domenica 27 luglio 2008

Forme e modelli di tutela della privacy – Seconda parte

3. Sfera pubblica e sfera privata.

Fino a questo punto ci siamo preoccupati di circoscrivere la sfera privata in cui ciascuno si ritira, spesso per difendersi da intrusioni sempre più pervasive. Per chiarire la portata della posta in gioco, vogliamo richiamare - brevemente - uno dei problemi principali della filosofia politica: la separazione tra sfera pubblica e sfera privata.Vi sono collegate almeno due grandi tematiche, storicamente e concettualmente distinte ma convergenti, che trovano una nuova riformulazione: il primo riguarda la cancellazione di questa stessa separazione tra spazio pubblico e spazio privato; il secondo riguarda invece la questione del rapporto tra politica e tecnica, tra l’elemento decisionale e l’elemento tecnico.

3.1 Pubblico Vs. Privato

Quando ci si richiama ai fondamentali del nostro modo d’esistenza, non si può non fare riferimento a quel mondo greco che ha fissato in modo paradigmatico i concetti base della nostra civiltà.(22)Secondo il pensiero greco, la capacità degli uomini di organizzarsi in modo politico è strutturalmente differente – e in netto contrasto – con i rapporti naturali che hanno il loro centro nell’oikia, nella casa e nella famiglia che vi risiede. Il sorgere della polis, la città-stato, come scrive la Arendt,“significò per l’uomo ricevere una sorta di seconda vita, il suo bios politikos. Ora ogni cittadino appartiene a due ordini di esistenza; e c’è una netta distinzione nella sua vita tra ciò che è suo proprio (idion) e ciò che è in comune (koinon). (…) Di tutte le attività necessarie e presenti nelle comunità umane, solo due erano stimate politiche e costitutive di quello che Aristotele chiamò il bios politikos, cioè l’azione (praxis) e il discorso (lexis), da cui trae origine il dominio degli affari umani”(23)Si stabilivano quindi due ordini di esistenza, uno definito naturale, frutto della necessità, separato, nel mondo classico, dalla polis in senso proprio e che restava saldamente confinato, come mera vita riproduttiva, nell’ambito dell’oikos. L’altro, invece, quello della polis, era legato ad uno specifico della politica, il linguaggio, e aveva a che fare con la libertà. La distinzione tra sfera domestica privata e sfera politica pubblica è importante per le conseguenze, oltre che per il tipo di rapporti che si instaurano tra i membri che vi appartengono.La polis, infatti, si distingueva dalla sfera domestica perché si basava sull’uguaglianza di tutti i cittadini, mentre la vita familiare era basata sul totale dominio del capofamiglia (despotes), soggetta alla disuguaglianza di ruoli. Solo quando il capofamiglia lasciava la casa e accedeva alla sfera pubblica era considerato libero.(24)Questa paradigmatica distinzione di ruoli e di qualità di relazioni, tuttavia, sostiene la Arendt, decade con ‘l’avvento della sfera del sociale’, allorchè l’amministrazione domestica, delle sue attività peculiari (economia viene da oikos, casa), dei suoi problemi e dei suoi strumenti specifici fuoriesce “dall’oscura interiorità della casa alla luce della sfera pubblica” [..]; ciò ha “non solo confuso l’antica demarcazione tra il privato e il politico ma ha anche modificato, fino a renderlo irriconoscibile, il significato dei due termini e la loro importanza per la vita dell’individuo e del cittadino.”(25)La posizione arendtiana ci offre la possibilità di fare uno spostamento laterale rispetto alla usuale concezione della privacy, vista come semplice separazione dalla sfera degli affari collettivi. In realtà essa vi appartiene intimamente, poiché il suo luogo di provenienza è lo spazio domestico, il quale, come abbiamo visto, è all’origine delle attività economiche. Così la Arendt:“Nella sensibilità antica, l’aspetto di deprivazione della privacy, indicato nella parola stessa, era considerato predominante; significava letteralmente uno stato di privazione che poteva toccare facoltà più alte e più umane. (…) Noi non pensiamo più alla privazione quando parliamo di vita privata, e questo è in parte dovuto all’enorme arricchimento della vita privata apportato dall’individualismo moderno. Tuttavia appare anche più importante che la moderna esperienza della privacy è almeno tanto opposta al dominio sociale (sconosciuto agli antichi che ne consideravano il contenuto una faccenda privata), quanto lo è alla sfera politica. Il fatto storico decisivo è che la privacy moderna nella sua funzione più rilevante, quella di proteggere l’intimità, fu scoperta come l’opposto non della sfera politica ma di quella sociale, alla quale è di conseguenza più strettamente e autenticamente connessa.”.(26)Nella sfera sociale, che nella modernità ha soppiantato la sfera politica, si ha la comparsa del lavoro e della produttività, sottratte all’oscura dimensione domestica e riproduttiva; essi, col tempo, hanno occupato il centro della scena pubblica. L’homo laborans ha sostituito l’individuo che eccelle nel discorso e nel coraggio dell’azione, modelli ideali del cittadino greco.La complessa ricostruzione che compie la Arendt della coppia concettuale pubblico-privato ha anche il merito di chiarire che le democrazie e i cittadini devono fare i conti con la scomparsa di questa separazione; quando si parla di mercificazione della sfera pubblica (27) o di disneyzzazione degli spazi pubblici (Lyon) si vuole intendere proprio questa colonizzazione da parte dell’economia degli spazi propri della politica. Tuttavia, questo non sembra ancora sufficiente per comprendere fino in fondo questa discontinuità. Come si è detto, il paradigma informazionale determina una radicale novità per i sistemi produttivi, per la circolazione del sapere, per la distribuzione del potere. Occorre quindi determinare quali nuove relazioni si stabiliscono tra comunicazione e politica, tra sistemi comunicativi e sfera pubblica.Anzitutto occorre liberarsi dell’idea strumentale della comunicazione e del ruolo ancillare di questa rispetto alla politica; come afferma Berardi, “la comunicazione è la sfera pubblica tout court, non lo strumento della sua formazione.”(28)In secondo luogo, dice ancora Berardi, “la mutazione che sta attraversando l’organismo sociale dissolve il problema stesso della democrazia. Non possiamo più parlare di libero confronto delle opinioni, come se le opinioni fossero libere, come se le opinioni fossero il risultato di un processo individuale, indipendente dai flussi virali di modellazione del sistema neurosociale.(…) La decisione politica non dipende più dall’opinione, dal confronto fra opinioni relativamente libere. Al livello presente di complessità del meccanismo sociale, la decisione globale dipende sempre meno dall’opinione o dalle volontà, e sempre più dal divenire cieco e inarrestabile dei flussi psicochimici (abitudini, paure, illusioni, assuefazioni, fanatismi) che attraversano la mente sociale.”(29)Fuor di metafora, se è vero che forse l’Autore si libera troppo facilmente del problema della formazione delle opinioni in un sistema comunicativo nel quale i media pongono l’agenda-setting del dibattito politico, è anche vero che forse occorre superare il facile schema classico della competizione delle idee nell’arena politica, mediata in modo neutrale dai mass-media, in primis la televisione: la forma della politica, la forma delle democrazie, sono cambiate con l’avvento della Rete. Tuttavia, l’innovazione tecnologica - rappresentata dall’informazionalismo - e la mutazione cognitiva apportata dal nuovo modello di network delle conoscenze, non producono automaticamente trasparenza democratica e neanche aumento della partecipazione dei cittadini alla gestione della res publica. Il cittadino informato non è necessariamente un cittadino che partecipa.Forse l’unico ambito di esperienza collettiva in cui si sperimentano nuove forme di partecipazione, più che quello politico, è quello amministrativo; l’e-government o l’e-democracy, quando non si riducono ad essere un’altra nicchia d’interesse per il mercato o un modo per le imprese di software per uscire dalle secche della congiuntura sfavorevole, possono rappresentare una nuova forma di partecipazione civica. Tuttavia, anche in questo caso, è spesso la tecnologia disponibile, più che la decisione condivisa, a influenzarne i destini. Più in generale, occorre forse comprendere che di nuovo lo scenario è mutato e gli elementi di fondo che lo compongono hanno cambiato di posto e di ruolo. L’economia ha preso il posto della politica, la produzione ha scalzato il posto della decisione condivisa; la comunicazione connette mondi reali e mondi virtuali, spazialmente e temporalmente distanti; la tecnologia sperimenta continuamente nuovi modi di esistenza e di adattamento all’ambiente. E la politica? E’ diventata solo amministrazione delle risorse, o vi è ancora spazio per la sua autonomia?(30)E’ possibile una società democratica, intendendo questo termine nel suo senso più ampio e non nella sua versione corrente, storicamente determinata e non modello ideale, di democrazia liberale?(31)Non è questo il luogo per rispondere a questo tipo di interrogativi. Vogliamo però affrontare una questione che riguarda l’oggetto della nostra indagine, la privacy, vista nella particolare ottica del rapporto tra politica e tecnica. Basti per adesso accennare al fatto che vi sono esperienze politico-comunicative(32) in cui si cerca di affermare l’autonomia della politica in una nuova versione del diritto all’informazione, senza dimenticare la necessità di garantirsi la proprietà dei mezzi di comunicazione. Infatti, Il diritto all’informazione è stato spesso inteso come cornice generale del problema della formazione dell’opinione e del consenso nelle moderne democrazie. Per questa ragione è stato sempre più strettamente associato alla questione della libertà di espressione. Secondo alcuni autori, nelle società tecnologicamente avanzate esso “dovrebbe [invece] essere considerato il risultato dell’insieme di più diritti: il diritto all’accesso, il diritto all’informazione e alla formazione, il diritto alla cooperazione, il diritto alla partecipazione”(33) Ciò in quanto l’informazione e la comunicazione si intrecciano con le forme della rappresentanza e della democrazia, della partecipazione e dell’autogoverno, del lavoro e dell’economia, del reddito e della produzione.La stretta interrelazione tra economia e informazione, benessere ed accesso al sapere è, d’altra parte, al centro stesso della nozione di Società dell’Informazione ed è per questo ben presente all’attenzione dei governi dei paesi più avanzati, tra i quali quello dell’UE.(34)Non solo il progresso economico, quindi, ma le forme stesse della democrazia sono influenzate dalla possibilità di partecipare a processi decisionali di interesse pubblico secondo modalità collettive che presuppongono l’accesso ad una informazione plurale, verificabile, equamente distribuita e ugualmente accessibile.

3.2 Politiche della tecnica

Come dicevamo, da qualche tempo il dibattito in corso tra i sostenitori del determinismo tecnologico o della tecnologia determinata, si è consolidato su posizioni teoriche più sfumate, sottolineando gli aspetti di multifattorialità e di circolarità del rapporto tra tecnologia e società, in cui le innovazioni tecnologiche sono la risultante di elementi tecnici veri e propri, interessi economici, uso sociale condiviso e a volte imprevedibile.(35) Questa prudente posizione di metodo può essere integrata dal richiamo alle nuove ricerche in ambito di sociologia della scienza, proposte recentemente dalla cosiddetta sociologia costruttivista.(36) L’aspetto più interessante di questo approccio riguarda il tentativo di uscire dalle consuete analisi apocalittiche sulla tecnica e di avvicinarsi più pragmaticamente alle concrete applicazioni della tecnologia, per studiarne gli usi e per darsi la possibilità di intervenire democraticamente sui suoi effetti e soprattutto sui suoi sviluppi futuri.La proposta di un metodo di questo tipo ci consente di superare dialetticamente le letture epocali della tecnica, il cui riferimento principale, com’è noto, è il pensiero heideggeriano (37), la cui posizione filosofica ha fissato in modo definitivo i termini della questione, tanto da rendere quasi ininfluente ogni discorso ulteriore.Secondo questa analisi, infatti, la tecnica non è uno strumento neutrale, ma il risultato di un processo per cui l’uomo ha usato la realtà come “fondo” (Bestand) , come una sorta di magazzino, pretendendo dalla natura che essa gli fornisse ciò di cui ha bisogno, in un’ottica di totale sottomissione, di ottimizzazione, questa provocazione continua, questo atteggiamento che considera ogni ente in termini di impiegabilità e di uso, conduce l’umanità, secondo la peculiare terminologia heideggeriana, alla im-posizione (Gestell) della realtà come fondo, per cui non è la tecnica che segue alla scienza ma viceversa: le scienze sono al servizio della tecnica, intesa in questo senso impositivo e organizzativo. Questo modo di intendere la Tecnica, non è tecnico esso stesso, ma concerne il modo stesso dell’uomo di stare al mondo in questa fase della storia; per questo, l’A. dice che esso è una destinazione, quasi un destino, se si intende in questa parola un senso non fatalistico. Esso costituisce oggi l’orizzonte storico in cui si muove l’umanità nel suo complesso, anche se “ non ci chiude affatto in una ottusa costrizione per cui dobbiamo darci alla tecnica in modo cieco, oppure – che è lo stesso – rivoltarci vanamente contro di essa e condannarla come opera del demonio. All’opposto: se ci apriamo autenticamente all’essenza della tecnica, ci troviamo insperatamente richiamati da un appello liberatore.”(38)Diverse generazioni di studiosi della tecnica hanno dovuto fare i conti con questa impostazione, finendo spesso per aggiungervi solo delle glosse. Recentemente, come si è detto, si è cercato di integrare questa visione essenzialista con una posizione più relativista e pragmatica, se ci riferiamo rispettivamente ai cultural studies (39) o al costruttivismo.Venendo agli aspetti che più ci interessano, quelli dell’uso politico delle tecnologie, chi ha cercato di rispondere a questo ‘appello liberatore’, operando una rilettura delle posizioni teoriche della Scuola di Francoforte, oltre al palese riferimento alle tematiche costruttiviste, è un filosofo americano, Andrew Feenberg. La sua prospettiva teorica, in buona sostanza, mira a recuperare una nuova possibilità per la politica di (ri)determinare il corso degli eventi, rifiutando di dover considerare la sfera tecnica e quella sociale come distinte e invece legare il destino della democrazia alla comprensione e gestione della tecnica; scrive l’A.:“ il dualismo metodologico di tecnica e significato ha delle implicazioni politiche. Da una parte, la tecnica indebolisce i significati tradizionali o l’azione comunicativa, mentre dall’altra siamo chiamati a proteggere l’integrità di un mondo dotato di senso” E poco oltre:“Quali sono le implicazioni politiche di questa prospettiva per la democrazia? E’ questa la questione politica della tecnica. Solo estendendo il problema politico della tecnica fino a includere tutti gli aspetti della società, essa potrà ridiventare importante nel tempo attuale.”(40)Superare il determinismo e l’essenzialismo si può, secondo Feenberg, se accettiamo il modello costruttivista, riassunto nei punti seguenti:“1. la progettazione tecnica non è determinata da un criterio generale, come ad esempio l’efficienza, ma da un processo sociale che contraddistingue le alternative tecniche secondo una varietà di criteri specifici ad ogni caso.2. questo processo sociale non concerne la soddisfazione dei bisogni umani ‘naturali’, ma riguarda la definizione culturale dei bisogni e quindi dei problemi ai quali si rivolge;3. le definizioni rivali riflettono visioni conflittuali della società moderna realizzate nelle diverse scelte tecniche.”(41)Ecco profilarsi una forma alternativa di razionalità, diversa dalla razionalità burocratica weberiana, che egli definisce razionalizzazione democratica. Foucaultianamente, affida alle micropolitiche tecniche (42) la possibilità di sfidare i regimi tecnici standardizzati, per immaginare, negoziare e realizzare un ordine alternativo. Esempi di nuovi ordini creativi, per il filosofo americano, si trovano nelle appropriazioni creative del software o nel campo medico, come nel caso del Minitel francese o dell’ingresso dei malati di AIDS nelle commissioni incaricate di redigere i programmi di ricerca e di sperimentazione.Può sembrare abbastanza ingenuo, oggi, pensare con Feenberg che la”tecnologia non è un destino che bisogna accettare o rifiutare, ma una sfida alla creatività politica e sociale” (43)Tuttavia, ci avverte il filosofo americano, visto che non c’è più un soggetto unico, depositario della coscienza sociale, i cambiamenti politici e più largamente sociali forse oggi si giocano a questo livello micropolitico e reticolare di riorientamento delle scelte tecniche, interrogandosi sul chi, sul come e sul cosa delle scelte tecniche, dato che esse, in fondo, se lasciate a meccanismi automatici, determinaneranno i confini dei nostri spazi vitali in modo sempre più pervasivo. Questo lungo detour non sembri eccentrico rispetto ai temi svolti nella prima parte, poiché le questioni che abbiamo posto a proposito del rapporto tra politica, comunicazione e tecnologia nella moderna sfera pubblica trovano qui una parziale risposta.Di fronte alla difesa della privacy, infatti, si pone spesso un’immagine autoreferenziale delle tecnologie, capaci di porre rimedio ai danni che hanno inferto. Lo sviluppo delle cosiddette Privacy Enhancing Technologies (PET)(44), sistemi tecnici in grado di proteggere la privacy, ha portato alla luce come sia possibile rendere più agevole quella tutela a fronte di una richiesta sociale di riservatezza. Tuttavia, proprio l’accento posto sulle tecnologie di tutela, fa rinascere quella propensione tecnicistica, tutta interna ai dispositivi tecnologici e alla loro progettazione, a scapito dell’intervento legislativo o quello più propriamente politico. Come scrive Rodotà,“ un rapporto corretto tra dimensione tecnica e dimensione socio-legislativa può essere stabilito solo se le Privacy Enhancing Technologies sono concepite come una precondizione per la successiva valutazione politica delle questioni e, quindi, per eventuali interventi legislativi. Devono essere considerate come uno degli elementi di una strategia più ampia, nella quale l’innovazione tecnologica rende possibile una innovazione sociale.”(45)Dicevamo che si tratta di una parziale risposta perché la scelta tra tecnica autorigenerante, intervento legislativo e autotutela (46) non ha ancora trovato ancora un equilibrio soddisfacente. Ciò deriva, forse, dalla mancata comprensione della posta in gioco, dal mancato riconoscimento che la tanto decantata Società dell’Informazione si è via via trasformata in una Società della Sorveglianza. Il capitolo che segue sarà dedicato a questa importante tematica.

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NOTE

22. Quanto alla politica, il passaggio obbligato è più che il Platone de La Repubblica, la Politica di Aristotele. Cfr. ARISTOTELE, Politica, Laterza, Roma-Bari, 1993 e Id., Etica Nicomachea, Laterza, Roma-Bari, 1988, 3° ed.
23. H. ARENDT, Vita Activa, op. cit., p.19. E poco oltre: “il dominio della polis, al contrario, era la sfera della libertà, e se c’era una relazione tra queste due sfere, il controllo della necessità della vita nella sfera domestica era evidentemente il presupposto della libertà nella polis.” Ibidem, p. 23. La rilettura che l’autrice fa del mito fondativo della polis ha valore meramente concettuale, non di riproposizione storica, che risulterebbe anacronistica e fuorviante. Il suo intento principale è critico-ermeneutico, mostrare come si sia giunti all’attuale “espropriazione della politica”, nella quale l’amministrazione ha sostituito la politica e il produrre ha sostituito l’agire, per cui la produttività diviene l’unico senso dell’agire in comune. Su questo punto cfr. A. DAL LAGO, Prefazione a Vita Activa, op. cit. , pp. XXI e segg.
24. La diversità qualitativa era data, secondo Aristotele, dalla buona vita: “ la comunità che risulta di più villaggi è lo stato, perfetto, che raggiunge ormai, per così dire, il limite dell’autosufficienza completa: formato per rendere possibile la vita, in realtà esiste per rendere possibile una vita felice.” ARISTOTELE, Politica, op.cit., 1252 b 30.
25. H. ARENDT, Vita Activa, op. cit., p.28.
26. Ibidem, ivi.
27. Cfr. H.RHEINGOLD, Comunità virtuali .Parlare, incontrarsi, vivere nel cyberspazio, op.cit., pp-320-325
28. F. BERARDI (BIFO), Cibernauti. Tecnologia, comunicazione, democrazia, Castelvecchi, Roma, 1996, p. 112.
29.Ibidem, p.114. A proposito di mente sociale, l’A. riprende qui il concetto di Brainframe, proposto dal teorico della comunicazione, D. de Kerkhove. V. D. DE KERKHOVE, Brainframes, Baskerville, Bologna, 1993. Secondo questa prospettiva, lo spazio mentale degli individui è parte delle stesse infrastrutture comunicative, ponendo una similitudine tra sistema nervoso e strumenti di comunicazione; ogni medium consente una esternalizzazione del pensiero verso la dimensione pubblica. Non la pensa allo stesso modo P. Levy, che accusa di riduzionismo questa posizione, instaurando un parallelo tra le società animali e quelle umane. Secondo il filosofo francese, lo spazio comunicativo è piuttosto una cosmopedia, una quantità di mondi virtuali nei quali condividere e scambiare saperi e competenze.
30. L’autonomia del politico si misura anche in relazione al problema dello Stato-nazione moderno. In un intervento apparso su una rivista, il filosofo Massimo Cacciari, sostiene che “vi è una compenetrazione essenziale, come hanno detto i filosofi (ma è anche il vero nodo tragico del pensiero di M. Weber), una coniugazione forte tra il politico moderno e il nichilismo. Questo cioè è un rapporto connaturale per il politico moderno, contratto nella forma statuale. Nello Stato che ha come suo zollen, suo dovere, suo imperativo categorico quello di diventare tecnica, detrieb, azienda, e quindi di eliminare ogni riferimento di valore che ne problematizzi l’assetto tecnico-economico-amministrativo. Che cosa significa nichilismo? Significa che per la nostra specie di uomini (…) è niente: vale niente tutto ciò che non sia tecnico-economico. Che ogni orizzonte di valore ulteriore rispetto al tecnico-economico è niente.” M.CACCIARI, Concorrenza e solidarietà nella politica e nella società. Le forme del sovrano, in “Next”, Strumenti per l’innovazione, 13, 2001, p. 115.
31. Si è parlato a questo proposito, di postdemocrazia. In questo nuovo regime, “anche se le elezioni continuano a svolgersi e condizionare i governi, il dibattito elettorale è uno spettacolo saldamente controllato, condotto da gruppi rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione e si esercita su un numero limitato di questioni selezionate da questi gruppi. La massa dei cittadini svolge un ruolo passivo, acquiescente, persino apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve. A parte lo spettacolo della lotta elettorale, la politica viene decisa in privato dall’interazione tra i governi eletti e le èlites che rappresentano quasi esclusivamente interessi economici”. C. CROUCH, Postdemocrazia, Laterza, Roma-Bari, 2003, p. 6. E’ molto distante dalla realtà, come si vede, il tentativo habermasiano di ridare smalto all’utopia illuminista della razionalità discorsiva V. J. HABERMAS, Teoria dell’agire comunicativo, Il Mulino, Bologna, 1986. L' agire comunicativo dovrebbe rappresentare la condizione originaria del soggetto che si pone in relazione con se stesso, con gli altri e con il mondo esterno, attraverso il linguaggio che funge da medium. La comunicazione, oltre che agire sul piano della conoscenza, interviene sulla sfera dell’azione. Alla strumentalità della comunicazione e dei suoi mezzi, si sostituiscono la razionalità, la logica, la dialettica, che regolano, attraverso il linguaggio, i rapporti e le azioni degli uomini.
32. Come abbiamo visto le questioni sono ormai intimamente legate: il “discorso” di Aristotele, il linguaggio come segno distintivo della politica, torna sotto altre forme, quelle della comunicazione mediatizzata.
33. A. DI CORINTO, T. TOZZI, Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, op. cit., pp. 75-76.c.n. Nello stesso volume è possibile trovare esempi di importanti esperienze politico-comunicative e i riferimenti ai siti più importanti.
34. Tale attenzione risulta da tutti i più recenti documenti comunitari, dal documento di lavoro della Commissione e-Inclusion. The Information Society’s potential for social inclusion in Europe [18.9.2001, SEC(2001)], che si prefigge di sfruttare le possibilità offerte dalla SI ai fini dell’inclusione sociale a eEurope 2002 [COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, eEurope2002.Analisi comparativa dei progressi dell’iniziativa eEurope, Bruxelles, 5.02.2002, COM (2002) 62 definitivo], nel quale si indica nella promozione dell’accesso ad Internet una delle leve dello sviluppo e della promozione culturale dei cittadini europei. Identico obiettivo nel Piano d’azione eEurope2005 [COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO eEurope 2005: una società dell’informazione per tutti, Bruxelles, 28.05.2002, COM (2002) 263 definitivo] che, come recita il sottotitolo si propone di massimizzare la diffusione di Internet ed abbattere il digital divide, fino al recente messaggio del Commissario per la società dell’informazione di Erkki Liikanen [E. LIIKANEN, e-Government for Europe’s public services of the future, Inaugural Lecture of the 2003-2004 Academic Year] che, a sua volta, si focalizza sull’”inclusive access” evidenziando come uno degli strumenti per la sua realizzazione sia il “Multi-platform access”: “The principle of access for all to public services is an important objective of public administration. Partecipation can be improved if services can be accessed through a choice of devices, including PC, digital TV, mobile terminal, or public Internet access points, next to the the usual physical, offline service provision”. Cfr. ivi., p. 10.
35. V. su questo punto P. LEVY, Le tecnologie dell’intelligenza, Milano, A/traverso libri, 1992 e H. RHEINGOLD, Smart Mobs, op. cit.. Riflettendo su tale questione Rheingold ha osservato che “il computer e Internet erano stati progettati, ma il modo in cui la gente li ha usati non era stato previsto per nessuna di queste due tecnologie, i loro utilizzi più dirompenti non erano stati intuiti neppure dai loro progettisti o venditori. La scrittura elettronica (word processing) e le comunità virtuali, eBay e l’e-commerce, Google, i blogs […] ”. Ivi, p. 290.
36. Per una ricognizione complessiva sul contributo costruttivista nel pensiero della tecnica attuale, si vedano i lavori di M. NACCI ( a cura di) Oggetti d’uso quotidiano. Rivoluzioni tecnologiche della vita d’oggi, Marsilio, Venezia, 1998 e Id., Pensare la tecnica. Un secolo di incomprensioni, Laterza, Roma-Bari, 2000. Influenzato dai lavori di Kuhn e Feyerabend, il metodo costruttivista cerca di rendere possibile l’analisi degli artefatti in relazione con i diversi attori sociali. La tecnologia, sostengono i principali esponenti di questa corrente sociologica, non è autonoma, guidata da leggi proprie, ma (può essere) orientata dalle molteplici forze sociali. L’innovazione tecnologica, secondo questa prospettiva, è in co-evoluzione con i fattori socio-culturali e con i fattori materiali di sviluppo.
37. Cfr. M. HEIDEGGER, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, Mursia, Milano, 1980, pp. 5-27. Il filosofo tedesco non è il solo a considerare la tecnica moderna un elemento centrale del nostro orizzonte concettuale. Analisi simili, svolgono infatti altri pensatori e sociologi, da Adorno a Weber, da Ellul a Borgmann, da Baudrillard a Severino, ecc. Prendiamo come riferimento Heidegger perché è probabilmente colui che meglio ha argomentato una posizione che è stata definita da un filosofo americano, A. Feenberg, come “essenzialista” e che vede la Tecnica come l’essenza della nostra epoca, presa nella sua determinazione metafisica. V. A. FEENBERG, Tecnologia in discussione. Filosofia e politica della moderna società tecnologica, Etas, Milano, 2002.
38. M. HEIDEGGER, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, op. cit. p.19. Questa “liberazione” richiamata come passaggio conclusivo, viene affidata, nel pensiero dell’autore, all’arte, l’unica attività in grado di aprire nuovi modi di essere.
39. Cfr. C. LUTTER, M. REISENLEITNER, Cultural Studies .Un’introduzione, Bruno Mondadori, Milano, 2004.
40. Cfr. A. FEENBERG, Tecnologia in discussione. Filosofia e politica della moderna società tecnologica, op. cit.
41. Ibidem, p.24 e segg. Feenberg porta a sostegno della sua tesi anche dei dati storici. Ad es., quando furono presentate le prime biciclette, le progettazioni si erano spinte in varie direzioni, riconducibili ai due modelli da corsa o per trasporto. Solo alla fine il progetto sicuro, quello da trasporto, con una ruota anteriore uguale a quella posteriore, prevalse. La scelta tra le alternative, dunque, non dipende né dall’efficienza tecnica né spesso da quella economica, ma “dall’intersezione di oggetti, interessi e credenze dei vari gruppi sociali che influenzano il processo di progettazione”.
42. Vedi M. FOUCAULT, Microfisica del potere, Einaudi, Torino, 1992.
43. Cfr. A. FEENBERG, Tecnologia in discussione. Filosofia e politica della moderna società tecnologica, op. cit.,p.268
44. Su questo punto cfr. S. RODOTA’, Tecnopolitica, op. cit. pp. 145 e ss. Si possono predisporre, ad esempio, programmi utili ad eliminare dopo un certo tempo le informazioni in occasioni di transazioni commerciali o quelle personali dopo un certo termine
45. Ibidem, p. 147.
46. Ci si riferisce qui a tutte quelle pratiche di autotutela della privacy da parte di quegli organismi politici antagonisti che progettano e diffondono strumenti di difesa come ad es. i remailer e che trovano il loro terreno elettivo dentro la Rete. Così nel Cypherpunk’s Manifesto, 1993:” Dobbiamo difendere la nostra privacy, se vogliamo averne una. Dobbiamo unire le nostre forze e creare sistemi che permettano lo svolgersi di transazioni anonime. Da secoli la gente difende la propria privacy con sussurri al buio, buste, porte chiuse, strette di mano segrete e corrieri. Le tecnologie del passato non permettevano una forte privacy, ma le tecnologie elettroniche sì. Noi cypherpunk siamo votati alla costruzione di sistemi di anonimato. Noi difendiamo la nostra privacy con la crittografia, con sistemi di invio di posta anonimi, con firme digitali e con il denaro elettronico.” Vedi ad es. http://isole.ecn.org/

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