sabato 14 marzo 2009

Patrimonio comune o giacimento culturale? Modelli di gestione dei beni culturali tra tagli e supermanager


Lo confesso, anche se ai lettori magari non interesserà né poco, né punto: sono un frequentatore assiduo di musei, di mostre e spesso organizzo il mio tempo libero per andare a visitare grandi e piccole città d'arte. Proprio perchè appassionato fruitore e amante delle belle arti, sento di poter esprimere la mia preoccupazione per il cambio delle politiche di gestione dell'insieme dei beni artistici, architettonici, paesaggistici e storici italiani, frutto di una tessitura e di un intreccio millenari tra territorio e vicende storiche, tra natura e cultura, che non ha eguali al mondo.

Non si pensi, però, che le preoccupazioni che qui vorrei provare ad argomentare riguardino solo le anime belle. Il motivo per cui milioni di turisti sono ancora interessati all'Italia e per cui sono disposti a spostarsi da ogni parte del mondo per raggiungere le nostre città d'arte, risiede principalmente nell'unicità e nella altissima qualità del nostro patrimonio culturale ed artistico, oltre che per la varietà di luoghi e di bellezze naturalistiche. D'altro canto, c'è una linea di congiunzione ben precisa tra la ricerca del bello e dell'eccellenza artistica e quello straordinario succedersi di generazioni di artigiani e di creativi che hanno reso possibile l'affermarsi del gusto e della ricercatezza del made in Italy. (1)

Davanti a noi stanno dunque questioni anche materiali ed economiche, del lavoro e delle prospettive di occupazione, oltre alle ragioni della tutela di un patrimonio che andrebbe conservato per le giovani generazioni che ci seguiranno e, sia detto una volta senza apparire retorici, per l'intera umanità: se si è alla ricerca di una esemplificazione di che cosa significhi bene comune, bisogna senz'altro rifarsi proprio a questi tipi di beni, per i quali ci si appella all'appartenenza all'umanità intera, invece che ad una singola comunità. (2)

La preoccupazione che qui vogliamo esprimere riguarda proprio il modello di gestione che sembra cambiare, nel disinteresse generale dell'opinione pubblica; per prima cosa è bene richiamare i dati di contesto strutturali e su ciò che nel suo insieme, in ogni opera e in ogni rapporto tra contesto e bene cosiddetto culturale, costituisce l'unicità del nostro Paese.

Fino adesso, infatti, si è considerato nella storia dell'arte il patrimonio artistico italiano come un unicum formato da emergenze artistiche straordinarie e varietà e ricchezza di paesaggio, dove le une sono debitrici dell'altro e a sua volta il paesaggio si arricchisce e si struttura in base ai manufatti e all'operato ispirato e rispettoso di questo legame di intere generazioni di artisti e artigiani.

Basta un semplice sguardo, anche il meno avvertito, per vedere come il patrimonio artistico del nostro paese sia connotato al contempo da una capillare distribuzione territoriale e da una impressionante stratificazione storica, insieme ad una profonda connessione con l'ambiente naturale.
In ogni regione, in ogni città, in ogni piccolo borgo, si trova una fitta rete fatta di storia e di arte, con torri, abbazie, monasteri, complessi monumentali, siti archeologici, castelli, fortificazioni, ecc. in un contesto territoriale del tutto peculiare e che risulta impossibile dividere e considerare separato da questi singoli beni. E poi quante raccolte d'arte, antiche o contemporanee, quanti musei civici, diocesani, musei tematici legati al territorio e ai saperi locali. (3)

Insomma, i nostri beni culturali, sono talmente diffusi e radicati sul territorio da costituire un “paesaggio culturale continuo” e, senza tema di smentita, davvero unico al mondo.
Questo unicum, come si è detto, è sempre stato considerato un patrimonio indivisibile, da difendere e tutelare perchè non solo appartiene alla collettività in termini di possesso ma perchè costituisce, con le sue preziose testimonianze culturali, il senso profondo della nostra identità storica e culturale.

Per l'eccezionale importanza che a questi beni viene attribuita gli si riconosce un posto di rango nei principi fondamentali della nosta Costituzione, laddove all'art. 9 si dice che la Repubblica “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, perchè, tra le altre cose, l'amministrazione ha il compito di trasmettere questo prezioso retaggio, nel modo più integro possibile, alle nuove generazioni.

Le continue riorganizzazioni che hanno interessato questo settore negli ultimi anni sono state davvero troppe, e tutte affidate a logiche di breve periodo, tanto che si è assistito al passaggio dalle logiche di decentramento delle cosiddette riforme Bassanini (1998) ad un ritorno all'accentramento della tutela, dopo aver speso ingenti risorse umane e materiali per agevolare i processi di tutela a diretto contatto con i territori interessati, rispettando il policentrismo storico e culturale prima ancora di quello amministrativo.
Ma di questo, finchè non vi sarà l'approvazione definitiva della norma di riorganizzazione, sarà opportuno giudicare con un testo approvato e pienamente in vigore.

Le indiscrezioni che sono circolate, tuttavia, fanno pensare che il mutamento nell'organizzazione della tutela dei beni culturali sarà improntato ad una svolta tutta economicista e di breve respiro, a discapito dell'indissolubilità del rapporto tra bene culturale e contesto territoriale, con l'intenzione di disinvestire nella tutela del paesaggio sia in termini di controllo che di salvaguardia.
Tra le altre cose, è circolata la proposta di nominare un supermanager, ex presidente di Mc Donald's Italia, ad una istituenda Direzione Generale per la Valorizzazione. Poiché vogliamo parlare del metodo più che delle persone, tralasceremo di evidenziarne il nome; quello che conta, però, è che il supermanager che potrebbe essere chiamato a guidare una struttura amministrativa fondamentale per la salvaguardia dei beni culturali non ha alcuna esperienza nel mondo della conservazione. L'ex manager della Mc Donald's, poi, in una sua dichiarazione, avrebbe definito i nostri musei “giacimenti petroliferi a costo zero”. L'abusata similitudine del museo come giacimento petrolifero non è nuova, va detto, anche se fa un certo senso paragonare una raccolta d'arte come gli Uffizi a Firenze o la Pinacoteca di Brera a Milano ad un deposito di idrocarburi.

Alla base di questa immagine c'è però l'idea tutta da supermanager, per il quale è ininfluente occuparsi di combustibili fossili, di detersivi o di quadri del Raffaello. L'importante è metterli a frutto, ricavarne un reddito; e quale migliore occasione di mettere a reddito la parte più preziosa ed appetibile dei tanto criticati musei italiani?
Sulla scia, probabilmente, di un modello di gestione dei beni culturali che arriva d'oltreoceano, dagli USA, che vengono citati come l'esempio da imitare.
Va rammentato un particolare: i musei americani, come tutti i musei del mondo, sono in perdita.
In più, trattandosi di un sistema culturale diverso e in cui non esiste la mano pubblica nella tutela dei beni culturali, tutte le istituzioni museali vivono ed operano grazie alle munifiche donazioni private, quasi inesistenti nel nostro paese.
Al di la della querelle tra gestione pubblica o privata, è opportuno sottolineare che in questo nuovo modello il legame tra museo e territorio viene spezzato e alla tutela paesaggistica e al contesto naturalistico viene assegnato un ruolo ininfluente, da gestire magari con altre strutture amministrative e con altre norme. E' questo che si vuole? E' questo che ci attende in un prossimo futuro?

Un'ultima osservazione a proposito dello stato in cui versano molte istituzioni museali.
Non si vuole qui difendere uno stato di cose che da molti anni e da più parti è stato giustamente criticato. Sarebbe davvero sciocco negare che le nostre strutture museali, tranne alcune eccezioni, sono in grave deficit di risorse umane ed economiche. La realtà degli ultimi anni sta tutta nei continui tagli ai trasferimenti e al mancato rinnovo del turn over del personale; abbiamo numerosi corsi di laurea in Conservazione dei Beni culturali e centinaia di laureati e di specialisti nella tutela dei beni culturali ma l'amministrazione non assume archeologi, architetti, storici dell'arte. Se qualche volta si bandisce un concorso lo si fa per pochissimi posti. Non ci vuole molto a capire che nel giro di un decennio il personale che ancora lavora nell'amministrazione di tutela dei beni culturali andrà in pensione e che i sostituti saranno sempre meno.

Mentre in tutto il mondo ci riconoscono un modello di tutela da portare ad esempio, noi stiamo facendo deperire e degradare proprio questo modello, magari per rivolgerci a sistemi di tutela lontanissimi e inapplicabili alla nostra realtà peculiare.
Ben vengano, dunque, gestioni più moderne ed efficienti delle nostre strutture museali.
Ma non dimentichiamoci del territorio che le ha rese possibili, dei saperi e dei mestieri che vi sono collegati.
Soprattutto, non vorremmo essere costretti a scegliere tra un barile di petrolio e un museo.



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NOTE

1)E' anche vero che l'Italia, a proposito di turismo, è abituata a farsi del male. A parte il decentramento a livello regionale per cui della materia turistica si occupano le regioni, con le note conseguenze di mancanza di coordinamento e di aumento improduttivo di spese di denaro pubblico, anche la creazione di un portale dedicato al turismo e che fosse il punto di accesso per tutti coloro che dall'estero cercavano informazioni sul nostro Paese si è rivelata l'ennesimo spreco di denaro pubblico. Il portale www.italia.it, infatti, che doveva essere la vetrina turistica del Paese nel mondo, progettato nel 2005 e affidato alla gestione del Ministero per i Beni e le Attività culturali, dopo una serie di peripezie è stato definitivamente chiuso a ottobre 2007. Gli atti ammininstrativi sono stati inviati alla Corte dei Conti per verificarne la legittimità. Dei 45 milioni di euro stanziati per il funzionamento del portale, ne sono stati spesi, in due anni e mezzo, circa 7 per la costruzione e la gestione. Adesso, dopo circa quattro anni e tre governi, aspettiamo ancora che la questione trovi uno sbocco definitivo.

2) E' il caso della dichiarazione di “patrimonio mondiale dell'umanità” dichiarato dall'UNESCO. Attualmente l'Italia detiene il maggior numero di siti inclusi nella lista “patrimonio dell'umanità” Vedi http://whc.unesco.org/.
3) Si calcola che ci siano oltre 3000 i musei e le raccolte, pubblici o privati, nel nostro Paese. Le installazioni e le presentazioni dei “pezzi” sono importanti per garantire una fruizione gradevole e coinvolgente da parte degli utenti e dei visitatori. Voglio fare un solo esempio tratto dall'esperienza personale: il Museo Archeologico di Napoli. La quantità e ricchezza dei reperti e la loro qualità farebbe felice qualunque appassionato di antichità. Nei suoi depositi si trovano talmente tanti “pezzi” da esporre da poter allestire almeno un altro museo altrettanto grande e importante. Ma la realtà di quella struttura e la qualità di quella esposizione è davvero al di sotto di qualsiasi aspettativa: sale buie o mal illuminate, stipate oltre misura di reperti e di espositori collocati sciattamente, polvere e incuria dappertutto. Ma davvero uno dei più importanti raccoglitori dell'antichità del mondo – ricordiamo che in esso si trovano molti reperti provenienti da Pompei e da Ercolano - merita un tale stato di abbandono? Vedi comunque il sito: http://www.marketplace.it/museo.nazionale/museo_home.htm

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