domenica 7 settembre 2008

Nuvole


Nuvole

Quella mattina, come tutte le mattine del resto, Girolamo Tagliavento si guardò allo specchio. E non si piacque. Quel tipo che lo guardava dall’altra parte non era lui, era una variazione sul tema, per così dire. Quella faccia un po’ gonfia, le gote cascanti, le borse sotto gli occhi: quand’era nato, non gli erano state ancora assegnate; ritrovarsele alla sua età, ancora (ancora!) giovane, lo metteva di malanimo per tutto il giorno.
Sbirciò la sveglia e trasalì. “Devo andare”, bofonchiò.
In più, a complicare le cose, doveva correre a farsi delle foto per rinnovare la carta d’identità, ormai scaduta.
Si diresse verso una di quelle cabine fotografiche che stanno ad attendere i malcapitati avventori nei posti più visibili ma, chissà come, nessuno vede veramente mai.
Scostò la tenda e si collocò sul sedile con la faccia di un condannato al patibolo..
Mentre cercava un modo per non far cadere il cappotto poggiato sulle ginocchia, intravide con la coda dell’occhio un oggetto giallastro nei pressi del suo piede sinistro. Con un po’ di repulsione, si avvicinò con lo sguardo e si accorse che si trattava di una macchinetta per fotografie usa e getta. La curiosità vinse su tutto e dopo aver sopportato con rassegnazione gli ordini della voce metallica della cabina per ottenere le foto che gli servivano, avvolse l’oggetto in un fazzoletto, lo ficcò nella borsa e si precipitò verso la fermata del tram che l’avrebbe portato al suo ufficio.

Con un filo di ansia e di eccitazione, appena finì il lavoro, andò a riprendere le foto che aveva portato in laboratorio per la stampa. La sua curiosità lo aveva spinto a voler vedere che tipo di foto c’erano dentro quella macchinetta; tutta la mattina che era stato in ufficio aveva fantasticato sui motivi che spingono gli esseri umani a fare delle foto d’occasione. Nella sua testa compose una specie di lista con le categorie di foto che avrebbe potuto trovare in quella macchinetta e si immaginò di trovare foto di compleanno o di gruppo, magari delle foto erotiche.

Quando, appena uscito dal negozio, con un fremito delle mani estrasse le foto per poterle finalmente guardare e iniziò a scorrerle velocemente per dare uno sguardo d’insieme, rimase abbastanza sbalordito nel constatare che si trattava di fotografie con un unico soggetto: la persona che aveva scattato quelle istantanee aveva raccolto una serie di inquadrature di nuvole…solo nuvole e nient’altro che nuvole.
Solo nell’ultima inquadratura, un po’ di sbieco, si notava una testa di donna sfocata, con l’attaccatura dei capelli corvini e la fronte corrucciata. Forse un autoscatto malriuscito o un lavoro preparatorio d’artista, che cercava ispirazione per qualche paesaggio o per qualche figura umana.
Riguardò con attenzione le foto, soffermandosi su ciascuna per un po’ di tempo; in alcune di esse, chi aveva scelto di scattare quelle foto, sembrava che cercasse di catturare in quelle masse proteiformi delle figure evocative di animali o di visi umani o di città fantastiche; in altre, pareva che l’intenzione fosse quella di scovare la luce in fondo a quei corpi sospesi nel vuoto, negli squarci che si aprivano tra le nubi e il cielo; altre ancora, cercavano di trarre solo suggestioni di colore e di accostamenti cromatici tra il viola, il violetto, il rosso, il rosa e l’azzurro.
Si accorse che non aveva mai guardato il cielo e le nuvole in quel modo, con quella capacità di scovare in ogni momento del giorno un elemento d’interesse e di sorpresa e si ritrovò subito dopo con lo sguardo rivolto verso il cielo, come a voler smettere per sempre di guardarlo distrattamente.
“Ciao Giugio, amore..”
Sobbalzò per quella brusca interruzione ma subito sorrise per accogliere Milena e schioccarle un bacio sulla fronte.
“Ciao, amore, come stai?”, riuscì a dire subito dopo.
“Che stavi facendo?”, chiese lei.
E lui. “Niente. Stavo guardando il cielo. E anche le nuvole. Guarda anche tu, non le trovi belle?”, disse con un’inconsueta nota di tenerezza nella voce.
Milena lo guardò per un po’, prima di rivolgere lo sguardo verso l’alto.
Mentre guardava il cielo, con poche nuvole sfilacciate in uno sfondo di azzurro cristallino, pensò a quando aveva visto il suo Giugio per la prima volta. Era un freddo pomeriggio d’autunno e pioveva a dirotto. Intirizzita dal freddo, si era rifugiata in una pasticceria e si era seduta ad un tavolo, ordinando un te caldo e dei pasticcini. Era li da un po’ quando vide entrare quel buffo tipo avvolto in un impermeabile completamente zuppo e con lo sguardo allucinato di chi aveva attraversato una tempesta tropicale più che un normale acquazzone continentale. Quell’uomo si guardò intorno un po’ smarrito, in cerca di un angolino dove aspettare che spiovesse. Milena si accorse che guardava con grande interesse quel posticino accanto a lei, al suo striminzito tavolino e ne ebbe compassione; gli fece un sorriso quasi impercettibile e lui, rincuorato, si sedette accanto a lei. Un’onda di odore di bucato, fresco e umido, le arrivò alle narici, ricordandole l’infanzia e i pomeriggi d’inverno passati dalla nonna, con i panni stesi ad asciugare su una sedia vicino alla stufa.
“Che tempaccio, eh…”, fece lui, giusto per rompere il ghiaccio.
Lei assentì con la testa e non disse nulla.
Quasi a scusarsi di tanta scontrosità, finito il suo spuntino, d’impulso, senza pensarci su, disse a quell’uomo inzuppato e ancora smarrito: “ Ho un ombrello. Se vuole le posso dare uno strappo, vado verso il centro”.
Lui la guardò con la riconoscenza di un bimbo che veniva salvato dalla madre da una brutta situazione e disse solamente: “si…certo, va bene”. E uscirono
Non avevano fatto che pochi passi, quando il cielo improvvisamente si illuminò e tra le nuvole che si allontanavano velocemente comparve uno squarcio di azzurro intenso e puro; estasiati di fronte a quello spettacolo inatteso, stettero col naso all’insù per un po’. Poi lui le prese l’ombrello dalle mani, si spostò sul fianco opposto dandole la destra come fanno i veri gentiluomini e si incamminarono con negli occhi un senso di allegria. Lei, istintivamente, gli afferrò il braccio.
Milena, in quel momento, pensò che quando entrambi guardavano il cielo poteva succedere qualcosa di speciale. E sorrise.

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