sabato 28 marzo 2009

Economia sostenibile e nuovi lavori. Dalla Green Economy ai green works


Tra i primi atti della Presidenza Obama, una delle decisioni più importanti prese dal neo-Presidente riguarda l'avvio della cosiddetta green economy, l'economia verde.(1)

Benchè molti commentatori abbiano puntato la loro attenzione sull'immane quantità di aiuti al sistema produttivo industriale e bancario statunitense ormai al collasso, pochi si sono soffermati su quello che è possibile considerare un mutamento culturale strutturale di ciò che si intende per sviluppo e su ciò che, alla luce di una delle più grandi crisi economiche della storia recente, può costituire una strada percorribile per creare nuova occupazione.

Molte, troppe volte, gli ecologisti e gli ambientalisti sono stati considerati delle cassandre, iscritte di diritto al partito del no, partigiani irriducibili della natura e dell'ambiente di fronte all'avanzata dello “sviluppismo”, ideologia non riconosciuta dello sviluppo e dell'aumento della produttività a tutti i costi.
Dopo qualche decennio di battaglie culturali e politiche, forse si può convenire, con i sostenitori delle ragioni dell'ambiente e dei critici della crescita a tutti i costi del PIL, che non si può pensare in assoluto alle ragioni dell'economia senza tener conto dell'evoluzione delle tecnologie e della qualità della vita. (2)
Questo perché l'uso sconsiderato dell'ambiente ha un costo, che finora, tra l'altro, è stato sostenuto dalla collettività: ciascun cittadino, per la sua parte, ha pagato i conti dei disastri ambientali provocati da uno sviluppo incontrollato. E, come spesso accade, solo di fronte alle catastrofi e alle grandi crisi, c'è la possibilità, se si è capaci, di apprendere una così dura lezione.
E veniamo quindi ad alcuni dei cosiddetti nuovi lavori, come quello dei consulenti ambientali.

Negli ultimi decenni, per evitare il ripetersi di spaventosi errori e disastri ambientali, la normativa in questo campo è cresciuta sempre più, sotto la spinta dell'opinione pubblica e delle tecnocrazie europee, indicando via via nuovi obblighi per le imprese, che devono dotarsi di più stringenti sistemi di sicurezza, di riduzione dei consumi, di controllo delle emissioni.
Proprio per la complessità di queste normative – si stima che l'insieme delle norme in materia ambientale: dell'Ue, nazionali, regionali, norme tecniche, circolari e regolamenti sia di circa 40.000 provvedimenti – c'è sempre più bisogno di figure professionali ad hoc, come i consulenti ambientali. Il problema è che, come accade spesso per le nuove professioni, i percorsi formativi non sono ancora standardizzati e le specializzazioni universitarie e di alta formazione stentano a farsi riconoscere come adeguate.

Quali altre figure di tecnici possiamo trovare in questi nuovi settori, quali sbocchi occupazionali trovano?
Prima di tutto, troviamo figure professionali che, pur perfettamente integrate nell'industria più tradizionale, come la chimica o la meccanica, hanno un profilo professionale di stampo più ecologico:
- gli addetti alla sicurezza, tecnici o ingegneri, che verificano la sicurezza degli impianti e dei processi produttivi;
- i regulatory affaires, chimici o biologi che conoscono le normative che regolano le autorizzazioni e i controlli previsti per le nuove sostanze da immettere sul mercato;
- gli energy managers, ingegneri o chimici che ottimizzano i processi produttivi per ridurre le emissioni di CO2;
- il consulente per il trasporto di merci pericolose;
- i ricercatori che sviluppano processi a basso impatto ambientale e studiano la riduzione dei rifiuti e degli imballaggi.

Forse un cambiamento strutturale è avvenuto anche dal lato del consumo – e non solamente nel mondo produttivo che è stato costretto ad adeguarsi ad una normativa sempre più stringente in campo ambientale.

Secondo un recente studio della Coldiretti-Swg la green economy inizia a tavola, in virtù della richiesta crescente di cibi più sani e di chiara derivazione biologica. (3)
La spesa cosiddetta sostenibile, quella che ricerca prodotti con elevata sicurezza alimentare, rifiuta gli additivi chimici e i coloranti, è cresciuta, nonostante la crisi, del 23%. Tutto il mercato cosiddetto bio, nel nostro Paese, è cresciuto in modo imponente, con un fatturato di circa 2,5 miliardi di euro e con più di 6000 imprese specializzate, con un milione di ettari coltivati, tanto da essere i primi produttori in Europa e quinti nel mondo. E visto che sono molte le famiglie attente alla sicurezza alimentare, soprattutto nei confronti dell'infanzia, ecco che un settore di nicchia si sposta verso settori di mercato con grandi numeri. Abbastanza significativo è il caso delle mense scolastiche che si stanno convertendo al cibo naturale; anche i grandi produttori stanno proponendo linee di prodotto biologico, modificando di conseguenza anche la grande distribuzione.
A queste richieste, che sono il frutto di un mutamento significativo negli stili di consumo, fanno riscontro quindi le nuove professioni, nate per fare fronte ad un mutamento della domanda e come evoluzione di un settore che si sta specializzando sempre più in produzioni attente alla qualità, alla tracciabilità alimentare, alla sicurezza.
Questo spiega la prevalenza delle nuove figure professionali riconducibili al settore agricolo, di elevata formazione e specializzazzione.
Altre forme di imprenditorialità sono invece legate a bisogni ricreativi e informatvi, come le fattorie didattiche o gli agriturismo, e anche queste esperienze stanno aprendo la strada a nuove occupazioni.

Più generalmente, quindi, in tutti i settori, dalla produzione ai servizi, dal terziario all’agricoltura, sono diffusi e impiegati i cosiddetti ecolavoratori.
Il Green Work, come abbiamo visto, è un tipo di lavoro con un livello medio-alto di retribuzione, che ha richiesto una formazione elevata, a forte specializzazione e contemporaneamente con competenze trasversali a varie discipline.
La più puntuale ricognizione e classificazione di figure professionali in questo settore è reperibile alla banca dati elettronica Ifolam, a cura dell'Isfol.
In questa Banca dati è possibile trovare un incrocio immediato tra le esigenze formative, i bisogni espressi e le offerte formative disponibili, dalla formazione curriculare all'alta formazione, suddivise per territorio e per ente erogatore. (http://www.ifolamb.isti.cnr.it/Ifolamb2008.html)

Le ricercatrici Rita Ammassari e Maria Teresa Palleschi, che studiano questi temi da molti anni, hanno condotto numerose ricerche sulle tendenze del mercato del lavoro ambientale e sulle sue peculiarità. (4)
L'integrazione virtuosa tra sistema produttivo e ambiente, passa anche attraverso una rivisitazione dell'offerta formativa, atttualmente in sofferenza per la proliferazione dei corsi di studio e degli insegnamenti.
Come ci hanno mostrato le ricerche dell'Isfol citate, spicca una certa autoreferenzialità dell'offerta a causa di una scarsa corrispondenza tra i percorsi realizzati e i bisogni espressi dal mercato del lavoro.
Inoltre, la formazione ambientale rischia di non svolgere il ruolo innovativo che le compete per la realizzazione di produzioni sostenibili, a causa di una ancora insufficiente integrazione e contaminazione dei saperi nelle pratiche formative.

Posto che l'aumento della sensibilità ambientale ha modificato il concetto delle politiche di sviluppo, modificando i modelli culturali e gli stili di consumo, è necessario che sia dedicata altrettanta attenzione alla costruzione di professionalità adeguate, in grado di configurarsi come agenti di cambiamento per lo sviluppo di società sostenibili.


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NOTE

1)Vedi il nostro intervento “Barack Hussein Obama. Un presidente nuovo nell'era della crisi globale" sul n° 55 di LPM dell'1/2/09. http://www.lavoropostmercato.org/rivista.php?art=495&arg=1
2)Cfr. Roberto Lorusso, Nello De Padova, DePiliamoci.Liberarsi del Pil superfluo e vivere felici, Editori Riuniti, Roma, 2007. Vedi anche il sito www.depiliamoci.it .
3)Vedi http://multimedia.coldiretti.it/Raccolta_Documenti_Forum_Cernobbio_2008/Cernobbio%20indagine%20Swg.pdf
4)Si veda il volume Isfol, Rita Ammassari e Maria Teresa Palleschi (a cura di), Formare per la complessità. Figure professionali e competenze sistemiche, Franco Angeli, 2005.
Segnaliamo che l'ultimo aggiornamento del sito http://www.ifolamb.isti.cnr.it/Ifolamb2008.html è del dicembre 2007. Sarebbe interessante sapere se queste ricerche e questi studi si sono interrotti e perchè.

Usi e significati del termine globalizzazione (ultima parte)


Dopo aver dato qualche elemento per orientarsi nella descrizione di un fenomeno difficile da circoscrivere e sfuggente a molte categorie analitiche, c'è da chiedersi, per riprendere un punto importante della discussione in corso, se siamo di fronte ad un evento del tutto nuovo, che si è andato concretizzando negli ultimi anni in virtù della coincidenza di alcune prepotenti innovazioni politico-tecnologiche, oppure lo stadio attuale è solamente una fase di un processo che data da diversi secoli e che ha conosciuto solamente una impressionante accelerazione?

A qualsiasi ambito si applichi (economico, delle comunicazioni, ecologico, etc.) questo rimane un quesito chiave nel dibattito in corso.
Sarà opportuno richiamare qui alcune"visioni" della globalizzazione, in modo da offrire un terreno comune di discussione.

Tra i sostenitori dell'idea che la globalizzazione rappresenti un processo di lunga data vi è uno dei primi analisti del fenomeno, I. Wallerstein, neomarxista, al quale va attribuita l'idea di “sistema-mondo”, un'idea per la quale la globalizzazione rappresenta un processo secolare, caratterizzato da una progressiva espansione capitalistica che parte all'incirca con l'arrivo sul continente americano di Cristoforo Colombo e prosegue sino a noi.

Anche per P. Hirst e G. Thompson, la globalizzazione non rappresenterebbe una novità nella storia mondiale, essendosi già verificate condizioni simili ed addirittura di superiore apertura ed integrazione in altre epoche storiche, ad esempio tra il 1870 e il 1914, poichè l'attuale economia internazionalizzata deriva da una serie di eventi che originano dallo shock petrolifero degli anni '70.

Un altro riferimento significativo è rappresentato da R. Robertson, che si sforza di analizzare la globalizzazione come ambito unitario, dove viene assegnata grande importanza ai meccanismi culturali di integrazione; per l'A. cresce la consapevolezza della coscienza del mondo come "un tutto" e tale consapevolezza potrebbe agevolare l'interdipendenza e l'integrazione sociale.

Per U. Beck, il teorico della seconda modernità, occorre avere un approccio prudente alla globalizzazione, anche se i rischi connessi alla globalizzazione possono determinare dei processi politici del tutto nuovi per quella che l'A. chiama una "seconda modernità", fondata su valori di uguaglianza, libertà e capacità di informazione.

Contrariamente a Hirst e Robertson, S. Huntington, le cui tesi sono state usate anche nello scontro politico ed ideologico corrente, abbandona il campo strettamente economico e privilegia un'analisi sostanzialmente culturale. A suo parere, la globalizzazione rappresenta un momento di uno scontro tra “civiltà”, intese come elementi di identità di vaste porzioni di umanità. In questa visione, l'egemonia occidentale - vista anche in termini religiosi - verrebbe a confrontarsi con altre civiltà emergenti – come quella islamica - con esiti potenzialmente sfavorevoli.

Meno ottimista è un altro importante analista, A. Giddens, per il quale la globalizzazione è l'intensificazione di relazioni sociali mondiali colleganti tra loro luoghi anche distanti, tanto che eventi locali possono essere determinati da eventi sorti a distanze estremamente ampie; tuttavia, afferma Giddens, tale processo è un processo dialettico aperto e non è esattamente determinato.

Uno stesso fenomeno viene dunque letto attraverso lenti interpretative diverse, accentuando ora i rischi ora le opportunità.
In definitiva, sembra prefigurarsi una distinzione tra la globalizzazione e globalismo economico. Mentre la globalizzazione sembra un processo irreversibile, piena di rischi ma anche di opportunità anche se sembra piuttosto controverso definirne la novità o la continuità con la storia , il cosiddetto globalismo economico sembra connotato da uno spirito predatore e antisolidaristico, tanto da prefigurare la scomparsa di ogni forma di welfare, col suo sottrarsi sempre più ai costi fiscali e paradossalmente al lavoro stesso.

Più in generale, la crisi del sistema di stati-nazione viene sempre più accelerata proprio quando ci si trova di fronte ad una crisi di dimensioni planetarie e le più importanti decisioni a carattere economico, politico o ambientale vengono prese al di fuori della consueta cornice istituzionale degli stati.
Da più parti, a questo proposito, si invoca la necessità di una governance globale, proprio in virtù della maturità riconosciuta dei processi di integrazione globale. Non c' è però un Trattato di Westfalia all'orizzonte. Anche l'UE, che ha accelerato i processi di integrazione politica ed economica, è in una fase di stallo e, come al solito, segue a vista le decisioni dei paesi guida, Francia e Germania in testa.

Avanzano poi altri attori sulla scena, distinti dagli Stati-nazione e in grado di costruire legami transfrontalieri, sia in senso economico che culturale. Si tratta di quei soggetti che vengono categorizzati come Terzo settore, un contenitore del tutto particolare che raccoglie al suo interno fenomeni e tendenze del tutto eterogenee, come il commercio “equo e solidale”, la crescita del volontariato e delle attività di solidarietà e di cooperazione, l'autorganizzazione di gruppi attivi su vari temi, come l'ambiente e i diritti umani, così come la nascita e la diffusione di organizzazioni sociali private spontanee, con diffusione internazionale, che si propongono di controllare, contrastare o regolare i fenomeni legati alla globalizzazione.
Questo lungo excursus ci ha almeno fornito un'idea di globalizzazione: si tratta di un insieme variegato e non sempre facilmente interpretabile insieme di fenomeni.
Ma, considerando che si tratta di un processo ancora in atto, la globalizzazione si presenta come un Giano bifronte, e rimane a disposizione di tutti come rischio e come risorsa per il futuro.

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Bibliografia essenziale


Immanuel Wallerstein, Il sistema mondiale dell'economia moderna, 3 voll. Il Mulino, Bologna 1978, 1982, 1995).

P. Hirst, G.Thompson, La globalizzazione dell'economia, Editori Riuniti, Roma, 1997,

Z. Bauman, Globalizzazione e glocalizzazione, Armando Editore, Roma 2005.

Z. Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari 2001,

A. Giddens, Le conseguenze della modernità., il Mulino, Bologna 1994

R. Robertson, Globalizzazione. Teoria sociale e cultura globale, Asterios, Trieste 1999

Ulrich Beck, Che cos'è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società planetaria, Asterios Editore, Trieste, 1999

S.Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale,Garzanti, Milano, 2000

domenica 22 marzo 2009

Sommario Rivista Lavoro e Post Mercato n° 58

Lavoro e Post Mercato
Quindicinale telematico a diffusione nazionale a carattere giornalistico e scientifico di attualità, informazione, formazione e studio multidisciplinare nella materia del lavoro

vedi la rivista completa


Rivista n. 58 - del 16-03-2009

Sommario

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Argomento: Laboratorio sociale

Tariffe agevolate per le cure odontoiatriche

Il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, l'Associazione nazionale dentisti italiani e l'Associazione odontoiatri cattolici italiani hanno sottoscritto un accordo, operativo dal...

La Redazione (R.S.)


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Argomento: Formazione

E-cash: la procedura di chargeback

“Chargeback" è il termine tecnico in lingua inglese usato dai circuiti internazionali di carte di pagamento per descrivere una peculiare modalità di RI-ACCREDITO, appunto charge-back della ...

Diego Piergrossi



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Argomento: Formazione

La responsabilità dell'internet provider in Francia

La Francia, come del resto gli altri paesi europei, applica le Convenzioni internazionali in materia di

diritto d’autore, ed in particolare la legge francese prevede che la tutela del dir...

Rita Schiarea


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Argomento: Evoluzione normativa

Convertito in Leggge il Decreto Mille Proroghe

Con la pubblicazione sul supplemento della Gazzetta Ufficiale di sabato 28 febbraio 2009 della Legge 27 febbraio 2009, n. 14 di conversione del Decreto-Legge 30 dicembre 2008, n. 207 recante la: &quo...

Pierfrancesco Viola



Argomento: Evoluzione normativa

L'Italia ratifica la Convenzione ONU sui diritti dei disabili

Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.61 del 14 marzo 2009 la Legge 3 marzo 2009, n. 18 contenente la "Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con ...

Giuseppe Formichella



Argomento: Università & lavoro

Economia sostenibile e nuovi lavori. Dalla Green Economy ai green works

Tra i primi atti della Presidenza Obama, una delle decisioni più importanti prese dal neo-Presidente riguarda l'avvio della cosiddetta green economy, l'economia verde.(1)

Benchè molti com...

Antonio M. Adobbato


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Argomento: Approfondimento

Usi e significati del termine globalizzazione (ultima parte)

Dopo aver dato qualche elemento per orientarsi nella descrizione di un fenomeno difficile da circoscrivere e sfuggente a molte categorie analitiche, c'è da chiedersi, per riprendere un punto important...

Antonio M. Adobbato

sabato 14 marzo 2009

Patrimonio comune o giacimento culturale? Modelli di gestione dei beni culturali tra tagli e supermanager


Lo confesso, anche se ai lettori magari non interesserà né poco, né punto: sono un frequentatore assiduo di musei, di mostre e spesso organizzo il mio tempo libero per andare a visitare grandi e piccole città d'arte. Proprio perchè appassionato fruitore e amante delle belle arti, sento di poter esprimere la mia preoccupazione per il cambio delle politiche di gestione dell'insieme dei beni artistici, architettonici, paesaggistici e storici italiani, frutto di una tessitura e di un intreccio millenari tra territorio e vicende storiche, tra natura e cultura, che non ha eguali al mondo.

Non si pensi, però, che le preoccupazioni che qui vorrei provare ad argomentare riguardino solo le anime belle. Il motivo per cui milioni di turisti sono ancora interessati all'Italia e per cui sono disposti a spostarsi da ogni parte del mondo per raggiungere le nostre città d'arte, risiede principalmente nell'unicità e nella altissima qualità del nostro patrimonio culturale ed artistico, oltre che per la varietà di luoghi e di bellezze naturalistiche. D'altro canto, c'è una linea di congiunzione ben precisa tra la ricerca del bello e dell'eccellenza artistica e quello straordinario succedersi di generazioni di artigiani e di creativi che hanno reso possibile l'affermarsi del gusto e della ricercatezza del made in Italy. (1)

Davanti a noi stanno dunque questioni anche materiali ed economiche, del lavoro e delle prospettive di occupazione, oltre alle ragioni della tutela di un patrimonio che andrebbe conservato per le giovani generazioni che ci seguiranno e, sia detto una volta senza apparire retorici, per l'intera umanità: se si è alla ricerca di una esemplificazione di che cosa significhi bene comune, bisogna senz'altro rifarsi proprio a questi tipi di beni, per i quali ci si appella all'appartenenza all'umanità intera, invece che ad una singola comunità. (2)

La preoccupazione che qui vogliamo esprimere riguarda proprio il modello di gestione che sembra cambiare, nel disinteresse generale dell'opinione pubblica; per prima cosa è bene richiamare i dati di contesto strutturali e su ciò che nel suo insieme, in ogni opera e in ogni rapporto tra contesto e bene cosiddetto culturale, costituisce l'unicità del nostro Paese.

Fino adesso, infatti, si è considerato nella storia dell'arte il patrimonio artistico italiano come un unicum formato da emergenze artistiche straordinarie e varietà e ricchezza di paesaggio, dove le une sono debitrici dell'altro e a sua volta il paesaggio si arricchisce e si struttura in base ai manufatti e all'operato ispirato e rispettoso di questo legame di intere generazioni di artisti e artigiani.

Basta un semplice sguardo, anche il meno avvertito, per vedere come il patrimonio artistico del nostro paese sia connotato al contempo da una capillare distribuzione territoriale e da una impressionante stratificazione storica, insieme ad una profonda connessione con l'ambiente naturale.
In ogni regione, in ogni città, in ogni piccolo borgo, si trova una fitta rete fatta di storia e di arte, con torri, abbazie, monasteri, complessi monumentali, siti archeologici, castelli, fortificazioni, ecc. in un contesto territoriale del tutto peculiare e che risulta impossibile dividere e considerare separato da questi singoli beni. E poi quante raccolte d'arte, antiche o contemporanee, quanti musei civici, diocesani, musei tematici legati al territorio e ai saperi locali. (3)

Insomma, i nostri beni culturali, sono talmente diffusi e radicati sul territorio da costituire un “paesaggio culturale continuo” e, senza tema di smentita, davvero unico al mondo.
Questo unicum, come si è detto, è sempre stato considerato un patrimonio indivisibile, da difendere e tutelare perchè non solo appartiene alla collettività in termini di possesso ma perchè costituisce, con le sue preziose testimonianze culturali, il senso profondo della nostra identità storica e culturale.

Per l'eccezionale importanza che a questi beni viene attribuita gli si riconosce un posto di rango nei principi fondamentali della nosta Costituzione, laddove all'art. 9 si dice che la Repubblica “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, perchè, tra le altre cose, l'amministrazione ha il compito di trasmettere questo prezioso retaggio, nel modo più integro possibile, alle nuove generazioni.

Le continue riorganizzazioni che hanno interessato questo settore negli ultimi anni sono state davvero troppe, e tutte affidate a logiche di breve periodo, tanto che si è assistito al passaggio dalle logiche di decentramento delle cosiddette riforme Bassanini (1998) ad un ritorno all'accentramento della tutela, dopo aver speso ingenti risorse umane e materiali per agevolare i processi di tutela a diretto contatto con i territori interessati, rispettando il policentrismo storico e culturale prima ancora di quello amministrativo.
Ma di questo, finchè non vi sarà l'approvazione definitiva della norma di riorganizzazione, sarà opportuno giudicare con un testo approvato e pienamente in vigore.

Le indiscrezioni che sono circolate, tuttavia, fanno pensare che il mutamento nell'organizzazione della tutela dei beni culturali sarà improntato ad una svolta tutta economicista e di breve respiro, a discapito dell'indissolubilità del rapporto tra bene culturale e contesto territoriale, con l'intenzione di disinvestire nella tutela del paesaggio sia in termini di controllo che di salvaguardia.
Tra le altre cose, è circolata la proposta di nominare un supermanager, ex presidente di Mc Donald's Italia, ad una istituenda Direzione Generale per la Valorizzazione. Poiché vogliamo parlare del metodo più che delle persone, tralasceremo di evidenziarne il nome; quello che conta, però, è che il supermanager che potrebbe essere chiamato a guidare una struttura amministrativa fondamentale per la salvaguardia dei beni culturali non ha alcuna esperienza nel mondo della conservazione. L'ex manager della Mc Donald's, poi, in una sua dichiarazione, avrebbe definito i nostri musei “giacimenti petroliferi a costo zero”. L'abusata similitudine del museo come giacimento petrolifero non è nuova, va detto, anche se fa un certo senso paragonare una raccolta d'arte come gli Uffizi a Firenze o la Pinacoteca di Brera a Milano ad un deposito di idrocarburi.

Alla base di questa immagine c'è però l'idea tutta da supermanager, per il quale è ininfluente occuparsi di combustibili fossili, di detersivi o di quadri del Raffaello. L'importante è metterli a frutto, ricavarne un reddito; e quale migliore occasione di mettere a reddito la parte più preziosa ed appetibile dei tanto criticati musei italiani?
Sulla scia, probabilmente, di un modello di gestione dei beni culturali che arriva d'oltreoceano, dagli USA, che vengono citati come l'esempio da imitare.
Va rammentato un particolare: i musei americani, come tutti i musei del mondo, sono in perdita.
In più, trattandosi di un sistema culturale diverso e in cui non esiste la mano pubblica nella tutela dei beni culturali, tutte le istituzioni museali vivono ed operano grazie alle munifiche donazioni private, quasi inesistenti nel nostro paese.
Al di la della querelle tra gestione pubblica o privata, è opportuno sottolineare che in questo nuovo modello il legame tra museo e territorio viene spezzato e alla tutela paesaggistica e al contesto naturalistico viene assegnato un ruolo ininfluente, da gestire magari con altre strutture amministrative e con altre norme. E' questo che si vuole? E' questo che ci attende in un prossimo futuro?

Un'ultima osservazione a proposito dello stato in cui versano molte istituzioni museali.
Non si vuole qui difendere uno stato di cose che da molti anni e da più parti è stato giustamente criticato. Sarebbe davvero sciocco negare che le nostre strutture museali, tranne alcune eccezioni, sono in grave deficit di risorse umane ed economiche. La realtà degli ultimi anni sta tutta nei continui tagli ai trasferimenti e al mancato rinnovo del turn over del personale; abbiamo numerosi corsi di laurea in Conservazione dei Beni culturali e centinaia di laureati e di specialisti nella tutela dei beni culturali ma l'amministrazione non assume archeologi, architetti, storici dell'arte. Se qualche volta si bandisce un concorso lo si fa per pochissimi posti. Non ci vuole molto a capire che nel giro di un decennio il personale che ancora lavora nell'amministrazione di tutela dei beni culturali andrà in pensione e che i sostituti saranno sempre meno.

Mentre in tutto il mondo ci riconoscono un modello di tutela da portare ad esempio, noi stiamo facendo deperire e degradare proprio questo modello, magari per rivolgerci a sistemi di tutela lontanissimi e inapplicabili alla nostra realtà peculiare.
Ben vengano, dunque, gestioni più moderne ed efficienti delle nostre strutture museali.
Ma non dimentichiamoci del territorio che le ha rese possibili, dei saperi e dei mestieri che vi sono collegati.
Soprattutto, non vorremmo essere costretti a scegliere tra un barile di petrolio e un museo.



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NOTE

1)E' anche vero che l'Italia, a proposito di turismo, è abituata a farsi del male. A parte il decentramento a livello regionale per cui della materia turistica si occupano le regioni, con le note conseguenze di mancanza di coordinamento e di aumento improduttivo di spese di denaro pubblico, anche la creazione di un portale dedicato al turismo e che fosse il punto di accesso per tutti coloro che dall'estero cercavano informazioni sul nostro Paese si è rivelata l'ennesimo spreco di denaro pubblico. Il portale www.italia.it, infatti, che doveva essere la vetrina turistica del Paese nel mondo, progettato nel 2005 e affidato alla gestione del Ministero per i Beni e le Attività culturali, dopo una serie di peripezie è stato definitivamente chiuso a ottobre 2007. Gli atti ammininstrativi sono stati inviati alla Corte dei Conti per verificarne la legittimità. Dei 45 milioni di euro stanziati per il funzionamento del portale, ne sono stati spesi, in due anni e mezzo, circa 7 per la costruzione e la gestione. Adesso, dopo circa quattro anni e tre governi, aspettiamo ancora che la questione trovi uno sbocco definitivo.

2) E' il caso della dichiarazione di “patrimonio mondiale dell'umanità” dichiarato dall'UNESCO. Attualmente l'Italia detiene il maggior numero di siti inclusi nella lista “patrimonio dell'umanità” Vedi http://whc.unesco.org/.
3) Si calcola che ci siano oltre 3000 i musei e le raccolte, pubblici o privati, nel nostro Paese. Le installazioni e le presentazioni dei “pezzi” sono importanti per garantire una fruizione gradevole e coinvolgente da parte degli utenti e dei visitatori. Voglio fare un solo esempio tratto dall'esperienza personale: il Museo Archeologico di Napoli. La quantità e ricchezza dei reperti e la loro qualità farebbe felice qualunque appassionato di antichità. Nei suoi depositi si trovano talmente tanti “pezzi” da esporre da poter allestire almeno un altro museo altrettanto grande e importante. Ma la realtà di quella struttura e la qualità di quella esposizione è davvero al di sotto di qualsiasi aspettativa: sale buie o mal illuminate, stipate oltre misura di reperti e di espositori collocati sciattamente, polvere e incuria dappertutto. Ma davvero uno dei più importanti raccoglitori dell'antichità del mondo – ricordiamo che in esso si trovano molti reperti provenienti da Pompei e da Ercolano - merita un tale stato di abbandono? Vedi comunque il sito: http://www.marketplace.it/museo.nazionale/museo_home.htm

domenica 8 marzo 2009

Sommario Rivista Lavoro e Post Mercato n° 57

Lavoro e Post Mercato

Quindicinale telematico a diffusione nazionale a carattere giornalistico e scientifico di attualità, informazione, formazione e studio multidisciplinare nella materia del lavoro

vedi la rivista completa

Rivista n. 57 - del 01-03-2009

Sommario

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Argomento: Laboratorio sociale

Stato, Emergenza educativa, Comunicazione: il caso Sanremo

La nostra rivista ha più volte affrontato il tema dell'emergenza educativa europea -e particolarmente nel nostro Paese- e della necessità di un intervento valoriale dello Stato sì da rendere efficace ...

Alba Caiazzo



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Argomento: Laboratorio sociale

Nuove professioni: la responsabilità contrattuale degli ip

Tra le nuove professioni vi è senz'altro quella dell'IP, sigla in lingua inglese per indicare l'internet provider.

Internet Provider o più correttamente Internet Service Provider è un s...

Rita Schiarea



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Argomento: Info lavoro

Internet workers: non è tutto oro ciò che luccica

Lungi da chi scrive atteggiamenti pregiudiziali sula bontà o nocività di quello che è solo uno straordinario strumento tecnologico: internet, ciò che si vuole evidenziare la necessità di opportune ca...

Rita Schiarea



Argomento: Formazione

Cittadino digitale: gli Internet payment. Il caso Paypal

Chiunque abbia anche solo una volta avuto accesso ad e-bay od al computer del proprio figlio si è imbattuto in un marchio che pubblicizzava Paypal ed in una nota della stessa E-bay che ne descrivev...

Diego Piergrossi

*

Argomento: Evoluzione normativa

Patrimonio comune o giacimento culturale? Modelli di gestione dei beni culturali tra tagli e supermanager

Lo confesso, anche se ai lettori magari non interesserà né poco, né punto: sono un frequentatore assiduo di musei, di mostre e spesso organizzo il mio tempo libero per andare a visitare grandi e picco...

Antonio M. Adobbato


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Argomento: Approfondimento

La tutela del consumatore nei nuovi strumenti di pagamento.

La nostra rivista, come avranno notato i lettori più fedeli, ha, da ultimo orientato, la sua attenzione sul cd e-commerce (commercio elettronico), ciò per due motivi: in primo luogo per promuovere la...

La Redazione (D.P.)


continua...
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Argomento: Approfondimento

Truffe elettroniche: dal boxing al dialer.

Tutti i giorni apprendiamo dai giornali e dalla televisione di un nuovo genere di truffe che fa sempre più vittime anche tra persone avvedute e caute: "la truffa elettronica.

Gli esp...

Diego Piergrossi

sabato 7 marzo 2009

Usi e significati del termine globalizzazione (terza parte)


In relazione al tema dello sviluppo e dell'adeguatezza del nuovo modello di creazione e distribuzione della ricchezza, la globalizzazione presenta aspetti molto controversi, che sono oggetto di intensa discussione e contrapposizione sia tra gli studiosi che tra le forze politiche e sociali.

Come si è visto, essa non è il frutto di una precisa scelta politica o economica, ma piuttosto un processo in larga misura spontaneo e poco controllabile, che ha come epicentro i paesi occidentali. Per gli altri paesi, popoli e culture il problema è se e in quale misura partecipare a tale processo, o ad alcuni suoi aspetti.

Secondo alcuni studiosi, un serio problema è costituito dal fatto se esista la possibilità di sottrarsi alla globalizzazione. I principali sostenitori della partecipazione alla globalizzazione si rifanno alla visione liberista delle relazioni internazionali, imperniata, come abbiamo accennato, sui vantaggi del libero scambio.

Negli anni '80 e '90 tale visione è stata sostanzialmente fatta propria dal FMI (Fondo Monetario Internazionale) e dalla World Bank (Banca Mondiale) nelle loro politiche di intervento.
Secondo questa visione, per i paesi in via di sviluppo (PSV), l'accesso alle risorse produttive e finanziarie dei paesi più ricchi è favorito dagli scambi commerciali e finanziari coi mercati dei paesi ricchi, in quanto essi potrebbero costituire un mercato di sbocco per le loro produzioni interne.
Così, anche l'integrazione economica nel sistema mondiale è un mezzo per ottenere, più rapidamente e a minor costo, nuove tecnologie e innovazioni tecnologiche;
In secondo luogo, la mobilità delle persone e l'accesso ai sistemi formativi di altri paesi accelerano la formazione e il miglioramento del capitale umano, favorendo anche per questa via l'innovazione tecnologica e il miglioramento delle condizioni di vita del paese.
Infine, sostengono i teorici del libero scambio, l'inserimento organico del sistema politico ed economico di un paese in quello internazionale rafforzerebbe la difesa dei diritti civili, limitando la capacità di controllo autoritario della società civile, vincolando i governi a comportamenti responsabili.

Come si vede, il modello proposto dal Fmi salda insieme libero commercio, libera circolazione e libertà civili e politiche, con un aumento dei processi di democratizzazione secondo il modello liberale occidentale.
Quanto questo “suggestivo” manifesto del liberismo si sia trasformato in aumento della democrazia e dei diritti nel mondo, lo lasciamo al libero apprezzamento dei lettori.
Comunque, a fronte di questi aspetti che si possono interpretare in modo divergente, il coinvolgimento nel processo di globalizzazione solleva numerosi problemi che richiedono interventi correttivi.

Alcuni importanti economisti, tra cui Joseph E. Stiglitz, premio Nobel per l'economia nel 2001 hanno sostenuto che dopo i vari processi di liberalizzazione avviati dai paesi industrializzati, i mercati internazionali, e in particolare i mercati valutari e i mercati finanziari, sono diventati molto instabili. Si è spesso verificato che le risorse economiche e finanziarie affluite in abbondanza a sostegno delle politiche di sviluppo possono essere sottratte in modo imprevedibile e disastroso in seguito a crisi valutarie o crisi finanziarie, come sta avvenendo anche in questo periodo. Inoltre, le risorse per lo sviluppo offerte dai mercati internazionali non solo non danno garanzie sufficienti di essere utilizzate in maniera economicamente e socialmente equilibrata ed equa, ma i paesi che più si sono giovati delle opportunità offerte dall'accesso ai mercati internazionali hanno avuto tassi di crescita elevati, ma a smentire i fautori del legame che vede un nesso causale tra aumento della ricchezza prodotta e diffusione della democrazia. anche un aumento delle disuguaglianze sociali.
Insomma, dicono i critici del pensiero unico del FMI come l'autorevole economista che abbiamo citato, la globalizzazione può offrire importanti opportunità per la crescita economica a patto che venga attuata una riforma del sistema monetario internazionale e vengano reintrodotti sistemi nuovi e più efficienti di regolazione dei mercati valutari e finanziari.

Un terzo gruppo di studiosi, che annovera al suo interno economisti come W. Sachs o S. Latouche, sulla base di un forte richiamo alle teorie anticapitalistiche sulle cause e sui rimedi alla povertà nei paesi in via di sviluppo, si schiera decisamente contro i processi attuali della globalizzazione e per un rifiuto degli attuali rapporti economici internazionali.
I principali argomenti a sostegno del rifiuto della partecipazione ai processi di globalizzazione per i paesi più poveri sono in sintesi i seguenti:

a) rischi autoritari: la partecipazione al sistema internazionale può limitare fortemente e in maniera incontrollabile la capacità di autodeterminazione dei popoli, la partecipazione democratica alle decisioni pubbliche, la libertà di scelta dei governi democratici;

b) rischio del pensiero unico: i vantaggi della globalizzazione hanno come riferimento il modello di vita occidentale e tutti gli obiettivi di sviluppo sono coerenti con questo modello. Si possono ipotizzare criteri di benessere economico diversi, che necessitano di mezzi diversi o alternativi da quelli offerti dalla globalizzazione. La celebre definizione della decrescita di Latouche e i vari interventi teorici e politici che ne sono seguiti, si inscrivono in questa critica di fondo alla centralità del PIL e al modello della crescita illimitata, dello sviluppo infinito e della inesauribilità delle risorse.

c) omologazione culturale: l'accesso alle risorse della globalizzazione – e al modello culturale che vi è sotteso - comporta sempre più dipendenza e omologazione al sistema di vita occidentale, con la conseguente distruzione dei modelli di vita locali e delle relative risorse umane, culturali e ambientali.

(continua)

Sommario Rivista Lavoro e Post Mercato n°56

Lavoro e Post Mercato
Quindicinale telematico a diffusione nazionale a carattere giornalistico e scientifico di attualità, informazione, formazione e studio multidisciplinare nella materia del lavoro

vedi la rivista completa

Rivista n. 56 - del 16-02-09

Sommario

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Argomento: Laboratorio sociale

Il caso Eluana: quando vero diventa ciò che i "Top-media" sostengono sia vero

“Son contento. Mi trovai un giorno in casa un medico molto stimato in Venezia, dove alcuni per loro studio, ed altri per curiosità, convenivano tal volta a veder qualche taglio di notomia per mano di ...

La Redazione (D.P.)



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Argomento: Rete sociale

E-commerce: dall'asta inversa alla Request for Proposals ed alla Request for Quotation

Un electronic marketplace (in breve e-marketplace) può essere tradotto in italiano come “mercato elettronico” o “piazza virtuale” in altri termini e semplificando una tipologia di "sito web"...

Diego Piergrossi


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Argomento: Formazione

Regolamento per l'organizzazione e la tenuta del Registro degli operatori di comunicazione

Innovazioni di rilievo in tema di tenuta del registro degli Operatori della Comunicazione con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (GU n. 25 del 31-1-2009) della DELIBERAZIONE 26 novembre 2008 conte...

Alba Caiazzo


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Argomento: Evoluzione normativa

Settore Autotrasporto: novità in tema di liberalizzazione regolata dell'esercizio dell'attivita' di autotrasportatore

Novità nel settore autotrasporto: è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 11 del 15 gennaio 2009 il DECRETO LEGISLATIVO 22 dicembre 2008, n. 214 rubricato "Modifiche ed integrazioni al decreto ...

Giuseppe Formichella


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Argomento: Evoluzione normativa

Misure urgenti a sostegno dei settori in crisi

Sulla terribile crisi economico finanziaria che ha investito tutti i paesi più industrializzati molto si è scritto in questi ultimi mesi e tutti i governi –occidentali e non –stanno varando norme e...

Rita Schiarea


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Argomento: Evoluzione normativa

Bonus famiglia: nuovi termini ed ulteriori chiarimenti dall'Agenzia delle Entrate

Del Bonus famiglia si è molto parlato e l’Agenzia delle Entrate (www.agenziaentrate.it) ha perfino previsto la pubblicazione di un test on line-che mentre scriviamo è in corso di rilascio- che permett...

Pierfrancesco Viola



Argomento: Approfondimento

Usi e significati del termine globalizzazione (terza parte)

In relazione al tema dello sviluppo e dell'adeguatezza del nuovo modello di creazione e distribuzione della ricchezza, la globalizzazione presenta aspetti molto controversi, che sono oggetto di i...

Antonio M. Adobbato