnovato e richiamato il dettato costituzionale, seppure in termini disorganici (4), intorno alla protezione delle classi più deboli. Per arrivare all’oggi, la specificità del sistema economico italiano, quello che viene attualmente definito “quarto capitalismo”, vale a dire un sistema in cui si nota l’assenza di grandi conglomerati industriali e la frammentazione, decentralizzazione e “distrettualizzazione” dei sistemi produttivi, insieme all’attuale processo di globalizzazione e liberalizzazione dei mercati delle merci e dei capitali, hanno introdotto molti elementi di complessità, tali da rendere sempre più difficoltosa e impervia ogni ipotesi di governance dei processi economici globali e nazionali.La nozione di lavoro dipendente si è diversificata e la stessa nozione di “luogo di lavoro” si è dilatata al di fuori di un contesto “definito”, come era la fabbrica fordista. In aggiunta a questi processi di struttura, sono aumentate e innovate le attribuzioni di valore culturale dell’intera società intorno al mondo del lavoro, inteso sempre più in termini ambivalenti e contraddittori.Da un lato si assiste ad un processo di “accrescimento” dell’identità personale per mezzo del lavoro, con il tentativo di attrarre nella sfera del lavoro elementi tipici della dimensione individuale, come il diritto alla riservatezza o il diritto a salvaguardare le più importanti e profonde aspirazioni esistenziali, morali o religiose, insieme al consueto investimento di valore in termini di emancipazione e di mobilità sociale.Dall’altro, tuttavia, gli attuali processi di frammentazione del mercato del lavoro e la proliferazione delle forme contrattuali e dei luoghi di produzione di beni e servizi, hanno reso sempre più faticoso ricondurre ad unità il mondo del lavoro nel suo complesso, con la risultante di una difficoltà sempre crescente di accesso al mondo del lavoro delle giovani generazioni e delle donne e con la mancanza di senso e di futuro dei nuovi lavori, residuali, sottopagati e spesso di qualità enormemente più bassa rispetto alle competenze e alle professionalità potenziali. In questa oscillazione tra pienezza e assenza di senso (5), il lavoro si connota sempre più come il risultato di un negoziato individuale, segreto, vagamente ricattatorio, incluso in logiche feudali di elargizione e di benevolenza, sottoposto ai più ripugnanti processi di costruzione e scambio di potere.
In un sistema in cui l’offerta di beni e servizi sopravanza di gran lunga la capacità della domanda a causa di redditi di pura sopravvivenza o vicini alla soglia della povertà, il lavoro si trova schiacciato in questa morsa di scarsità e di irrilevanza, di richiesta di senso e di identità e di assenza di futuro e di emancipazione. Da quest’interazione tra offerta di lavoro in termini di competizione e flessibilità e tra richieste di senso della funzione sociale del lavoro, laddove il lavoro è pur sempre il cardine fondamentale per la socializzazione e per la promozione della qualità dell’esistenza, viene la richiesta di un nuovo “statuto” del lavoro, solo in parte ricostruito da quella giurisprudenza che interpreta la norma secondo un’ispirazione costituzionale, con lo sforzo di avvicinarsi sempre più all’evoluzione della coscienza collettiva.
Così, con sempre maggiore frequenza, si è preteso e si pretende che il datore di lavoro sia chiamato a prevenire il verificarsi del danno all’integrità fisica o alla personalità del lavoratore, mediante misure adeguate a che il danno (molestie sessuali, mobbing, violazione della privacy) provocato da comportamenti immateriali, non meno che quello causato da infortuni o malattie professionali, vada risarcito ben oltre la mera restituzione monetaria delle perdite materiali: è il caso del risarcimento del danno biologico del lavoratore inteso come perdita di opportunità nella vita di relazione della persona intesa unitariamente.La migliore ispirazione del diritto del lavoro, che filtra anche attraverso le maglie strette del riduzionismo economicista, si orienta sempre più verso una concezione evolutiva dell’individuo e delle relazioni sociali, dato che la Costituzione gli richiede un progetto coerente per una umanità affrancata dal bisogno, come da ogni umiliazione.Si tratta, infine, di un progetto non solo nazionale.
A livello sovranazionale, è aperta la partita se la fine del fordismo debba decretare anche la fine del Welfare.Nell’Europa allargata, dopo la brusca battuta di arresto del referendum francese che ha imposto una decisiva decelerazione dei processi unitari e federativi, è in atto un confronto molto difficoltoso, anche per le differenti tradizioni culturali e normative, per la elaborazione di una strategia politica e giuridica condivisa di regolazione sovranazionale dei diritti. La sfida dell’oggi è quella di riuscire ad elaborare dei sistemi sovranazionali in equilibrio tra istanze di protezione sociale e momenti di progettazione adatti alle nuove condizioni indotte dalla crisi degli Stati-Nazione e dalle loro sempre più deboli capacità regolatrici. (6)
_________________________
NOTE
(1) Nel suo pensiero giuridico, l’A. ha sempre insistito sulla necessaria complementarietà degli aspetti formali e sostanziali del diritto, frutto dell’equilibrio tra lex e ius. Vedi ad es. Id. Il diritto mite. Leggi, Diritti, giustizia, Einaudi, Torino, 1992.
(2) Cfr. M: VIROLI, Repubblicanesimo, Laterza, Roma-Bari, 1999; N. BOBBIO-M.VIROLI, Dialogo intorno alla Repubblica, Laterza, Roma-Bari, 2001; G.E.RUSCONI, Patria e Repubblica, Il Mulino, Bologna, 1997.Si veda anche la raccolta di saggi di N. BOBBIO, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 2005. Vedi anche l’intervento di S. ROSSI, La Presidenza Ciampi nel segno del patriottismo costituzionale, in http://www.forumcostituzionale.it/site/paper-del-forum.html .(3)
Vedi L. GALLINO, La flessibilità è riformabile, Laterza, Roma-Bari, 2001 e il più recente: Id. , Il lavoro non è merce. Contro la flessibilità, Laterza, Roma-Bari, 2007.
(4) Il richiamo è quello alle leggi sul lavoro degli anni ’70: Statuto dei Lavoratori, processo del lavoro, tutela degli invalidi, garanzie per la maternità, ecc.
(5) Vedi il bel libro di R. SENNETT, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, Milano, 2002.
(6) Si veda il libro di J.RIFKIN, Il sogno europeo, Mondadori, Milano, 2005. L’A. ha individuato nell’Europa il sistema più avanzato di tutela e salvaguardia dei diritti, dato che essa privilegia “lo sviluppo sostenibile sulla crescita materiale, [dei]diritti umani e diritti della natura piuttosto che il diritto di proprietà”, contrariamente al modello statunitense “ troppo concentrato sul progresso materiale degli individui per poter essere rilevante in un mondo di rischi crescenti, diversità e interdipendenza”. Ivi
E non v’è dubbio che la “costruzione” dell’Italia repubblicana ha portato, nel corso della vita istituzionale e nel tessuto vivo della democrazia italiana, un segno profondo in termini di giustizia e di libertà civile. Più difficoltoso risulta invece operare un bilancio e un progetto condiviso sul futuro della Costituzione e sulle cosiddette “riforme costituzionali”. Qua e la, nel media mainstream, si sente spesso anche il richiamo alla necessità, letta nella chiave del presente e nella prospettiva delle maggioranze parlamentari di turno, di “ammodernare” le vetuste e polverose istituzioni repubblicane.
Più coerentemente, il costituzionalista G. Zagrebelsky, forte dell’esperienza compiuta nei numerosi incontri con gli adolescenti delle scuole e con gli uditori più disparati, per sottolineare l’importanza e la centralità della Costituzione, ha sempre sottolineato l’ethos piuttosto che la dottrina, la fatica della comprensione intima e dell’applicazione del costume democratico invece della celebrazione retorica e paludata della Carta.(1)
Sulla scia di una lunga e prestigiosa tradizione intellettuale, il Presidente emerito della Corte Costituzionale ha sempre voluto far emergere l’elemento della introiezione del dettato costituzionale, fin nei minimi comportamenti quotidiani e nelle scelte concrete della vita, piuttosto che l’elemento conoscitivo e di astrazione intellettuale, peraltro importante. (2)
E tuttavia, non occorre sfuggire al lavoro ermeneutico intorno alla relazione tra i dibattiti attuali intorno al tema del lavoro e i valori e i principi legislativi della nostra Costituzione.Proprio in riferimento ai vari dibattiti in corso sul mondo del lavoro, in auge da oltre un ventennio, sui diritti intermittenti dei lavoratori precari, sulla giusta retribuzione, sulla rappresentanza sindacale, sulla fine dell’era fordista e l’avvento del postfordismo, sulla ristrutturazione del sistema del Welfare, la Carta ha sempre posto argini molto precisi intorno alla “giusta” retribuzione, ovvero garantire un’esistenza libera e dignitosa ai lavoratori, tanto più di fronte ai tentativi, in verità piuttosto maldestri e subito respinti, di introdurre la libertà d’impresa nel novero dei principi costituzionali. Anche lo stucchevole e ipocrita dibattito sulla difficoltà di molti lavoratori dipendenti di “arrivare alla quarta settimana”, dimentica lo sforzo progettuale, prima ancora che normativo, dei costituenti, il cui intento principale era quello di collegare alla categoria del lavoro quello della dignità e della libertà, al posto di una reductio economicista, improntata al ciclo produzione-consumo. Visto in quest’ultima prospettiva, il reddito da lavoro diventa variabile interna e dipendente del ciclo economico, misurata con il minuzioso sistema di attribuzione ed estrazione di valore economico, inclusa interamente nelle categorie di mercato e di domanda-offerta di beni. Il lavoro diventa interamente merce e come tale sussunto entro una logica di scambio di valore. Tutto ciò che sta al di fuori, confligge culturalmente, prima che politicamente o sindacalmente, con la logica “mercatista”.Eppure, sia detto qui in termini non esaustivi, una lettura anche superficiale degli atti dell’assemblea costituente evidenzia la grande lungimiranza e lo straordinario senso di equilibrio di una visione dei rapporti di lavoro sottratti ad una logica puramente mercantile, appunto mercatista(3), con la proposta di un compromesso “alto” tra iniziativa privata e la salvaguardia della “sicurezza, della libertà e della dignità umana”.
Nei decenni successivi alla creazione della Repubblica, negli anni cioè della formazione della Repubblica e del suo costituirsi come organismo vivo, dopo lo sviluppo tumultuoso e quasi selvaggio del “miracolo economico”, le lotte sindacali e politiche del decennio 1960-70 hanno rinnovato e richiamato il dettato costituzionale, seppure in termini disorganici (4), intorno alla protezione delle classi più deboli. Per arrivare all’oggi, la specificità del sistema economico italiano, quello che viene attualmente definito “quarto capitalismo”, vale a dire un sistema in cui si nota l’assenza di grandi conglomerati industriali e la frammentazione, decentralizzazione e “distrettualizzazione” dei sistemi produttivi, insieme all’attuale processo di globalizzazione e liberalizzazione dei mercati delle merci e dei capitali, hanno introdotto molti elementi di complessità, tali da rendere sempre più difficoltosa e impervia ogni ipotesi di governance dei processi economici globali e nazionali.La nozione di lavoro dipendente si è diversificata e la stessa nozione di “luogo di lavoro” si è dilatata al di fuori di un contesto “definito”, come era la fabbrica fordista. In aggiunta a questi processi di struttura, sono aumentate e innovate le attribuzioni di valore culturale dell’intera società intorno al mondo del lavoro, inteso sempre più in termini ambivalenti e contraddittori.Da un lato si assiste ad un processo di “accrescimento” dell’identità personale per mezzo del lavoro, con il tentativo di attrarre nella sfera del lavoro elementi tipici della dimensione individuale, come il diritto alla riservatezza o il diritto a salvaguardare le più importanti e profonde aspirazioni esistenziali, morali o religiose, insieme al consueto investimento di valore in termini di emancipazione e di mobilità sociale.Dall’altro, tuttavia, gli attuali processi di frammentazione del mercato del lavoro e la proliferazione delle forme contrattuali e dei luoghi di produzione di beni e servizi, hanno reso sempre più faticoso ricondurre ad unità il mondo del lavoro nel suo complesso, con la risultante di una difficoltà sempre crescente di accesso al mondo del lavoro delle giovani generazioni e delle donne e con la mancanza di senso e di futuro dei nuovi lavori, residuali, sottopagati e spesso di qualità enormemente più bassa rispetto alle competenze e alle professionalità potenziali. In questa oscillazione tra pienezza e assenza di senso (5), il lavoro si connota sempre più come il risultato di un negoziato individuale, segreto, vagamente ricattatorio, incluso in logiche feudali di elargizione e di benevolenza, sottoposto ai più ripugnanti processi di costruzione e scambio di potere.
In un sistema in cui l’offerta di beni e servizi sopravanza di gran lunga la capacità della domanda a causa di redditi di pura sopravvivenza o vicini alla soglia della povertà, il lavoro si trova schiacciato in questa morsa di scarsità e di irrilevanza, di richiesta di senso e di identità e di assenza di futuro e di emancipazione. Da quest’interazione tra offerta di lavoro in termini di competizione e flessibilità e tra richieste di senso della funzione sociale del lavoro, laddove il lavoro è pur sempre il cardine fondamentale per la socializzazione e per la promozione della qualità dell’esistenza, viene la richiesta di un nuovo “statuto” del lavoro, solo in parte ricostruito da quella giurisprudenza che interpreta la norma secondo un’ispirazione costituzionale, con lo sforzo di avvicinarsi sempre più all’evoluzione della coscienza collettiva.
Così, con sempre maggiore frequenza, si è preteso e si pretende che il datore di lavoro sia chiamato a prevenire il verificarsi del danno all’integrità fisica o alla personalità del lavoratore, mediante misure adeguate a che il danno (molestie sessuali, mobbing, violazione della privacy) provocato da comportamenti immateriali, non meno che quello causato da infortuni o malattie professionali, vada risarcito ben oltre la mera restituzione monetaria delle perdite materiali: è il caso del risarcimento del danno biologico del lavoratore inteso come perdita di opportunità nella vita di relazione della persona intesa unitariamente.La migliore ispirazione del diritto del lavoro, che filtra anche attraverso le maglie strette del riduzionismo economicista, si orienta sempre più verso una concezione evolutiva dell’individuo e delle relazioni sociali, dato che la Costituzione gli richiede un progetto coerente per una umanità affrancata dal bisogno, come da ogni umiliazione.Si tratta, infine, di un progetto non solo nazionale.
A livello sovranazionale, è aperta la partita se la fine del fordismo debba decretare anche la fine del Welfare.Nell’Europa allargata, dopo la brusca battuta di arresto del referendum francese che ha imposto una decisiva decelerazione dei processi unitari e federativi, è in atto un confronto molto difficoltoso, anche per le differenti tradizioni culturali e normative, per la elaborazione di una strategia politica e giuridica condivisa di regolazione sovranazionale dei diritti. La sfida dell’oggi è quella di riuscire ad elaborare dei sistemi sovranazionali in equilibrio tra istanze di protezione sociale e momenti di progettazione adatti alle nuove condizioni indotte dalla crisi degli Stati-Nazione e dalle loro sempre più deboli capacità regolatrici. (6)
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NOTE
(1) Nel suo pensiero giuridico, l’A. ha sempre insistito sulla necessaria complementarietà degli aspetti formali e sostanziali del diritto, frutto dell’equilibrio tra lex e ius. Vedi ad es. Id. Il diritto mite. Leggi, Diritti, giustizia, Einaudi, Torino, 1992.
(2) Cfr. M: VIROLI, Repubblicanesimo, Laterza, Roma-Bari, 1999; N. BOBBIO-M.VIROLI, Dialogo intorno alla Repubblica, Laterza, Roma-Bari, 2001; G.E.RUSCONI, Patria e Repubblica, Il Mulino, Bologna, 1997.Si veda anche la raccolta di saggi di N. BOBBIO, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 2005. Vedi anche l’intervento di S. ROSSI, La Presidenza Ciampi nel segno del patriottismo costituzionale, in http://www.forumcostituzionale.it/site/paper-del-forum.html .(3)
Vedi L. GALLINO, La flessibilità è riformabile, Laterza, Roma-Bari, 2001 e il più recente: Id. , Il lavoro non è merce. Contro la flessibilità, Laterza, Roma-Bari, 2007.
(4) Il richiamo è quello alle leggi sul lavoro degli anni ’70: Statuto dei Lavoratori, processo del lavoro, tutela degli invalidi, garanzie per la maternità, ecc.
(5) Vedi il bel libro di R. SENNETT, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, Milano, 2002.
(6) Si veda il libro di J.RIFKIN, Il sogno europeo, Mondadori, Milano, 2005. L’A. ha individuato nell’Europa il sistema più avanzato di tutela e salvaguardia dei diritti, dato che essa privilegia “lo sviluppo sostenibile sulla crescita materiale, [dei]diritti umani e diritti della natura piuttosto che il diritto di proprietà”, contrariamente al modello statunitense “ troppo concentrato sul progresso materiale degli individui per poter essere rilevante in un mondo di rischi crescenti, diversità e interdipendenza”. Ivi
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