venerdì 22 agosto 2008

Sicurezza e allarme sociale: dati a confronto in una ricerca Censis


In questo torrido clima agostano, con gli italiani a casa perché non possono permettersi una vacanza, intontiti dal caldo e abbattuti dal caro vita, ecco almeno una lieta notizia: ci sentiamo tutti più sicuri da quando abbiamo i soldati per strada, intenti a pattugliare con occhio vigile e con cipiglio marziale e pronti ad intervenire ad ogni turbativa dell'ordine pubblico.
A parte la preoccupazione provocata da una svolta securitaria di cui davvero non si sentiva la necessità, e il senso di spot pubblicitario per un provvedimento di dubbia efficacia, davvero, ci chiediamo, non era più opportuno che le risorse investite in questa campagna militare (61 mln di euro) fossero destinate a scopi migliori?
Chiunque si accosta alle ricerche nel campo della percezione delle insicurezze e dei problemi sociali ritenuti più rilevanti dall'opinione pubblica, sa bene, infatti, che la presenza di militari per la strada innesca un peculiare meccanismo percettivo. Il pattugliamento dei soldati insieme ai poliziotti o ai carabinieri, infatti, evidenzia la gravità di una situazione emergenziale, resa palese proprio dall'uso di soldati in assetto di guerra. Si costruisce, in questo modo, un meccanismo che si autoalimenta: se la situazione è così grave da avere necessità di schierare dei soldati per le strade, è abbastanza consequenziale pensare che il loro numero sia inadeguato a garantire un vero presidio del territorio. Ne viene una nuova richiesta di maggior sicurezza e quindi di un maggior numero di soldati....
Questo tipico meccanismo, d'altra parte, non tiene conto dei dati di realtà o della reale efficacia di una decisione di questa fattura. Un dato che sfugge a molti riguarda, tanto per citarne uno, il numero di addetti alle forze dell'ordine in Italia: in rapporto alla popolazione, abbiamo la più elevata percentuale di addetti dei paesi più avanzati. Dobbiamo ritenere che le forze dell'ordine non siano capaci di garantire la sicurezza e per questo si ricorre ai soldati? (1)
Altro dato di realtà che molti dimenticano, o addirittura non rilevano, è che l'uso di militari nell'operazione Vespri Siciliani degli anni '90, impiegava per la gran parte militari di leva.(2) D'altronde le campagne d'informazione degli ultimi mesi hanno sempre posto la questione della sicurezza ai primi posti dell'agenda politica, preparando il campo a decisioni discutibili, come l'uso dell'esercito per compiti di ordine pubblico, l'uso di armi in relazione alla pubblica sicurezza anche ai vigili urbani, ecc. , come se si volessero esorcizzare problemi e questioni di ben altra natura e bisognosi di interventi non meramente repressivi, come la microcriminalità o i problemi legati alla mancata integrazione degli extracomunitari.
Ancora una volta, quindi, le operazioni di agenda setting, quella che nel campo della comunicazione massmediatica si connota come la lista degli argomenti all'ordine del giorno, mettono sullo sfondo questioni problematiche e gravi, come è recentemente accaduto a proposito di una ricerca Censis relativa ai morti sul lavoro.
Anche in questo caso, si preferisce non far caso alle cifre, inseguendo l'emergenza del momento, tipico costume italico.Un dato che il Centro Studi Investimenti Sociali (CENSIS) ha presentato all'opinione pubblica, e che non ha avuto i riscontri dovuti, riguarda il calo del numero di omicidi negli ultimi anni nel nostro paese e il “sorpasso” dei morti sul lavoro rispetto alle morti violente. (3)
Operando anche un raffronto con i principali paesi europei, l'autorevole istituto di ricerca ha messo in luce come il numero di omicidi sia più basso che in altri paesi d'Europa, mentre i morti sul lavoro sono il doppio degli omicidi e i morti sulle strade, in una tragica mattanza che falcia oltre 5000 vite all'anno, sono in relazione di 1 a 8. Sulla base dei dati elaborati dal Censis, gli omicidi sono passati da 1042 casi registrati nel 1995 ai 663 nel 2006 (-36,4%). (4)
Sono numeri imponenti ma sensibilmente più bassi dello spaventoso tributo pagato dai lavoratori in termini di vite umane: nel 2007 sono stati 1.170 i decessi per motivi di lavoro in Italia, di cui 609 in infortuni «stradali», ovvero lungo il tragitto casa-lavoro («in itinere») o in strada durante l’esercizio dell’attività lavorativa. L’Italia è di gran lunga il Paese europeo dove si muore di più sul lavoro. Se si escludono gli infortuni in itinere o comunque avvenuti in strada, non rilevati in modo omogeneo da tutti i Paesi europei, si contano 918 casi in Italia, 678 in Germania, 662 in Spagna, 593 in Francia (in questo caso il confronto è riferito al 2005).I decessi - e il senso di impotenza - aumentano in modo parossistico se si guardano le cifre delle vittime per incidente stradale. Nel 2006 in Italia i decessi sulle strade sono stati 5.669, più che in Paesi anche più popolosi del nostro: Gran Bretagna (3.297), Francia (4.709) e Germania (5.091). (5)
Eppure il peso che si assegna a queste cifre in tema di politiche della sicurezza non tiene conto né dell'utilità, considerandone i costi sociali ed economici, né dell'aspetto etico, con i suoi pesanti tributi in termini di perdita e di lutti, né dell'adeguamento del concetto di sicurezza di fronte al tipo di rischi che si corrono in un paese che aspira al rango di potenza europea.
Come dice Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, presentando questi dati, “gran parte dell’impegno politico degli ultimi mesi è stato assorbito dall’obiettivo di garantire la sicurezza dei cittadini rispetto al rischio di subire crimini violenti. Tuttavia, se si amplia il concetto di incolumità personale, e si considerano i rischi maggiori di perdere la vita, risalta in maniera evidente la sfasatura tra pericoli reali e interventi concreti per fronteggiarli.Il luogo di lavoro e la strada mancano ancora di presidi efficaci per garantire la piena sicurezza dei cittadini, e spesso si pensa che perdere la vita in un incidente stradale sia una fatalità. I dati degli altri Paesi europei dimostrano che non è così».Se proprio si devono impiegare i militari, mandiamoli a vigilare nelle fabbriche e nei cantieri, visto che i numeri degli incidenti mortali sul lavoro sono quelli di una guerra. Quanto agli incidenti stradali, forse non basta neanche un esercito a modificare le abitudini del popolo degli automobilisti e di un sistema di trasporti che si può definire autocentrico.
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Note

(1) In Italia sono oggi impegnati nelle forze dell'ordine un totale di circa 280.000 uomini, di cui 101 mila appartenenti alla Polizia di Stato, 108 mila all'Arma dei carabinieri e 64 mila alla Guardia di finanza, con una media nazionale di un operatore di polizia ogni 450 abitanti. A questi vanno aggiunti i circa 60 mila addetti alla polizia municipale, ai quali può essere affidato, tra l'altro, anche il compito di effettuare vigilanza e controllo del territorio. Con la polizia municipale il numero degli addetti sale a 333 mila unità, con una conseguente ripercussione, com'è ovvio, anche sul rapporto medio. (Dati del Ministero dell'Interno).
(2)L'operazione Vespri Siciliani si è tenuta in Sicilia dal 25 luglio 1992 all'8 luglio 1998, a seguito dell'assassinio dei giudici Falcone e Borsellino e delle loro scorte, avvenuti nel 1992.Com'è noto, l'esercito italiano, da qualche anno, è un esercito sostanzialmente di professionisti. I compiti istituzionali dell'esercito, in una repubblica democratica come l'Italia, stabiliti dall'art. 11 della Costituzione, dovrebbero riguardare la salvaguardia delle frontiere e le missioni di peacekeeping, adeguatamente votate ed autorizzate dal Parlamento.
(3)Vedi http://www.censis.it/.
(4)Sono molti di più negli altri grandi Paesi europei, dove pure si registra una tendenza alla riduzione: 879 casi in Francia (erano 1.336 nel 1995 e 1.051 nel 2000), 727 casi in Germania (erano 1.373 nel 1995 e 960 nel 2000), 901 casi nel Regno Unito (erano 909 nel 1995 e 1.002 nel 2000).(5) Gli altri Paesi europei hanno fatto meglio di noi negli interventi tesi a ridurre i decessi sulle strade. Nel 1995 la Germania era «maglia nera» in Europa, con 9.454 morti in incidenti stradali, ridotti a 7.503 già nel 2000, per poi diminuire ancora ai livelli attuali. Nel 1995 in Francia i morti sulle strade erano 8.892, ridotti a 8.079 nel 2000, per poi decrescere ai livelli attuali. La riduzione in Italia c’è stata (i morti erano 7.020 nel 1995, 6.649 nel 2000, fino agli attuali 5.669), ma non in maniera così rapida, tanto da diventare il Paese europeo in cui è più rischioso spostarsi sulle strade.

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