domenica 28 settembre 2008

Welfare e carità: social card o tessera di povertà?


Di recente, il governo ha introdotto la cosiddetta social card , una tessera tipo bancomat che verrà consegnata ai pensionati più poveri al momento del ritiro della pensione alle Poste.
Il suo valore, espresso in moneta, è di circa 400 euro e dovrebbe rappresentare un aiuto e un sostegno per l’acquisto di beni alimentari e per far fronte al pagamento delle bollette ( per quella dell’energia elettrica lo sconto sarà del 20%.)
Verrebbe quasi da plaudire all’alzata d’ingegno se le decisioni prese nel CdM del 19/06/08 non provocassero sconcerto ed incredulità.
Lo sconcerto proviene dal merito della decisione presa: con poco più di 1 euro al giorno (!) s’intende combattere contro i drammatici livelli di esclusione e di marginalizzazione di ampie fasce di pensionati e di percettori di redditi minimi. Inoltre, la platea cui è rivolto questo provvedimento – pensionati a basso reddito – non include tutti gli altri “poveri”: precari, incapienti, famiglie numerose con redditi insufficienti, ecc.L’incredulità, invece, viene da ciò che la social card rappresenta in tema di lotta alla povertà, qualificandosi come un impressionante salto all’indietro storico e culturale.
Sembrerebbe un grido d’allarme eccessivo, vista l’esiguità del provvedimento. Qualche volta, però, i grandi mutamenti passano inosservati e le rivoluzioni (restaurazioni) si fanno in sordina.
La teoria che sostiene questo tipo di provvedimenti è quella di un Welfare residuale, in cui i diritti derivano dall’evidenza o dalla dimostrazione dello stato di bisogno. In questo “Stato minimo”, i servizi pubblici non vengono forniti indistintamente a tutti e con prestazioni universalistiche, ma solamente a chi è privo di risorse, previo accertamento dello status di bisogno. Quando si assiste al fallimento del mercato, dove secondo i liberisti ci si procura tutto ciò di cui si ha bisogno, si pone compassionevolmente rimedio con programmi destinati alle fasce di maggior rischio.
Tutte le statistiche più serie sulla crescente diseguaglianza nella distribuzione dei redditi, con la polarizzazione tra i molto ricchi e i molto poveri, ci indicano con implacabile esattezza l’aumento dei livelli di povertà (assoluta e relativa) nel nostro paese e come la redistribuzione delle risorse tra lavoro e capitale abbia visto crescere in modo impressionante la predominanza del secondo ai danni del primo. (1)
In tutto il corso del XX secolo, con la creazione del Welfare State (1942, ad opera di Beveridge), la povertà come fenomeno sociale – e come problema – ha sempre avuto un riferimento economico e sociale alle “diseguaglianze” prodotte dal mercato e a quelle che gli economisti chiamano con un eufemismo le “diseguali allocazioni delle risorse”. (2)
E’ evidente come la povertà limiti in modo sostanziale i diritti di cittadinanza, oltre ad essere responsabile di privazioni materiali e sofferenze psicologiche.
Con un balzo all’indietro rispetto al compromesso rappresentato dal sistema del Welfare, complesso di norme, di politiche e di istituzioni create per garantire un insieme di reti di protezioni sociale per gli eventi più drammatici (malattia, disoccupazione, ecc.), si prende a modello la politica dello Stato caritatevole, sostituto delle dame di carità e delle organizzazioni religiose di assistenza.
E quale miglior modello del programma statunitense del FSP ? (3)
Negli USA, nello Stato più ricco e potente del mondo, quello in cui manca un servizio sanitario universale degno di questo nome, per ovviare ai problemi di sostentamento alimentare di milioni di persone (4), il Governo ha varato il Food Stamp Program, che ogni mese eroga circa 100 dollari a tutti coloro che non hanno redditi sufficienti per acquistare del cibo “avente elevato valore nutritivo”.
Questi buoni alimentari sono distribuiti sotto forma di carta di credito e sono accettati dalla maggioranza dei negozi. (5)

Torniamo alla social card. La platea dei destinatari stimata nel nostro paese è di circa 1.200.000 aventi diritto. La nuova tessera annonaria, che adesso fa fine chiamare all’inglese social card, da adesso in poi individuerà senza ombra di dubbio i poveri, cui lo Stato porge la sua caritatevole mano, donando, con un piccolo obolo, anche lo stigma del bisogno.
L’eguaglianza democratica, sancita dagli artt. 2 e 3 della Costituzione, viene in questo modo gravemente compromessa proprio nei suoi fondamenti, nell’idea che le istituzioni devono funzionare con l’obiettivo di garantire la pari dignità di tutti i cittadini.
Se non deve esistere più uno Stato sociale, con prestazioni universali e rivolte a tutti in base ai bisogni primari – alimentazione, salute, istruzione, ecc. – si abbia il coraggio di dirlo, invece di fare battute dubbie su Robin Hood, visto che il prelievo ai ricchi petrolieri sarà certamente pagato, more solito, dai soliti poveri di Sherwood.
I pensionati poveri otterranno qualche piccolo sconto sull’acquisto di generi alimentari o sulla bolletta dell’energia elettrica ma non risulterà evidente che si tratta di uno Stato che è diventato elemosiniere, compassionevole, preoccupato solo di garantire l’anonimato dello sfortunato possessore della social card. Anonimato garantito fino alla cassa del supermarket, probabilmente, quando risulterà chiaro a tutto il quartiere che si ha “quella” carta….Almeno le organizzazioni religiose erano più serie, visto che davano una cornice etica e religiosa alla carità.

I poveri sventurati, colpiti come tutti dal peccato originale, ma con l’aggravante della miseria, provavano almeno un sollievo materiale e un sentimento di riconoscenza; coloro che facevano opere di carità, aiutando gli afflitti, ottenevano un’indulgenza divina nell’altra vita.

Nella nuova era del Welfare residuale, rimane solo un piccolo obolo.
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NOTE
(1)Cfr.http://www.istat.it/salastampa/comunicati/.pdf
(2) Ma il primo intervento risale addirittura al XVI secolo, con le Poor Laws. Sarà il pensiero socialista a riprendere in mano questa tematica, inserendola nella più ampia “questione sociale” e nella questione della proprietà dei mezzi di produzione. Un conservatore “illuminato” come Bismarck, si preoccuperà, nel 1885, di dare il via al primo sistema previdenziale, prototipo di quelli moderni.. Un interessante lavoro di ricostruzione storica è quello di B. GEREMEK, La pietà e la forca. Storia della miseria e della carità in Europa, Laterza, Roma-Bari, 2001.
(3) Vedi http://www.fns.usda.gov/fsp/. Altri programmi di aiuto sono, ad es, il Medicaid per i poveri, il Medicare per gli anziani e l'AFDC per le madri sole.
(4) Usufruiscono di questo programma circa 26 milioni di persone. La popolazione degli USA è di circa 300 milioni di abitanti. Da queste cifre, si evince che circa 1 cittadino Usa su su dieci ricorre a questo programma. Ma il FSP pensa anche ai migranti e ai poveri di altre nazionalità. Sul sito sono disponibili le spiegazioni per usufruire del programma in 34 lingue.

"SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE E SVILUPPO DELL’E-GOVERNMENT (Terza parte) "


Il contesto istituzionale italiano

Lo sviluppo dei servizi on line nel nostro paese è conforme allo spirito e al dettato degli impegni stabiliti nei piani d’azione europei. In Italia, il ruolo guida per le politiche per la Società dell’informazione è stato assunto dal Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie, con una funzione di indirizzo, di coordinamento e di impulso nei confronti delle altre amministrazioni.
Per favorire lo sviluppo e l'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nei diversi settori, è stato costituito il Comitato dei Ministri per l’Informazione, con il compito principale di coordinare l'azione delle amministrazioni e la realizzazione di una strategia nelle politiche di settore collegate. Nella seconda riunione del Comitato, del febbraio 2002, sono stati licenziati alcuni importanti documenti di indirizzo che costituiscono i punti di riferimento principali delle politiche del governo.
Ai fini del nostro interesse, assume una certa rilevanza la direttiva del dicembre 2001. In essa sono presentati obiettivi concreti e misurabili, in grado di “supportare la modernizzazione del Paese attraverso la realizzazione di un nuovo modello di Stato informatizzato e digitalizzato… e favorire l’avvento dell’economia di rete rendendo disponibili on line i servizi pubblici ai cittadini ed alle imprese”. (13)
Le politiche del Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie in materia di Società dell’informazioneDi gran lunga più importante, in termini di definizione di una strategia complessiva per le politiche generali dell’innovazione e per il collegamento con le politiche comunitarie, è il documento prodotto dal Governo nel giugno del 2002, Linee guida del Governo per lo sviluppo della Società dell’Informazione nella legislatura.
Vi si ribadisce, anzitutto, l’obiettivo strategico della modernizzazione per mezzo della diffusione e dell’utilizzazione delle ICT; un primo punto rilevante riguarda la prosecuzione delle scelte comunitarie in termini di valorizzazione dei sistemi regionali:
“(…) il livello regionale ha la scala minima sufficiente per generare effetti sensibili su scala globale (…); al tempo stesso, la regione sta sotto quella soglia di complessità che rende le nazioni medio grandi sempre più difficili da governare, spingendo verso forme di devoluzione e federalismo” . (14)
La definizione di questo obiettivo strategico, a questo livello in asse con le politiche comunitarie, trova una sua declinazione nel documento governativo con l’individuazione di tre direttrici fondamentali, tra cui quella che ci interessa maggiormente: la trasformazione della Pubblica Amministrazione tramite le tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione.Prima di procedere nell’analisi puntuale di questo importante documento, vorremmo provare ad avanzare qualche riflessione sull’e-government.

Proviamo anzitutto a richiamare una prima definizione :
“Il termine e-government si riferisce all’uso di nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) che le pubbliche amministrazioni applicano ad un vasto campo di funzioni amministrative. In particolare, il potenziale networking offerto da Internet e dalle sue tecnologie ha il potenziale di trasformare le strutture e le procedure amministrative.” (OECD/PUMA, 2001) (16)

A questa definizione dell’e-government, che possiamo definire minimale, e che individua nell’aspetto tecnologico la leva fondamentale della trasformazione, possiamo aggiungere un’importante precisazione concettuale e culturale fornitaci dal Commissario Europeo per la Società dell’Informazione, Erkki Liikanen, in una prolusione tenuta alla Università Aperta della Catalogna per l’apertura dell’anno accademico:
“Information and communication technologies (ICT) can help governments to cope with these many challenges. However, the focus should not be on ICT itself. Instead, it should be on ICT use combined with organisational change and new skills in order to improve public services, democratic processes and public policies. This is the definition of eGovernment.” (17)

Il cambiamento, secondo questo punto di vista, riguarda quindi non solamente la digitalizzazione dei servizi pubblici ma una combinazione virtuosa di trasformazioni tecnologiche, organizzative e formative.
Proprio questo aspetto caratterizza il modello europeo di e-government in materia di servizi pubblici innovati:“eGovernment has already shown that it has significant effects on citizens' lives. Citizens can have greater access to information from authorities. This enables them to understand where their taxes are spent and how decision-making occurs, thus empowering citizens. This is an improvement towards more transparent, accountable and open public institutions. It reinforces democracy”. (18)

Sotto questo profilo, le Linee guida tentano di costruire un modello di e-governement per la P.A.; la diffusione dei servizi on line è considerata un elemento chiave della trasformazione degli enti pubblici e nella ridefinizione del rapporto tra le istituzioni e i cittadini. (19)

In questa modellizzazione, la P.A. centrale riveste in linea di massima il ruolo di back office, mentre la P.A . locale costituisce il vero front end per l’erogazione dei servizi, a tutto vantaggio dei cittadini che potranno rivolgersi ad una sola amministrazione anche per gestire procedure complesse. Questa trasformazione dovrebbe consentire al cittadino di disinteressarsi di come l’amministrazione sia organizzata e consentirgli di richiedere servizi in base alle proprie esigenze.
Il modello proposto si compone di sei elementi fondamentali:Il modello proposto si compone di sei elementi fondamentali:
- servizi,
-riconoscimento digitale,
- canali d’accesso,
- enti di erogazione,
- interoperabilità e cooperazione interistituzionale,
- l infrastruttura di comunicazione

.Come si vede, i primi quattro elementi riguardano un primo livello che definisce il set della domanda e dell’offerta; gli ultimi due, invece, più di struttura, riguardano gli aspetti istituzionali e infrastrutturali che rendono possibile l’incontro tra cittadini e P.A. per l’erogazione dei servizi.
Quanto al primo fattore, l’insieme dei servizi offerti dovrebbe prevedere modalità innovative ed elevata qualità, focalizzandosi su alcuni servizi definiti prioritari e riunificando i punti di accesso: web, sportello unico, call center, ecc.
Elemento altrettanto importante è la procedura di riconoscimento per ottenere l’erogazione dei servizi, con l’utilizzo della Carta di Identità Elettronica, la Carta Nazionale dei Servizi e la firma digitale.Tendendo sullo sfondo gli aspetti normativi e infrastrutturali, si può vedere come l’enfasi posta sull’altro fattore rilevante, l’efficienza del back office, richiama necessariamente sia una riorganizzazione della P.A. in termini di processo e non più di adempimento, sia un sostanziale cambiamento nella gestione delle competenze e delle professionalità presenti nel settore amministrativo.
Il passaggio agli aspetti operativi avviene con una attribuzione, abbastanza dettagliata, dei compiti per la P.A centrale e per quella locale; il quadro di riferimento generale è quello deliberato nella riunione del Comitato dei Ministri del febbraio 2002.
Alle Amministrazioni centrali compete l’organizzazione di 37 servizi, compresi tra gli 80 servizi prioritari selezionati per cittadini ed imprese(40+40). (20)
Quanto alla presenza in rete della P.A., per superare la frammentazione e l’eterogeneità delle risorse informative e di servizio, Il Portale del cittadino, progettato per incentivare la collaborazione tra sistema centrale e locale, cerca di unificare e modificare l’interazione e la comunicazione con il cittadino. (21)(continua)
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NOTE

(13) Linee guida in materia di digitalizzazione dell’amministrazione. Direttiva del 21 dicembre 2001.
(14) Ministro per l’innovazione e le tecnologie, Linee guida del Governo per lo sviluppo della Società dell’Informazione nella legislatura, giugno 2002., p. 19.
(15) Le altre due sono: a) La realizzazione di interventi nel sistema Paese per l’innovazione e lo sviluppo della Società dell’Informazione e b) L’azione internazionale. Si rinvia al documento per approfondire questi due importanti aspetti. Ivi, p.20. V. anche Comitato dei Ministri per la Società dell’informazione, riunione del 13 febbraio 2002.
(16) Vedi http://www.oecd/puma.org . Si tratta del sito dell’Organisation for Economic Co-operation and Development, importante organismo internazionale di cooperazione e di consulenza. PUMA è il programma dell’OECD dedicato al settore pubblico.
(17) E-Government for Europe’s public service of the future, Inaugural lecture of the 2003-2004 Academic Year. URL: http://www.uoc.edu/inaugural03/eng/article/. c.n.
(18) Ibidem, ivi. Il modello statunitense, ben diverso da quello europeo, predilige un approccio pragmatico, orientato in modo centrale sui risparmi economici ottenuti con l’erogazione on line dei servizi. Non è questa la sede per tentare una comparazione tra i due modelli, ma è evidente che l’evoluzione dell’e-government verso l’uno o l’altro dei modelli influenzerà in maniera netta lo stato delle relazioni tra cittadini e amministrazioni e l’intera struttura delle istituzioni pubbliche. Un primo incontro con il modello statunitense si può avere all’URL: http:www/whitehouse/omb/egov/index.html.
In sede di conclusione ritorneremo su questa importante questione.
(19) Così nel documento governativo: “ (…) servire i cittadini e le imprese come “clienti” da gestire con la massima attenzione. Il concetto di cliente non significa che le Amministrazioni operano in un’ottica di profitto, ma più semplicemente che il loro obiettivo diventa quello di erogare servizi in linea con le esigenze di chi ne usufruisce e la soddisfazione del ricettore del servizio è strumento fondamentale di verifica della sua qualità.”. Ivi, p. 28. Ci sono numerosi studi sul tema della qualità nell’erogazione dei servizi; citiamo qui uno dei più importanti, Zeithalm V.A., Parasuraman A., Berry L.L., Servire Qualità, McGraw Hill, Milano, 1991. I criteri per definire la qualità sono esposti in un significativo decalogo: 1. Aspetti tangibili: aspetto delle strutture fisiche, delle attrezzature, del personale ecc. 2. Affidabilità: capacità di prestare il servizio promesso in modo affidabile e preciso. 3. Capacità di risposta. 4. Competenza: possesso delle capacità e delle conoscenze necessarie a prestare il servizio. 5. Cortesia: gentilezza, rispetto, considerazione e cordialità del personale.. 7. Sicurezza: assenza di pericoli, rischi, dubbi. 8. Accesso: accessibilità e facilità di contatto. 9. Comunicazione: tenere informati i clienti con un linguaggio comprensibile. 10. Comprensione del cliente: sforzarsi di conoscere i clienti e le loro esigenze.
(20) Così nella parte I – Scenari e politiche per la Società dell’Informazione, delle Linee guida del Governo per lo sviluppo della Società dell’Informazione nella legislatura, giugno 2002., p. 13: “ Questa evoluzione delle tecnologie porterà significativi impatti su cittadini, imprese e Pubbliche Amministrazioni. (…) [Per le Pubblica Amministrazione si avrà]- facilità di entrare in contatto e fornire servizi al cittadino;- miglioramento dei canali di comunicazione tra Amministrazioni che consentirà grande efficienza e mascheramento della complessità al cittadino e all’impresa;- ottimizzazione dell’uso delle risorse pubbliche attraverso l’applicazione delle tecnologie.”
(21) v. il portale all’indirizzo http://www.italia.gov.it .
Cfr. Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 30 maggio 2002 per la conoscenza e l'uso del dominio internet ".gov.it"

mercoledì 24 settembre 2008

Sommario Rivista Lavoro Post Mercato n°46

Lavoro e Post Mercato
Quindicinale telematico a diffusione nazionale a carattere giornalistico e scientifico di attualità, informazione, formazione e studio multidisciplinare nella materia del lavoro
Rivista n. 46 - del 16-09-2008
Sommario
Argomento: Laboratorio sociale
Pubblico Impiego, Assenze dal servizio: correzioni e chiarimenti in arrivo
Come più volte scritto nella nostra Rivista, con il cosiddetto Decreto Brunetta (più correttamente con il Decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008 - Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la...
La Redazione (D.P.)
continua...
Argomento: Laboratorio sociale
Disabilità ed Esoscheletro: tra ottimismo e scetticismo.
I giornali di tutto il mondo ed in quest’ultimi giorni, particolarmente in Italia, hanno “battuto” la notizia di uno straordinario ausilio, di prossima anche se non immediata -si parla del 2010- comm...
Diego Piergrossi
continua...
Argomento: Laboratorio sociale
Welfare e carità: social card o tessera di povertà?
Di recente, il governo ha introdotto la cosiddetta social card , una tessera tipo bancomat che verrà consegnata ai pensionati più poveri al momento del ritiro della pensione alle Poste. Il suo ...
Antonio M. Adobbato
continua...
Argomento: Rete sociale
Formazione continua: le opportunità dell'Esperanto. Il Festival delle Lingue a Mosca
La nostra Rivista, attraverso gli Esperantisti Rita Schiarea e Diego Piergrossi, ha fin dai primi numeri riposto grande attenzione all'importanza della lingua Esperanto ed alle innumerevol opportuni...
Henri Lazzeri
continua...
Argomento: Rete sociale
"SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE E SVILUPPO DELL’E-GOVERNMENT (Terza parte) "
Il contesto istituzionale italianoLo sviluppo dei servizi on line nel nostro paese è conforme allo spirito e al dettato degli impegni stabiliti nei piani d’azione europei. ...
Antonio M. Adobbato
continua...
Argomento: Evoluzione normativa
Nuove tecnologie per il Made in Italy»
Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 205 del 2 settembre 2008 il Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico 10 Luglio 2008 relativamente alle "Condizioni, criteri e modalita' per la concessi...
Pierfrancesco Viola
continua...
Argomento: Università & lavoro
Disposizioni urgenti in materia di istruzione e universita: al via la riforma Gelmini
Diceva un vecchio adagio "se son rose fioriranno".Il tema della riforma della Scuola è uno dei temi strategici e forse il più rilevante in ordine di lungo periodo per ciò che attiene la ...
Rita Schiarea
continua...
Argomento: Etica e lavoro
Associazioni di promozione sociale e di volontariato: pubblicata la Direttiva 2008 .
Associazioni di promozione sociale e di volontariato: pubblicata la Direttiva 2008 ed il Decreto sulla concessione dei contributi.Importanti novità per le associazioni di promozone soc...
Giuseppe Formichella
continua...

mercoledì 17 settembre 2008

La luce dell'artista e quella dello spettatore


Di seguito un lavoro in libertà originato da un interessante quesito posto da un amico durante una cena. La domanda, scaturita in un lungo viaggio in auto con la sua compagna e futura moglie suona più o meno così: la luce che vede l'artista - e quella che poi realizza nel quadro - è la stessa luce che vede lo spettatore?
Detta così, mi ha fatto scattare un campanello e mi sono messo a rimuginare qualcosa sull'argomento. Il risultato, piuttosto lunghetto, frutto di un lavoro fatto a più riprese, lo metto qui.


Caro P.,

come promesso (o minacciato?), provo a buttare giù qualche idea sull’interessante quesito estetico-filosofico che avevi proposto qualche tempo fa e che provo a riassumere (a memoria) così:

“un artista dovrebbe far vedere o percepire la sua opera ad un ipotetico
spettatore esattamente con le stesse condizioni di luce
che egli stesso ha percepito e che hanno guidato la sua opera.”

Uno studioso di estetica tra i più avvertiti ed acuti, Garroni, che a lungo ha studiato il rapporto tra arte e conoscenza, lo avrebbe trovato senz’altro intrigante.
(vedi a questo proposito http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=798#oggettiva)AA
Ci provo anch’io, anche se non sono Garroni, non ho avuto modo di controllare con la dovuta accuratezza le fonti e quindi mi scuserai qualche imprecisione o qualche licenza interpretativa.

In genere, quando si ha davanti un problema complesso, per antica abitudine e per prassi intellettuale tipica, si ricorre ad un processo di scomposizione.
Una piccola glossa sul fatto che il metodo d’analisi, come è ovvio, influenzi l’oggetto.
Procedere in questo modo, infatti, significa implicitamente e inevitabilmente comporre un set complessivo in cui si fissano i poli ermeneutici iniziali: un soggetto, un oggetto, un metodo analitico, un codice, uno scopo conoscitivo che funge da guida.
(interessante ciò che dice De Mauro, filosofo del linguaggio, sulla questione dell’orizzonte di senso: http://w3.uniroma1.it/emiliogarroni/Lezione_DeMauro_Ass_Garroni.pdf.)

Ora, a questo proposito, se pare abbastanza pacifico tutto il resto, rimane da “esplodere”, come avrebbe fatto Leonardo, lo scopo conoscitivo, l’orizzonte di senso. Non tanto e non solamente per l’evidente motivo che spinge a conoscere, costitutivo della condizione umana, quanto per la sua collocazione nel campo del sapere codificato. La prima difficoltà, infatti, ricade nell’ambito del sapere universale e della disciplina specifica. Detto altrimenti: con quali sistemi di pensiero si aggredisce un problema del genere, con quali metodi e con quali intenzioni? Il richiamo a Garroni, come avrai potuto intuire, fornisce già una prima risposta: siamo nel dominio dell’estetica, vale a dire in quel particolare e circoscritto ambito del sapere che ha avviato da più di due secoli una riflessione filosofica intorno all’arte. Va da sé che il metodo prevalente sia quello filosofico, vale a dire la lenta e circospetta costruzione di concetti e di argomentazioni intorno al problema dichiarato. Senza farla troppo lunga, mentre in ambito europeo si predilige l’anamnesi storiografica e l’ossequio all’autorialità, nel milieu anglosassone si predilige l’approccio analitico, per problemi appunto. Non si tratta di sfumature di poco conto, né per il metodo né per gli esiti.
Lasciandolo sullo sfondo, potremmo prenderci la libertà di fare un po’ l’uno e un po’ l’altro. Quello che ci interessa qui è fare un po’ di ginnastica cerebrale.



Da orecchiante di filosofia, mi pare che il problema possa essere scomposto in almeno tre parti:

- un primo aspetto, centrale, ma non prevalente, è quello gnoseologico. Si può sollevare il dubbio sulla non prevalenza, ma ritengo che posta in quei termini è come se ci costringese a guardarla di sbieco e che tale prospettiva distorta non ci aiutasse a mettere a fuoco la questione. Apparentemente, l’interrogazione riguarderebbe un problema del tipo: cosa si conosce veramente? La realtà o una sua approssimazione, la sua mappa, direbbero i cognitivisti? Il quadro che vedono l’artista e lo spettatore è lo stesso quadro?
- un secondo aspetto, forse meno visibile ma alla fine più sostanziale, il vero fuoco del problema, è di tipo gnoseologico nel senso più proprio del termine: quali sono le condizioni della conoscenza, che cosa rende possibile che vi sia un artista, un quadro e uno spettatore?
- Un terzo aspetto, non meno importante, riguarda invece la questione spinosissima della temporalità. Costitutiva del nostro modo d’essere, la temporalità, quale limite dell’orizzonte, assume un particolare significato anche in relazione agli assunti metodologici, al modo di vedere, studiare, comprendere, trasmettere ogni opera, in particolare l’opera d’arte. Il tempo, detto altrimenti, nella nostra esperienza ha una direzione ben precisa[1], dal passato al futuro e ben lo sa chi fa di professione lo storico dell’arte. Dobbiamo chiederci se nell’arte è sempre vero… Chi viene dopo, artisticamente parlando, è migliore di chi lo ha preceduto? Meno stupidamente: lo scorrere del tempo, almeno visto nella sua longue durèe, ha un lato evolutivo, una dimensione di miglioramento? Oppure ogni immagine e ogni opera prodotta è depositata in una specie di magazzino della memoria dell’intera umanità al quale si attinge per produrre e vedere nuove(?) immagini?

Ti convince questa impostazione?

1. Il quadro che vedono l’artista e lo spettatore è lo stesso quadro?

Sul primo punto, è nota la querelle, vecchia come la filosofia stessa, della distinzione tra doxa ed episteme, tra opinione e conoscenza scientifica. Dalla sua stessa nascita, è una di quelle controversie filosofiche che arrovellano tutti i maggiori filosofi, i quali, in linea di massima, almeno concordano su un punto: scopo della filosofia è cercare la verità dietro l’apparenza (Platone) sino a giungere ad una certezza (Ego cogito, Descartes) circa il soggetto che conosce (res cogitans) in grado di ordinare il mondo di ciò che è conosciuto (res extensa). Questo dualismo spirito-materia o mente-realtà è la vera bestia nera di tutti i filosofi moderni. Sicchè si è spostato il focus dal fondamento riconosciuto in via esclusiva al soggetto conoscente ad un altro genere di fondamento: il metodo.
(La conoscenza scientifica, da Galileo in poi, non è che la moderna risposta al quesito di sempre: cosa conosciamo veramente? La falsificazione popperiana ne è l’esempio perfetto: una teoria è vera fino al momento in cui se ne trova una migliore, in grado di spiegare meglio e in modo più convincente l’esistenza di un certo fenomeno.)
Per concludere, in modo che non ti sembri ozioso questo richiamo alle dottrine, la filosofia classica ha distinto varie forme di conoscenza, riconducibili comunque a due fondamentali: quella fondata sui sensi (Eraclito e in parte Aristotele) e quella fondata sulla ragione (Parmenide e Platone). Attraverso la mediazione dei dibattiti medievali, la questione del rapporto tra conoscenza sensibile e conoscenza razionale si ripropone in età moderna nel confronto tra due posizioni gnoseologiche contrapposte: quella del razionalismo e quella dell'empirismo. Il primo considera i concetti come "innati", cioè come patrimonio originario della mente, mentre il secondo fa derivare la conoscenza intellettuale dall'esperienza. Alla fine del Settecento, Kant tenta di conciliare questi due atteggiamenti sostenendo che nel processo conoscitivo cooperano strutture innate della mente e dati empirici.
Proprio quest’ultimo punto mi pare di particolare interesse per la nostra questione.
Riproponiamo il quesito: il quadro che vedono l’artista e lo spettatore è lo stesso quadro?
Se accettiamo l’impostazione kantiana, dovremmo dedurre che la risposta debba essere sostanzialmente positiva con l’avvertenza della variabilità dei dati empirici, visto che sulle strutture innate non ci dovrebbero essere dubbi. Il dato di imponderabilità del fatto empirico, tuttavia, rimane. Tornando al nostro esempio, artista e spettatore certamente vedono il quadro ma forse non è lo stesso quadro. L’artista, nel lungo processo creativo che lo ha portato alla realizzazione finale, lo ha “pensato, visto, realizzato” in una certa condizione della mente e del corpo suoi propri, impossibili da ripetere esattamente, così come per le condizioni di luce e di percezione. Lo spettatore, dal canto suo, vede il quadro secondo i suoi costrutti interni, il suo gusto, la sua competenza, i suoi mutevoli stati d’animo.
Gli stati interni dei due soggetti, però, direbbe Wittgenstein, con questa impostazione sarebbero incomunicanti.[2]
Ma egli, criticando radicalmente l’idea che i due soggetti debbano essere presi come due mondi chiusi che poi entrano in comunicazione, ci suggerisce che in fondo in fondo siamo costitutivamente sempre in “azione”, parliamo e costruiamo una rete semantica contemporaneamente, ci mettiamo d’accordo insomma.
Si può accettare con maggiore o minore convinzione questa impostazione di semantica costruttivistica, ma non mi pare che ci possano essere molte alternative. O accettiamo l’idea che abbiamo a che fare con dei “giochi linguistici”, proprio come con gli scacchi, per cui il gioco si sviluppa in molti modi possibili pur avendo un numero limitato di regole condivise, oppure ritorniamo all’idea insuperabile che risulterebbe impossibile condividere gli stati interni di ciascuno, confinati ognuno nel proprio spazio interiore inattingibile. In definitiva, esistono molteplici forme di linguaggio, e queste forme non possono nemmeno essere quantificate e definite una volta per tutte, perché continuamente si creano e si distruggono nuovi linguaggi; sfumature e giochi linguistici cambiano continuamente e si evolvono, non solo in sé ma anche in relazione al contesto antropologico in cui si sviluppano.
Rimane da charire, peraltro, il particolare contesto antropologico della fruizione artistica. Nel linguaggio comune, il significato corriponde al suo uso in un determinato contesto. Nell’arte funziona allo stesso modo?
L’artista, in genere, si pone sempre al limite del linguaggio [3], in cerca di nuove forme espressive, per ampliare e scavare nel già noto, in nome di un impulso comunicativo e conoscitivo sottratto, in tutto o in parte, alla prevalente dimensione dell’utilità.
A questa domanda, Wittgenstein risponderebbe di sì: l’arte è uno dei tanti giochi linguistici. Questione compresa a perfezione, ad esempio, da Bruce Nauman. (http://www.teknemedia.net/magazine/dettail.html?mId=2577) e ancor prima da Duchamp, da te molto ammirato, se non ricordo male. (Vedi http://www3.unibo.it/parol/articles/seminario_principe7.htm).
Potremmo aggiungere, anche, che ogni artista, preso in sé stesso, è un gioco linguistico a sé stante, con sue proprie regole e con codici propri. Inoltre, ed è il motivo per cui attribuiamo grande importanza alle performances artistiche, egli costruisce nuovi giochi in cui spesso lo scopo del gioco è la possibilità di darsi (a) nuovi giochi.

2. Le condizioni della conoscenza

“La filosofia è conoscenza, acquisita con retto ragionamento, degli effetti o fenomeni
partendo dai concetti delle loro cause o generazioni e ancora delle generazioni, che possono
aver avuto luogo, partendo dalla conoscenza degli effetti” (Hobbes).

“Ogni parte della materia può essere concepita come un giardino pieno di piante o come
uno stagno pieno di pesci. Ma ciascun ramo delle piante, ciascun membro dell'animale,
ciascuna goccia dei suoi umori è ancora un giardino o uno stagno” (Leibniz)


In questo frangente, purtroppo, ci possono aiutare solo i pezzi grossi del pensiero e senza voler fare troppi svolazzi sulla storia delle idee, tocca fare i conti con Immanuel Kant[4].
Il nostro distingue nettamente tra conoscenza sensibile e conoscenza intellettuale. La prima è dovuta alla passività o ricettività del soggetto che riceve appunto i dati sensibili: essi ci fanno vedere le cose così come ci appaiono, cioè ci fa conoscere i fenomeni, le cose come si manifestano a noi e non come sono in sé. La seconda è una facoltà del soggetto che ci permette di cogliere le cose così come sono, nel loro vero essere, che può essere colto solo dal pensiero, e per questo motivo Kant chiama le cose come vengono colte dal pensiero noumeni (dal greco noein, "pensare"). Concetti dell'intelletto sono ad esempio quelli di "possibilità", di "necessità" e simili, i quali ovviamente non possono derivare dai sensi. Gli errori della metafisica tradizionale derivano dal "gioco illusionistico" di confondere conoscenza intellettuale e conoscenza sensibile. E, cosa ancor più rilevante, noi conosciamo solo i fenomeni, come abbiamo detto, non i noumeni, le cose in sé.
La sua rivoluzione copernicana, come la chiamerà, è tutta qui: ogni conoscenza sensibile avviene nello spazio e nel tempo: lo spazio e il tempo non sono proprietà caratteristiche delle cose, realtà ontologiche, né semplici rapporti fra i corpi.
Essi sono invece le forme della sensibilità, cioè i modi con cui il soggetto coglie sensibilmente le cose.

La sua ‘Critica della Ragion Pura’ (1781) ha per oggetto la cosiddetta ‘Estetica Trascendentale’, che studia le forme a priori della sensibilità , intesa come facoltà degli uomini di essere modificati dagli oggetti esterni . Infatti, ogni conoscenza comincia con l' esperienza, ovvero con ‘l'affezione’ dei nostri sensi da parte degli oggetti esterni attraverso una intuizione (termine con il quale Kant indica qualsiasi rappresentazione immediata, cioè non discorsiva). Ma se l'esperienza fornisce a posteriori il materiale della conoscenza, sono invece determinate a priori le forme, cioè le modalità del soggetto che condizionano e rendono possibili la ricezione del materiale. L' intuizione conterrà quindi in sé due aspetti : da un lato, il contenuto materiale della sensazione, dall' altro, la struttura formale che condiziona la possibilità del ricevere. Questo aspetto formale dell' intuizione è l' intuizione pura; mentre la congiunzione di un' intuizione pura con la sensazione materiale costituisce l' intuizione empirica.
Kant, si diceva, individua nello spazio e nel tempo le forme a priori della sensibilità : lo spazio è la forma del senso esterno, il tempo quella del senso interno. Spazio e tempo non sono dunque né rappresentazioni astratte dall' esperienza, né concetti costruiti discorsivamente dall' intelletto, ma intuizioni pure, le quali costituiscono le condizioni a priori di qualsiasi rappresentazione sensibile e quindi sono precedenti ad ogni esperienza possibile . In altri termini, tutto ciò che è dato nell' intuizione, viene necessariamente rappresentato nello spazio e nel tempo. A causa di questo processo di spazializzazione e di temporalizzazione noi non conosciamo gli oggetti come essi sono in sé , ma soltanto come ci appaiono, ovvero come fenomeni. Più precisamente, lo spazio è l' intuizione pura dei fenomeni del senso esterno, il tempo è l' intuizione pura dei fenomeni del senso interno . Ma poiché i fenomeni del senso esterno, in quanto dati al soggetto, sono anche fenomeni del senso interno e vengono rappresentati nell' elemento temporale, il tempo viene ad essere l' intuizione pura di tutti i fenomeni, di quelli del senso interno direttamente, di quelli del senso esterno (dati direttamente nello spazio) indirettamente. Lo spazio e il tempo, inoltre, stanno a fondamento della matematica, in quanto consentono la costruzione intuitiva delle conoscenze sintetiche dell' aritmetica e della geometria. Infatti, l' intuizione pura della continuità temporale sta alla base dell' aritmetica, rendendo possibile la successione numerica, cioè l' aggiunta successiva di una nuova unità alla quantità numerica già data. Analogamente l' intuizione della contiguità spaziale fonda la possibilità della costruzione delle figure geometriche : la linea non è che il movimento ideale di un punto nello spazio, così come il piano è dato dal movimento di una linea e il volume dei corpi dal movimento di un piano .
E’ stato faticoso, lo ammetto; Kant è un pensatore pedante ma scrupoloso all’inverosimile e ci ha disegnato un sistema conoscitivo che solo in parte è stato messo attualmente in discussione.
Tornando a noi, direi che abbiamo fatto un passo avanti nel comprendere che per ogni rappresentazione è necessario porsi il problema, in termini kantiani, delle condizioni trascendentali della conoscibilità.
Questo ci porta però al problema della rappresentabilità di queste condizioni di conoscenza. Problema, direi, insolubile se lo affrontassimo in termini di risalita alle cause: come diceva Aristotele, ad un certo punto dobbiamo fermarci nel ritornare alla genesi degli eventi; intendere lo spazio-tempo come condizione della conoscenza ci impone di fermarci qui. Ma su questo forse è il caso di tornarci fra un po’.
Prima varrebbe la pena, secondo me, dar conto di un problema molto serio, che scaturisce dalla dicotomizzazione che si origina da questa impostazione kantiana e da quella che viene definita da Benjamin e poi da Agamben “perdita dell’esperienza”.[5] Detto altrimenti, si tratta di interrogarsi (nientemeno!) sullo statuto conoscitivo dell’arte e sul tipo di conoscenza apportato dalla fruizione di un’opera d’arte, come andiamo investigando a partire dal tuo quesito. Sembra un percorso da scatole cinesi, lo so. Cercavamo le condizioni della conoscenza e abbiamo visto che ad un certo punto occorre fermarsi e andare a vedere “dentro la scatola” per verificare se il metodo conoscitivo è unico e solo per ogni oggetto di conoscenza o, com’è probabile, dipende dall’oggetto, soprattutto in ambito estetico.
Ci si pone cioè la questione, ridotta ai suoi termini essenziali, se la produzione artistica ci consegna un “oggetto” diverso dal solito, cui si è aggiunto un che di bello e di pregevole, sottraendolo all’uso comune e collocandolo in una sfera di autenticità ed unicità o dobbiamo prendere atto, invece, che il tipo di esperienza che viviamo nella modernità [nell’epoca della riproducibilità tecnica] abbia cancellato, come direbbe Benjamin, ogni “aura” di autentiticità. In più, aggiunge, non dobbiamo dolercene. Quel che è mutato è lo statuto della nostra esperienza, non solo lo status dell’opera d’arte. Siamo in un’epoca, conclude il nostro, in cui l’esperienza non conduce alla conoscenza; l’interruzione di questo circuito virtuoso, rende problematico ogni approccio alla conoscenza, all’arte e ad ogni sua possibile fruizione.
In linea generale, infatti, la soggettività trascendentale (conoscitiva e morale) è dal lato intellettuale e oggettivo; la sensibilità dal lato empirico e soggettivo. Sensazione e sentimento non contribuiscono in nulla alla costituzione della soggettività trascendentale e ‘vera’ dell’uomo e perciò non contribuiscono alla reale costituzione della sua esperienza.
Il mondo della soggettività - quale viene configurato dalla nascita della scienza moderna - è dunque accolto da Kant, al livello puro e trascendentale, solo nei suoi aspetti conoscitivi e morali oggettivamente certificabili da scienza newtoniana e morale cristiana, ma è lasciato come residuo empirico e impuro nei suoi aspetti di sensazione e sentimento.
Ma psicologia, antropologia, natura come totalità, finalità, sentimentalità rimangono come residui empirici, impuri, resistenti ad ogni concettualizzazione scientifica e moralistica, come il gusto e la bellezza - collocatasi, dopo l’affermarsi della mentalità della rivoluzione scientifica, tra un “non so che” e un “mi piace” puramente empirico-sentimentale. Il tentativo di appropriazione di queste sfere eccedenti e debordanti trova in questo dualismo i propri limiti massimi, il territorio d’esperienza più ostile a una riduzione quantitativo-meccanicistica o etico-morale (il Bello non è il Vero e non è il Bene). Soggettività, sentimentalità, finalità in che misura possono produrre universalità e costituire reale esperienza?
Certo, nello sviluppo successivo dell’Estetica, la bellezza, da Kant fondata sul bello naturale, è stata ridotta a bellezza artistica e così essa, come fondamento dell’arte, ha trovato la sua definitiva formulazione nella “dissoluzione” dell’arte posta da Hegel: ma questa è appunto la ‘visione’ moderna della bellezza: come artistica e come prodotto creato e controllato dal fare ‘progressivo’ dell’uomo. (Vedi http://www.filosofico.net/esteticahegelll.htm)

Abbandonato ogni ingenuo realismo e ogni idea di rispecchiamento arte/natura, il terreno di analisi dell’arte si struttura intorno ai codici culturali agiti e condivisi o avversati (come il rapporto tradizione-avanguardia ci insegna) dall’artista, dal mercato, dallo spettatore anonimo, dal critico/organizzatore/creatore di fenomeni artistici. Tutti questi soggetti e i loro mutevoli rapporti originano e strutturano il nuovo campo dell’arte, i suoi sviluppi (?), le sue spesso incomprensibili diatribe interne, a perfetta smentita dell’idea hegeliana del ruolo di elevamento verso l’Assoluto dello Spirito da parte dell’arte.
Che quadro vedono, allora, l’artista e lo spettatore?
E’ riprovevole rispondere ad una domanda con un’altra domanda, ma il percorso compiuto non mi pare disprezzabile né del tutto inutile. In genere, come dice Wittgenstein di sé stesso, il ruolo del filosofo è quello di fare differenze. Che è quello che abbiamo cercato di fare fino a qui. Rimane da capire a quali condizioni e in quali modalità possiamo rappresentarci l’idea di tempo, inevitabile problema estetico e filosofico per chi si approssima alla definizione della rappresentazione artistica e delle sue peculiari scelte espressive.

3. Come pensare il tempo della rappresentazione?

Il tempo dell’artista, della sua creazione interiore e della sua realizzazione esteriore, può essere il tempo dello spettatore, del critico, del suo accoglimento e della sua decodificazione?
Per Paul Klee, ogni gesto che traccia anche un semplicissimo segno spaziale è al contempo, inesorabilmente, un evento temporale, ci mette del tempo a depositarsi sulla tela; così come del tempo ci vuole perché l’osservatore percepisca quello stesso segno.
Le immagini, dunque, hanno un tempo, e fanno tempo. Ma come va inteso, propriamente, questo tempo? Dovremmo forse, semplicemente, accostare alla topologia una cronologia? E non lo abbiamo, in fondo, fatto da sempre, proprio con la storia dell’arte?
Comprendo davvero, e definitivamente, un’immagine quando la riconduco al suo contesto storico (sociale, politico, economico, culturale tout court), cioè quando ne colgo il significato che essa ha assunto nel suo tempo. Sfortunatamente per questo modello interpretativo, lo storico proprio in quanto tale appartiene ad altro tempo rispetto a quello dell’immagine, che gli rimane perciò sempre prospetticamente distante; e, altrettanto inevitabilmente, l’immagine sopravvive al proprio tempo e finisce in tempi diversi, successivi, condizionandoli e venendone condizionata.
L’immagine è, dunque, costitutivamente anacronistica. Come dar conto, allora, di questo intrico di tempi che si accavallano nell’immagine, contraddicendosi e complicandosi in essa e grazie ad essa? Possono darne conto una storiografia ed una critica che non tengono conto di tutti questi discronismi o anacronismi, alle prese spesso con il palesarsi spesso incoerente, paradossale e choccante di alcune immagini? Oppure invece è necessario tener conto che occorre guardare negli occhi l’anacronismo dell’immagine e la sua perturbante realtà inclassificabile?
Penso di aver esaurito le mie risorse. E anche la tua pazienza, immagino.

Un caro saluto
AAM

NOTE

[1] Vedi questo interessante intervento di un grande scienziato russo, Prigogine, che a lungo si è interrogato sui problemi dell’irreversibilità del tempo, dell’evoluzione e del rapporto tra scienza e filosofia. http://xoomer.alice.it/llpassal/prigogine/prigogine16.htm

[2] “Il cosiddetto argomento contro il linguaggio privato è stato concepito per mostrare che sarebbe impossibile sviluppare un linguaggio in questa condizione originaria di isolamento completo che viene ipotizzato da Descartes e da Russell. Ovviamente, ci si può domandare se sia veramente un argomento valido, ma questa è una questione estremamente complessa. Invece, questa è la sua valenza: è un’argomentazione sviluppata in opposizione a quella lunga tradizione che imposta la questione della percezione e del mondo esterno a partire da una posizione minimalista, tale per cui noi stessi siamo soli con le nostre sensazioni e dobbiamo costruire il mondo esterno partendo soltanto da queste. L'argomento del linguaggio privato è concepito per dimostrare che questo non è un modo ragionevole di concepire la nostra posizione originaria. Prendiamo l'esempio del dolore. Wittgenstein pensa che ciò da cui si parte è la situazione sociale, la situazione familiare, nella quale non si pone la questione del dolore altrui: tuo figlio grida e tu reagisci immediatamente, non c'è alcuna sofisticata questione intellettuale dietro. Ed il bambino, secondo Wittgenstein, apprende nello stesso modo, apprende contemporaneamente ciò che riguarda lui e ciò che concerne gli altri. L'argomento contro il linguaggio privato è concepito per mostrare che il modo cartesiano di considerare tutto ciò è sbagliato perché separa il linguaggio delle sensazioni dalla vita reale. Wittgenstein dice, infatti, che, in tal modo, si mette "il carro davanti ai buoi".
Tratto da:
http://www.emsf.rai.it/scripts/interviste.asp?d=44
(Vedi anche http://www.treccani.it/site/Scuola/nellascuola/area_scienze_umane/archivio/wittgenstein/fortuna.htm)


[3] Linguaggio, qui, vale come espressione in senso lato, anche come opera, testo, quadro, ecc.
[4] Se hai voglia di divertirti, v. http://it.wikipedia.org/wiki/Immanuel_Kant.
[5]Vedi la scheda http://www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=Benjamin.html


venerdì 12 settembre 2008

Que serà di Chico Buarque de Hollanda

Una delle più belle canzoni che mi è capitato di sentire.
Ascoltatela nella versione che ne hanno dato Fossati (Album "Di terra e di vento", 1989)e Fiorella Mannoia. La traduzione è di Anna Lamberti e Fossati.


Metto il testo originale e una traduzione subito di seguito.

O que será que me dá
Che sarà che mi accade
Que me bole por dentro, será que me dá
Che mi agita qui dentro, sarà che mi accade
Que brota à flor da pele, será que me dá
Che sorge a fior di pelle, sarà che mi accade
E que me sobe às faces e me faz corar
E mi viene sulla faccia e mi fa arrossire
E que me salta aos olhos a me atraiçoar
E che mi salta agli occhi e mi fa tradire
E que me aperta o peito e me faz confessar
E che me stringe il petto e mi fa confessare
O que não tem mais jeito de dissimular
Quello che non è più possibile dissimulare
E que nem é direito ninguém recusar
E che neanche è diritto di nessuno rifiutare
E que me faz mendigo, me faz suplicar
E che mi fa mendico, mi fa supplicare
O que não tem medida, nem nunca terá
Che non ha misura, né mai ce l’avrà
O que não tem remédio, nem nunca terá
Che non ha soluzione, né mai ce l'avrà
O que não tem receita.
Che non ha ricetta
O que será que será
Che sarà che sarà
Que dá dentro da gente e que não devia
Che accade dentro di noi e che non doveva
Que desacata a gente, que é revelia
Che ci insulta, che è ribelle
Que é feito uma aguardente que não sacia
Che è fatto come un’acquavite che non sazia
Que é feito estar doente de uma folia
Che è come essere malato di una pazzia
Que nem dez mandamentos vão conciliar
Che neanche i dieci comandamenti riusciranno a conciliare
Nem todos os unguentos vão aliviar
Né tutti gli unguenti potranno guarire
Nem todos os quebrantos, toda alquimia
Né tutti i malocchi, né tutta l’alchimia
Que nem todos os santos, será que será
Neanche tutti i santi, sarà che sarà
O que não tem descanso, nem nunca terá
Che non ha riposo, né mai ce l’avrà
O que não tem cansaço, nem nunca terá
Che non ha stanchezza, ne mai ce l’avrà
O que não tem limite.
Che non ha limite
O que será que me dá
Che sarà che mi accade
Que me queima por dentro, será que me dá
Che mi brucia qui dentro, che sarà che mi accade
Que me perturba o sono, será que me dá
Che mi turba il sonno, sarà che mi accade
Que todos os tremores que vêm agitar
Che tutti i tremori che mi vengono ad agitare
Que todos os ardores me vêm atiçar
Che tutti i calori mi vengono a stimolare
Que todos os suores me vêm encharcar
Che tutti i sudori mi vengono a bagnare
Que todos os meus órgãos estão a clamar
Che tutti i miei organi stanno a reclamare
E uma aflição medonha me faz implorar
E un'afflizione spaventosa mi fa implorare
O que não tem vergonha, nem nunca terá
Che non ha vergogna, né mai ce l’avrà
O que não tem governo, nem nunca terá
Che non ha governo, né mai ce l’avrà
O que não tem juízo...



Chico Buarque, per anni costretto all’esilio, da un’immagine universale del “popolo”, celebrato, esaltato e descritto scendendo fino al gomito negli strati più bassi, dove puttane, profeti ubriachi, poeti, banditi e infelici confondono i propri destini e nella loro disperata fame e sete di giustizia sono percorsi da una forza che è il segreto stesso della vita.

domenica 7 settembre 2008

Nuvole


Nuvole

Quella mattina, come tutte le mattine del resto, Girolamo Tagliavento si guardò allo specchio. E non si piacque. Quel tipo che lo guardava dall’altra parte non era lui, era una variazione sul tema, per così dire. Quella faccia un po’ gonfia, le gote cascanti, le borse sotto gli occhi: quand’era nato, non gli erano state ancora assegnate; ritrovarsele alla sua età, ancora (ancora!) giovane, lo metteva di malanimo per tutto il giorno.
Sbirciò la sveglia e trasalì. “Devo andare”, bofonchiò.
In più, a complicare le cose, doveva correre a farsi delle foto per rinnovare la carta d’identità, ormai scaduta.
Si diresse verso una di quelle cabine fotografiche che stanno ad attendere i malcapitati avventori nei posti più visibili ma, chissà come, nessuno vede veramente mai.
Scostò la tenda e si collocò sul sedile con la faccia di un condannato al patibolo..
Mentre cercava un modo per non far cadere il cappotto poggiato sulle ginocchia, intravide con la coda dell’occhio un oggetto giallastro nei pressi del suo piede sinistro. Con un po’ di repulsione, si avvicinò con lo sguardo e si accorse che si trattava di una macchinetta per fotografie usa e getta. La curiosità vinse su tutto e dopo aver sopportato con rassegnazione gli ordini della voce metallica della cabina per ottenere le foto che gli servivano, avvolse l’oggetto in un fazzoletto, lo ficcò nella borsa e si precipitò verso la fermata del tram che l’avrebbe portato al suo ufficio.

Con un filo di ansia e di eccitazione, appena finì il lavoro, andò a riprendere le foto che aveva portato in laboratorio per la stampa. La sua curiosità lo aveva spinto a voler vedere che tipo di foto c’erano dentro quella macchinetta; tutta la mattina che era stato in ufficio aveva fantasticato sui motivi che spingono gli esseri umani a fare delle foto d’occasione. Nella sua testa compose una specie di lista con le categorie di foto che avrebbe potuto trovare in quella macchinetta e si immaginò di trovare foto di compleanno o di gruppo, magari delle foto erotiche.

Quando, appena uscito dal negozio, con un fremito delle mani estrasse le foto per poterle finalmente guardare e iniziò a scorrerle velocemente per dare uno sguardo d’insieme, rimase abbastanza sbalordito nel constatare che si trattava di fotografie con un unico soggetto: la persona che aveva scattato quelle istantanee aveva raccolto una serie di inquadrature di nuvole…solo nuvole e nient’altro che nuvole.
Solo nell’ultima inquadratura, un po’ di sbieco, si notava una testa di donna sfocata, con l’attaccatura dei capelli corvini e la fronte corrucciata. Forse un autoscatto malriuscito o un lavoro preparatorio d’artista, che cercava ispirazione per qualche paesaggio o per qualche figura umana.
Riguardò con attenzione le foto, soffermandosi su ciascuna per un po’ di tempo; in alcune di esse, chi aveva scelto di scattare quelle foto, sembrava che cercasse di catturare in quelle masse proteiformi delle figure evocative di animali o di visi umani o di città fantastiche; in altre, pareva che l’intenzione fosse quella di scovare la luce in fondo a quei corpi sospesi nel vuoto, negli squarci che si aprivano tra le nubi e il cielo; altre ancora, cercavano di trarre solo suggestioni di colore e di accostamenti cromatici tra il viola, il violetto, il rosso, il rosa e l’azzurro.
Si accorse che non aveva mai guardato il cielo e le nuvole in quel modo, con quella capacità di scovare in ogni momento del giorno un elemento d’interesse e di sorpresa e si ritrovò subito dopo con lo sguardo rivolto verso il cielo, come a voler smettere per sempre di guardarlo distrattamente.
“Ciao Giugio, amore..”
Sobbalzò per quella brusca interruzione ma subito sorrise per accogliere Milena e schioccarle un bacio sulla fronte.
“Ciao, amore, come stai?”, riuscì a dire subito dopo.
“Che stavi facendo?”, chiese lei.
E lui. “Niente. Stavo guardando il cielo. E anche le nuvole. Guarda anche tu, non le trovi belle?”, disse con un’inconsueta nota di tenerezza nella voce.
Milena lo guardò per un po’, prima di rivolgere lo sguardo verso l’alto.
Mentre guardava il cielo, con poche nuvole sfilacciate in uno sfondo di azzurro cristallino, pensò a quando aveva visto il suo Giugio per la prima volta. Era un freddo pomeriggio d’autunno e pioveva a dirotto. Intirizzita dal freddo, si era rifugiata in una pasticceria e si era seduta ad un tavolo, ordinando un te caldo e dei pasticcini. Era li da un po’ quando vide entrare quel buffo tipo avvolto in un impermeabile completamente zuppo e con lo sguardo allucinato di chi aveva attraversato una tempesta tropicale più che un normale acquazzone continentale. Quell’uomo si guardò intorno un po’ smarrito, in cerca di un angolino dove aspettare che spiovesse. Milena si accorse che guardava con grande interesse quel posticino accanto a lei, al suo striminzito tavolino e ne ebbe compassione; gli fece un sorriso quasi impercettibile e lui, rincuorato, si sedette accanto a lei. Un’onda di odore di bucato, fresco e umido, le arrivò alle narici, ricordandole l’infanzia e i pomeriggi d’inverno passati dalla nonna, con i panni stesi ad asciugare su una sedia vicino alla stufa.
“Che tempaccio, eh…”, fece lui, giusto per rompere il ghiaccio.
Lei assentì con la testa e non disse nulla.
Quasi a scusarsi di tanta scontrosità, finito il suo spuntino, d’impulso, senza pensarci su, disse a quell’uomo inzuppato e ancora smarrito: “ Ho un ombrello. Se vuole le posso dare uno strappo, vado verso il centro”.
Lui la guardò con la riconoscenza di un bimbo che veniva salvato dalla madre da una brutta situazione e disse solamente: “si…certo, va bene”. E uscirono
Non avevano fatto che pochi passi, quando il cielo improvvisamente si illuminò e tra le nuvole che si allontanavano velocemente comparve uno squarcio di azzurro intenso e puro; estasiati di fronte a quello spettacolo inatteso, stettero col naso all’insù per un po’. Poi lui le prese l’ombrello dalle mani, si spostò sul fianco opposto dandole la destra come fanno i veri gentiluomini e si incamminarono con negli occhi un senso di allegria. Lei, istintivamente, gli afferrò il braccio.
Milena, in quel momento, pensò che quando entrambi guardavano il cielo poteva succedere qualcosa di speciale. E sorrise.

giovedì 4 settembre 2008

Nuove frontiere della medicina.Per cure mediche individualizzate avremo bisogno di un consulente genetico.

Nell'edizione 2008 del Festival di Spoleto, si è tenuto un importante workshop dedicato alle conoscenze attuali sul genoma e agli scenari di cura e intervento sulle malattie che si intravedono per gli anni a venire.(1)Questo spazio di approfondimento si è aperto con un interrogativo semplice ma carico di conseguenze: si può conoscere il proprio genoma?
Tentare di rispondere a questa domanda significa cercare di comprendere lo stato dell'arte intorno alla mappatura e alla decifrazione del codice genetico umano, cominciare ad ipotizzare una “personalizzazione” delle cure mediche per le malattie più diffuse e pericolose, porsi una serie di interrogativi etici e giuridici intorno alla natura, alla proprietà e alla diffusione dei dati genetici.
Gli esperti chiamati a confrontarsi con queste problematiche aperte dalla conoscenza sempre più raffinata delle interazioni dei geni nel codice genetico umano, hanno mostrato opportunità e rischi delle applicazioni di queste conoscenze in campo medico, scientifico etico e giuridico.
L'intervento del prof. Corbellini, storico della medicina e moderatore del dibattito, ha introdotto i punti principali della discussione, evidenziando in primo luogo come la pretesa modernità della personalizzazione della medicina sia un vero abbaglio, poichè già Ippocrate, parlando di Prognosi, era pervenuto alle medesime conclusioni.
In secondo luogo, Corbellini entra nel merito della discussione del determinismo o eccezionalismo genetico. Con il primo si intende un rapporto stretto di causa-effetto tra codice genetico e insorgenza di malattie, mentre nella ricerca attuale si vede che si tratta di probabilità e non di certezze; si eredita il rischio maggiore di ammalarsi, non la malattia. Per eccezionalismo genetico s'intende invece la specificità dei dati genetici rispetto ad altri tipi di dati e si ritiene che la natura particolare della genetica dia origine a un rischio più grande o a rischi di natura differente dai normali concetti di rischio noti da tempo in medicina; per questo è necessario predisporre particolari tutele sulla loro diffusione, soprattutto in relazione alla conoscibilità dei dati genetici individuali attraverso lo studio dei dati genetici dei propri genitori o del gruppo di appartenenza. Come vedremo più avanti, si tratta di un tema eticamente e giuridicamente controverso.

Il Prof. Boncinelli, fisico e genetista, ha evidenziato tutti i cambiamenti che sono intervenuti in questo settore della scienza dalla presentazione del Progetto Genoma Umano di Dulbecco del 1987, pubblicato su Nature ad oggi. Lo stato dell'arte della genetica, prosegue Boncinelli, è che questa scienza ha segnato dei grandi risultati nell'individuazione dei geni monofattoriali all'origine di alcune importanti malattie, come nel caso della distrofia, della fibrosi cistica, dell'anemia mediterranea. Tuttavia, le malattie monofattoriali sono rare; tutti possediamo tratti multifattoriali, con l'intervento congiunto di molti geni, come nelle malattie più diffuse, quali ipertensione, diabete, asma, tumori, ecc.. Queste malattie non hanno un gene “padrone”, ma derivano dal malfunzionamento di un certo numero di geni la cui attivazione deriva da molti fattori, ereditari ed ambientali, nonché dagli stili di vita. Non si è quindi condannati, ma predisposti; la fortuna o una vita scriteriata possono determinare l'insorgenza di una patologia oppure no. E' evidente che conoscere il funzionamento dei geni può aiutarci a combattere le diverse patologie in modo sempre più preciso ed efficace.Un sistema che stanno seguendo molti ricercatori è quello di concentrarsi su gruppi genetici omogenei, poiché risulta più probabile scoprire le mutazioni genetiche in gruppi in cui le variazioni sono minori e gli scambi sono circoscritti. La medicina personalizzata, poi, che è sempre stata l'obiettivo del medico, può essere in un futuro abbastanza prossimo applicata in modo scientifico e imparziale. Piuttosto non sapremo cosa farcene di tutti questi dati ed è probabile che avremo un eccesso di informazioni. Più che altro, prosegue Boncinelli, che ipotizza uno scenario per gli anni a venire davvero diverso da quello che conosciamo, occorreranno enormi sforzi finanziari e organizzativi per rendere possibile una diagnostica ed una prognostica basata sulla mappatura genetica. Probabilmente sarà necessario modificare in modo sostanziale anche i sistemi formativi e si dovrà riorganizzare la formazione universitaria dei medici; si dovrà pensare di formare un certo numero di “consulenti genetici”, una nuova figura che in campo medico ancora non esiste. Insieme alla diagnosi medica basata sul profilo genetico, ci si dovrà rivolgere al consulente genetico che spieghi e progetti l’intervento terapeutico a partire dal nuovo sistema diagnostico.

Il Prof. Cusi, biologo e genetista, ha diffuso i risultati di alcune ricerche, mostrando come si pone attualmente il problema di come trattare dati genetici studiati prima che le tecnologie in uso oggi nell'incrocio dei dati fossero disponibili. Altro aspetto sottolineato dal prof. Cusi ha riguardato il grado di conoscenza comune intorno a questi temi e ha ottimisticamente concluso che il senso comune è in grado di discernere abbastanza agevolmente i termini principali della questione e che nell'opinione pubblica si nutre un certo ottimismo intorno a queste ricerche.

Il prof. Redi, genetista, si è soffermato maggiormente sugli aspetti di condivisione del genoma e sulla difficoltà di rispondere alla domanda di chi è il genoma, considerando che noi lo condividiamo con altre specie e che le differenze nella specie umana sono veramente molto circoscritte. A suo avviso, con una posizione decisamente schierata sulla necessità di far proseguire la ricerca senza troppi vincoli, per progredire velocemente nelle conoscenze, è necessario che tutti i dati siano contenuti in un'unica banca dati e che a partire dalla nascita sia opportuno sequenziare i codici genetici di tutti gli individui.

Il prof. Rodotà, giurista molto noto per i suoi trascorsi come Presidente del Garante della Privacy e come studioso dei rapporti tra tecnologia e diritto, è intervenuto sugli effetti della conoscenza dei dati genetici sulla vita quotidiana e sulla difficile ricerca di un equilibrio tra le esigenze della scienza e le esigenze di riservatezza e tutela dei dati.Vi sono stati dei casi, infatti, in cui è stato necessario scegliere tra vita e lavoro, come è accaduto recentemente negli Usa, dove alcune lavoratrici hanno rifutato di sottoporsi a dei test genetici, perdendo il lavoro. Casi altrettanto controversi possono sorgere se questi dati sono conosciuti dalle assicurazioni private, che così possono decidere di alzare il premio o di rifiutare la copertura assicurativa in presenza di un rischio elevato di contrarre determinati tipi di malattie. Posto che le informazioni di carattere genetico hanno un legame strutturale con l’identità di ciascuno, sostiene Rodotà, gli scenari aperti dalle necessità di ricerca cambiano le esigenze regolative del diritto quando le informazioni possedute sono divulgate in forma individuale o collettiva. In effetti, dice Rodotà, noi abbiamo un aspetto struturale ( il genoma) e un aspetto relazionale, che chiama in campo una molteplicità di soggetti e una certa quantirà di questioni etiche e giuridiche legate all’eguaglianza, alla salute e alle relazioni sociali.In altri termini, si apre uno scenario in cui risulta indispensabile chiarire la titolarità delle informazioni genetiche. Anzitutto, occorre chiarire se queste informazioni appartengono alla persona o al gruppo, poiché in gran parte questi dati sono condivisi; in secondo luogo, occorre stabilire quali sono i soggetti e i ruoli dei poteri pubblici e della ricerca in questo particolare ambito, dato che Rodotà sembra propendere per l’eccezionalismo genetico e conseguentemente ritiene che la manipolabilità di questi dati abbia bisogno di una particolare cautela. In linea di principio, sostiene ancora Rodotà, dovremmo considerare il genoma come un bene comune; qualsiasi privatizzazione dovrebbe essere esclusa.Quanto ai casi sempre più frequenti di indagini genetiche collettive, come per esempio le indagini che si stanno conducendo in Islanda e in altre parti del mondo su gruppi genetici omogenei, per trovare un punto di equilibrio tra privacy, rischi di discriminazione e esigenze conoscitive, è opportuno prevedere una metodologia chiaramente orientata al consenso informato e aperto, non omnibus, intorno all’accesso, alla custodia rigorosa e alla tracciabilità dei dati raccolti.Come si vede, la quantità degli aspetti problematici è veramente imponente e risulta doveroso osservare nei confronti della conoscibilità e manipolazione dei dati genetici il maggior rigore e la maggior cautela possibili. Come di consueto, si ripresenta la tipica ambivalenza dei progressi scientifici e tecnologici: ad un sostanziale progresso della conoscenza si associa un corrispettivo aumento dei rischi, ad una crescita delle opportunità e dei benefici corrisponde un nuovo ordine di problemi e una difficile ricerca di soluzioni equilibrate.Come diceva acutamente Ippocrate: «La vita è breve, la tecnica è lunga, l'occasione è fugace, l'esperienza è fallace, il giudizio è difficile»
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NOTE
(1) Quest'anno la Sezione Scienza ha proposto due temi: a)“La scienza al tramonto del secolo breve”, dedicata al rapporto tra scienza e opinione pubblica. (cui abbiamo già dedicato un intervento: vedi il n° 44 della Rivista Lavoro e Postmercato); (b) Il secondo tema dibattuto ha riguardato il genoma umano e le nuove prospettive della cure individualizzate aperte dalla maggiore conoscenza dei codici genetici. Il titolo di questo secondo workshop, di cui ci occupiamo in questo articolo, è “La scienza all’alba del nuovo ordine”.

Sommario Rivista Lavoro e PostMercato n° 45

Lavoro e Post Mercato
Quindicinale telematico a diffusione nazionale a carattere giornalistico e scientifico di attualità, informazione, formazione e studio multidisciplinare nella materia del lavoro
Rivista n. 45 - del 01-09-2008

Sommario
Argomento: Laboratorio sociale

Olimpiadi: tempo di bilanci, tra Phelps e Bolt spunta Natalie du Toit
Natalie, chi?Natalie du Toit, nuotatrice sudafricana che è stata la prima atleta con una amputazione a qualificarsi per i Giochi e che ha concluso la 10 chilometri di fondo al quattordic...
Diego Piergrossi
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Argomento: Laboratorio sociale
Prevenzione degli infortuni, pubblicato il concorso per il Premio Bruco 2008
Appena conclusa l'edizione 2007 con la recentissima premiazione del vincitore del Primo Premio Bruco: Fabrizio Bisconti eccoci a dare notizia della pubblicazione del bando di concorso per l'edizione 2...
La Redazione (R.S.)
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Argomento: Info lavoro
Al bando la pratica dei massaggi sui nostri litorali
Era stato l'evento estivo del 2005: le massaggiatrici cinesi sui litorali, soprattutto romagnoli, che per dieci euro praticavano massaggi, "armate" di tutto punto (olio, talco...).<...
Rita Schiarea
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Argomento: Formazione
Nuove frontiere della medicina.Per cure mediche individualizzate avremo bisogno di un consulente genetico.
Dal nostro inviatoNell'edizione 2008 del Festival di Spoleto, si è tenuto un importante workshop dedicato alle conoscenze attuali sul genoma e agli scenari di cura e intervento sulle mal...
Antonio M. Adobbato
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Argomento: Evoluzione normativa
Libri matricola e paga addio, nasce il libro unico del lavoro
Novità per le Aziende ed i Consulenti del lavoro sulla Gazzetta Ufficiale n.192 del 18 agosto 2008 è stato pubblicato il Decreto 9 luglio 2008 avente ad oggetto Modalita' di tenuta e conservazione d...
Pierfrancesco Viola
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Argomento: Evoluzione normativa
Emolumenti a carico della PA: pubblicata la Circolare
Pubblicata silla Gazzetta Ufficiale n. 193 del 19 agosto 2008 la Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 30 aprile 2008, n. 6 rubricata Legge finanziaria 2008 - articolo 3, commi da 43 ...
Giuseppe Formichella
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Argomento: Università & lavoro
Facilitazioni per l'apprendimento della lingua russa
Entrata in vigore dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Federazione Russa sugli studi della lingua italiana nella Federazione Russa e della lingua russa nella Repubb...
Henri Lazzeri
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